Ma ecco omai l'ora fatale è giunta che 'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e 'l sangue avido beve; e la veste, che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch'a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella.
- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. - In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise. Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso, come à gigli sarian miste viole, e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso sembra per la pietate il cielo e 'l sole; e la man nuda e fredda alzando verso il cavaliero in vece di parole gli dà pegno di pace. In questa forma passa la bella donna, e par che dorma.
Accogliete benigni, o colle, o fiume, albergo de le Grazie alme e d'Amore, quella ch'arde del vostro alto signore, e vive sol de' raggi del suo lume; e, se fate ch'amando si consume men aspramente il mio infiammato core, pregherò che vi sieno amiche l'ore, ogni ninfa silvestre ed ogni nume e lascerò scolpita in qualche scorza la memoria di tanta cortesia quando di lasciar voi mi sarà forza. Ma, lassa, io sento che la fiamma mia, che devrebbe scemar, più si rinforza, e più ch'altrove qui s'ama e disia
Mentr'io conto fra me minutamente le doti del mio conte a parte a parte, nobilitate, bellezza, ingegno ed arte, che lo fan chiaro sovra l'altra gente, tale e tanto piacer l'anima sente, che, sendo tutte le sue virtù sparte, mi meraviglio come non si parte, volando al ciel per starci eternamente. E certo v'anderia, se non temesse che restasse il suo ben da lei diviso, e men beato il suo stato rendesse; perché 'l suo vero e proprio paradiso, quello che per bearsi ella si elesse, è 'l mio dolce signor e 'l suo bel viso.
Rivolgete talor pietoso gli occhi da le vostre bellezze a le mie pene, sì che quant'alterezza indi vi viene, tanta quindi pietate il cor vi tocchi. Vedrete qual martìr indi mi fiocchi, vedrete vòte le faretre e piene, che preste a' danni miei sempre Amor tiene, quando avien che ver' me l'arco suo scocchi. E forse la pietà del mio tormento vi moverà, dov'or ne gite altero, non lo vedendo voi, qual io lo sento; così pensosa io meno, e men voi fiero ritornerete, e cento volte e cento benedirete i ciel che mi vi diêro
Che meraviglia fu, s'al primo assalto, giovane e sola, io restai presa al varco, stando Amor quindi con gli strali e l'arco, e ferendo per mezzo, or basso or alto, indi 'l signor che 'n rime orno ed essalto quanto più posso, e 'l mio dir resta parco, con due occhi, anzi strai, che spesso incarco han fatto al sole e con un cor di smalto? Ed essendo da lato anche imboscate, sì ch'a modo nessun fess'io difesa, alla virtute e chiara nobiltate? Da tanti e ta' nemici restai presa; né mi duol, pur che l'alma mia beltate, or che m'ha vinta, non faccia altra impresa
Vieni, Amor, a veder la gloria mia, e poi la tua; ché l'opra de' tuoi strali ha fatto ambeduo noi chiari, immortali, ovunque per Amor s'ama e disia. Chiara fe' me, perché non fui restia ad accettar i tuoi colpi mortali, essendo gli occhi, onde fui presa, quali natura non fe' mai poscia, né pria; chiaro fe' te, perché a lodarti vegno quanto più posso in rime ed in parole con quella, che m'hai dato, vena e ingegno. Or a te si convien far che quel sole, che mi desti per guida e per sostegno, non lasci oscure queste luci e sole.
Come chi mira in ciel fisso le stelle, sempre qualcuna nuova ve ne scorge, che non più vista pria, fra tanti sorge chiari lumi del mondo, alme, fiammelle; mirando fisso l'alte doti e belle vostre, signor, di qualcuna s'accorge l'occhio mio nova, che materia porge, unde di lei si scriva e si favelle. Ma, sì come non può gli occhi del cielo tutti, perch'occhio vegga, raccontare lingua mortal e chiusa in uman velo, io posso ben i vostri onor mirare, ma la più parte d'essi ascondo e celo, perché la lingua a l'opra non è pare.
Stanco dell'ozio amaro in cui la mia pigrizia Offende quella gloria per cui fuggii l'infanzia Dolcissima dei boschi di rose nell'azzurro Naturale, e più ancora stanco del patto duro Di scavare vegliando un rinnovato avello Dentro l'avaro e freddo suolo del mio cervello, Per la sterilità spietato affossatore, - Che mai dirò, o Sogni, che mai a quest'Aurora, Visitato da rose, se, temendo i suoi fiori Lividi, il cimitero unirà i cavi orrori? - Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi Che mostrano gli amici, il genio ed il passato, E il lume che la mia agonia ha vegliato, Imitare il Cinese, anima chiara e fina, La cui estasi pura è dipinger la cima Sopra tazze di neve rapita dalla luna D'un fiore strano che la sua vita profuma Trasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla. E la morte così, solo sogno del saggio, Sereno, sceglierò un giovane paesaggio Che sulle tazze assente la mia mano pingerà. Una linea d'azzurro fine e tenue sarà Un lago dentro il cielo di nuda porcellana, Per una bianca nube una luna lontana Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Presso tre grandi cigli di smeraldo, le canne.
Nulla, una schiuma, vergine verso solo a indicare la coppa; così al largo si tuffa una frotta di sirene, taluna riversa. Noi navighiamo, o miei diversi amici, io di già sulla poppa voi sulla prora fastosa che fende il flutto di lampi e d'inverni; una bella ebbrezza mi spinge né temo il suo beccheggiare in piedi a far questo brindisi solitudine, stella, scogliera a tutto quello che valse il bianco affanno della nostra vela.