Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Ora e sempre Resistenza

Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non con i sassi affumicati dei borghi inermi
straziati dal tuo sterminio
non con la terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non con la neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non con la primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto con il silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi con lo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre
Resistenza.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Per Teeo di Argo lottatore

    Mutando a vicenda la sorte,
    essi un giorno dimorano presso Zeus,
    il padre diletto; un altro, nelle cavità della terra,
    nei recessi di Terapne,
    compiendo un uguale destino. Questa vita
    scelse Polluce, più che essere in tutto un dio
    e abitare nel cielo, poi che era morto
    Castore in guerra.
    L'aveva trafitto Ida
    irato per i buoi, con la punta della lancia di bronzo.
    Dal Taigeto, spiando, Linceo
    lo scorse acquattato nel cavo
    di un tronco di quercia: ché di tutti i mortali
    egli aveva più acuto
    lo sguardo. Con corsa veloce subito
    lo raggiunsero, e ordirono in breve il grande misfatto.
    Ma dalle mani di Zeus una pena terribile patirono
    gli Afaretidi. Inseguendo,
    giunse presto il figlio di Leda; ed essi si opposero
    a lui presso la tomba del padre.
    Divelta di qui una pietra levigata, ornamento di Ade,
    la scagliarono contro il petto a Polluce; ma non lo schiacciarono
    né lo respinsero. Balzò egli con la lancia veloce,
    e immerse il bronzo nel fianco a Linceo.
    Contro Ida scagliò Zeus il suo fulmine, portatore di fuoco, fumoso:
    insieme essi arsero, in solitudine. Difficile è per i mortali
    lottare coi più forti.
    Sùbito il figlio di Tindaro
    tornò indietro presso il forte fratello:
    non morto ancora, ma per l'affanno
    scosso da rantoli convulsi lo trovò.
    Versando lacrime calde, tra i gemiti,
    gridò: "Padre Cronide, quale rimedio sarà
    ai miei dolori? Ordina anche a me,
    insieme a lui, la morte, o Signore.
    Per l'uomo privato dei suoi cari
    perduta è la gloria: nell'affanno, sono pochi i mortali
    che, fedeli, partecipano alle pene". Così
    disse. Zeus davanti gli venne
    e pronunciò queste parole: "Tu sei mio figlio;
    poi, congiuntosi alla madre tua
    l'eroe suo sposo stillo
    il seme mortale. Ma orsù, questa scelta
    io ti concedo: se evitata la morte
    e la vecchiezza aborrita,
    tu vuoi abitare con me nell'Olimpo,
    con Atena e con Ares dalla lancia nera,
    è possibile a te questa sorte. Ma se per il fratello combatti,
    e ogni cosa pensi dividere con lui in parte uguale,
    metà del tempo vivrai sotto la terra,
    e metà nelle dimore d'oro del cielo".
    Così parlò. E Polluce non pose alla mente un duplice pensiero:
    sciolse l'occhio e poi la voce
    di Castore dalla cintura di bronzo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Condannato a morte

      Il condannato a morte nella sua cella immagina
      il proprio spazio di quattro metri per quattro come un grande paese.
      Suppone che i rilievi del pavimento sono gli accidenti del terreno
      e una lunga fila di formiche è la carovana di automobili che fugge dalla città. Lui è Dio e ha compassione di quelli che si trovano là sotto,
      di quelli che sono fuori, perché non hanno tempo per sognare
      e hanno bisogno di molti oggetti per sentirsi bene.
      S'inventa una storia e ci si diverte con la libertà che manca agli umani.
      Ride. Con la pena capitale fissata per il giorno dopo possiede un altro vantaggio sul mondo: conosce l'ora esatta della propria morte.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Lo viso mi fa andare alegramente

        Lo viso mi fa andare alegramente,
        lo bello viso mi fa rinegare;
        lo viso me conforta ispesament[e],
        l'adorno viso che mi fa penare.
        Lo chiaro viso de la più avenente,
        l'adorno viso, riso me fa fare:
        di quello viso parlane la gente,
        che nullo viso [ a viso ] li po' stare.
        Chi vide mai così begli ochi in viso,
        né sì amorosi fare li sembianti,
        né boca con cotanto dolce riso?
        Quand'eo li parlo moroli davanti,
        e paremi ch'ì vada in paradiso,
        e tegnomi sovrano d'ogn'amante.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Amor è uno desio che ven da core

          Amor è un[o] desio che ven da core
          per abondanza di gran piacimento;
          e li occhi in prima genera[n] l'amore
          e lo core li dà nutricamento.
          Ben è alcuna fiata om amatore
          senza vedere so 'namoramento,
          ma quell'amor che stringe con furore
          da la vista de li occhi à nas[ci]mento.
          Che li occhi rapresenta[n] a lo core
          d'onni cosa che veden bono e rio,
          com'è formata natural[e]mente;
          e lo cor, che di zo è concepitore,
          imagina, e piace quel desio:
          e questo amore regna fra la gente.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Diamante, né smiraldo, né zafino

            Diamante, né smiraldo, né zafino,
            né vernul'altra gema preziosa,
            topazo, né giaquinto, né rubino,
            né l'aritropia, ch'è sì vertudiosa,
            né l'amatisto, né 'l carbonchio fino,
            lo qual è molto risprendente cosa,
            non àno tante belezze in domino
            quant'à in sé la mia donna amorosa.
            E di vertute tutte l'autre avanza,
            e somigliante [ a stella è ] di sprendore,
            co la sua conta e gaia inamoranza,
            e più bell'e[ste] che rosa e che frore.
            Cristo le doni vita ed alegranza,
            e sì l'acresca in gran pregio ed onore.
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