Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Quasi un madrigale

Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l'aria dell'estate
s'addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S'allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.

Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull'argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s'oscura.
E l'uomo che in silenzio s'avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Colore di pioggia e di ferro

    Dicevi: morte, silenzio, solitudine;
    come amore, vita. Parole
    delle nostre provvisorie immagini.
    E il vento s'è levato leggero ogni mattina
    e il tempo colore di pioggia e di ferro
    è passato sulle pietre,
    sul nostro chiuso ronzio di maledetti.
    Ancora la verità è lontana.
    E dimmi, uomo spaccato sulla croce,
    e tu dalle mani grosse di sangue,
    come risponderò a quelli che domandano?
    Ora, ora: prima che altro silenzio
    entri negli occhi, prima che altro vento
    salga e altra ruggine fiorisca.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il mio paese è l'Italia

      Più i giorni s'allontanano dispersi
      e più ritornano nel cuore dei poeti.
      Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
      con le colline di cadaveri che bruciano
      in nuvole di nafta, là i reticolati
      per la quarantena d'Israele,
      il sangue tra i rifiuti, l'esantema torrido,
      le catene di poveri già morti da gran tempo
      e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
      là Buchenwald, la mite selva di faggi,
      i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
      e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
      I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
      dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
      Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
      Il mio paese è l'Italia, o nemico più straniero,
      e io canto il suo popolo, e anche il pianto
      coperto dal rumore del suo mare,
      il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Alle fronde dei salici

        E come potevamo noi cantare
        con il piede straniero sopra il cuore,
        fra i morti abbandonati nelle piazze
        sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
        d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
        della madre che andava incontro al figlio
        crocifisso sul palo del telegrafo?
        Alle fronde dei salici, per voto,
        anche le nostre cetre erano appese,
        oscillavano lievi al triste vento.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Auschwitz

          Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
          amore, lungo la pianura nordica,
          in un campo di morte: fredda, funebre,
          la pioggia sulla ruggine dei pali
          e i grovigli di ferro dei recinti:
          e non albero o uccelli nell'aria grigia
          o su dal nostro pensiero, ma inerzia
          e dolore che la memoria lascia
          al suo silenzio senza ironia o ira.
          Da quell'inferno aperto da una scritta
          bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
          uscì continuo il fumo
          di migliaia di donne spinte fuori
          all'alba dai canili contro il muro
          del tiro a segno o soffocate urlando
          misericordia all'acqua con la bocca
          di scheletro sotto le doccie a gas.
          Le troverai tu, soldato, nella tua
          storia in forme di fiumi, d'animali,
          o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
          medaglia di silenzio?
          Restano lunghe trecce chiuse in urne
          di vetro ancora strette da amuleti
          e ombre infinite di piccole scarpe
          e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
          d'un tempo di saggezza, di sapienza
          dell'uomo che si fa misura d'armi,
          sono i miti, le nostre metamorfosi.

          Sulle distese dove amore e pianto
          marcirono e pietà, sotto la pioggia,
          laggiù, batteva un no dentro di noi,
          un no alla morte, morta ad Auschwitz,
          per non ripetere, da quella buca
          di cenere, la morte.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Al padre

            Dove sull'acque viola
            era Messina, tra fili spezzati
            e macerie tu vai lungo binari
            e scambi col tuo berretto di gallo
            isolano. Il terremoto ribolle
            da due giorni, è dicembre d'uragani
            e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
            nei carri merci e noi bestiame infantile
            contiamo sogni polverosi con i morti
            sfondati dai ferri, mordendo mandorle
            e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
            del dolore mise verità e lame
            nei giochi dei bassopiani di malaria
            gialla e terzana gonfia di fango.

            La tua pazienza
            triste, delicata, ci rubò la paura,
            fu lezione di giorni uniti alla morte
            tradita, al vilipendio dei ladroni
            presi fra i rottami e giustiziati al buio
            dalla fucileria degli sbarchi, un conto
            di numeri bassi che tornava esatto
            concentrico, un bilancio di vita futura.

            Il tuo berretto di sole andava su e giù
            nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
            Anche a me misurarono ogni cosa,
            e ho portato il tuo nome
            un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
            Quel rosso del tuo capo era una mitria,
            una corona con le ali d'aquila.
            E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
            ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
            di partenza colorati dalla lanterna
            notturna, e qui da una ruota
            imperfetta del mondo,
            su una piena di muri serrati,
            lontano dai gelsomini d'Arabia
            dove ancora tu sei, per dirti
            ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
            di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
            cicale del biviere, agavi lentischi,
            come il campiere dice al suo padrone:
            "Baciamu li mani". Questo, non altro.
            Oscuramente forte è la vita.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Natale

              Natale. Guardo il presepe scolpito,
              dove sono i pastori appena giunti
              alla povera stalla di Betlemme.
              Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
              salutano il potente Re del mondo.
              Pace nella finzione e nel silenzio
              delle figure di legno: ecco i vecchi
              del villaggio e la stella che risplende,
              e l'asinello di colore azzurro.
              Pace nel cuore di Cristo in eterno;
              ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
              Anche con Cristo e sono venti secoli
              il fratello si scaglia sul fratello.
              Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
              che morirà poi in croce fra due ladri?
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Lettera alla madre

                "Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
                il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
                gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
                non sono triste nel Nord: non sono
                in pace con me, ma non aspetto
                perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
                da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
                come tutte le madri dei poeti, povera
                e giusta nella misura d'amore
                per i figli lontani. Oggi sono io
                che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
                di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
                e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
                lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
                "Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
                di treni lenti che portavano mandorle e arance,
                alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
                di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
                questo voglio, dell'ironia che hai messo
                sul mio labbro, mite come la tua.
                Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
                E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
                per tutti quelli che come te aspettano,
                e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
                non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
                tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
                del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
                non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
                Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
                morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Povero Catullo

                  Povero Catullo, smetti di vaneggiare,
                  e quello che vedi  perduto, consideralo perduto.
                  Brillarono un tempo per te giorni luminosi,
                  quando andavi dovunque ti conduceva lei,
                  amata da noi quanto non sarà amata mai nessuna.
                  Lì allora si facevano quei tanti giochi d'amore,
                  che tu volevi e a cui lei non si negava.
                  Brillarono davvero per te un tempo giorno luminosi.
                  Ora lei non vuole più: Anche tu non volere, benché incapace di dominarti.
                  Non correre dietro a chi fugge, e non essere infelice,
                  ma con cuore risoluto resisti, non cedere.
                  Addio, fanciulla, ormai Catullo resiste,
                  non ti verrà a cercare, non pregherà più te che non vuoi;
                  ma tu ti dorrai se non sarai cercata.
                  Sciagurata, povera te! Che vita ti aspetta?
                  Chi verrà da te ora? Chi ti vedrà bella?
                  Chi amerai ? Di chi dirai di essere?
                  Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
                  Ma tu , Catullo, resisti, non cedere.
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