Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

La stella

Perdettero la stella un giorno.
Come si a perdere
La stella? Per averla troppo a lungo fissata…
I due re bianchi,
ch'eran due sapienti di Caldea,
tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
Ma la stella era svanita come svanisce un'idea,
e quegli uomini, la cui anima
aveva sete d'essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.

Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":

E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa,
nello specchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Un male senza fine donò Zeus a Titono

    Un male senza fine donò Zeus a Titono,
    la vecchiaia, più agghiacciante anche della morte penosa.
    ...
    Ma come un sogno breve è la giovinezza
    preziosa: presto, incombe sul capo
    la tormentosa e deforme vecchiaia,
    nemica, spregevole, che non fa più riconoscere l'uomo:
    danneggia gli occhi e la mente avviluppandoli.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Dimmi donna

      Dimmi donna dove nascondi il tuo mistero
      donna acqua pesante volume trasparente
      più segreta quanto più ti spogli
      quale è la forza del tuo splendore inerme
      la tua abbagliante armatura di bellezza
      dimmi non posso più con tante armi
      donna seduta sdraiata abbandonata
      insegnami il riposo il sonno e l'oblio
      insegnami la lentezza del tempo
      donna tu che convivi con la tua carne ignominiosa
      come accanto ad un animale buono e calmo
      donna nuda di fronte all'uomo armato
      togli dalla mia testa questo casco d'ira
      calmami guariscimi stendimi sulla fresca terra
      toglimi questi vestiti di febbre che mi asfissiano
      sommergimi indeboliscimi avvelena il mio pigro sangue
      donna roccia della tribù sbandata
      discingimi queste maglie e cinture di rigidezza e paura
      con cui mi atterrisco e ti atterrisco e ci separo
      donna oscura e umida pantano edenico
      voglio la tua larga fragrante robusta sapienza,
      voglio tornare alla terra e ai suoi succhi nutritivi
      che corrono sul tuo ventre e i tuoi seni e irrigano la tua carne
      voglio recuperare il peso e la completezza
      voglio che tu m'inumidisca, m'ammolli, m'effemini
      per capire la femminilità, la morbidezza umida del mondo
      voglio appoggiata la fronte nel tuo grembo materno
      tradire il ferreo esercito degli uomini
      donna complice unica terribile sorella
      dammi la mano torniamo ad inventare il mondo noi due soli

      voglio non distaccare mai gli occhi da te
      donna statua fatta di frutta colomba cresciuta
      lasciami sempre vedere la tua misteriosa presenza
      il tuo sguardo di ala e seta e lago nero
      il tuo corpo tenebroso e raggiante plasmato di slancio senza incertezze
      il tuo corpo infinitamente più tuo che per me quello mio
      e che dai di slancio senza incertezze senza tenerti niente
      il tuo corpo pieno e uno illuminato tutto di generosità
      donna mendicante prodiga porto del pazzo Ulisse
      non permettere che io dimentichi mai la tua voce di uccello memorioso
      la parola calamitata che nel tuo intimo pronunci sempre nuda
      la parola sempre giusta di folgorante ignoranza
      la selvaggia purezza del tuo amore insensato
      delirante senza freno abbrutito inviziato
      il gemito nettissimo della tenerezza
      lo sguardo pensieroso della prostituzione
      la cruda chiara verità
      dell'amore che assorbe e divora e si alimenta
      l'invisibile zampata della divinazione
      l'accettazione la comprensione la sapienza senza strade
      la spugnosa maternità terreno di radici
      donna casa del doloroso vagabondo
      dammi da mordere la frutta della vita
      la stabile frutta di luce del tuo corpo abitato
      lasciami reclinare la mia fronte funesta
      sul tuo grave grembo di paradiso boscoso
      spogliami acquietami guariscimi di questa colpa acre
      di non essere sempre armato ma soltanto io stesso.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
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        Scelte

        Scegliere una porta significa non aprirne altre.
        Un piacere presuppone che molti piaceri non verranno
        vissuti, così come ogni tristezza dispensa da tante tristezze.
        L'amante che porti a letto è uno tra tutti quelli possibili.
        La parola per cui opti impedisce l'uso di un numero
        indefinito di parole.
        Visiti un luogo perché altri luoghi restino ad aspettarti.
        Solo il giorno che sorge per la tua morte è un giorno
        qualsiasi, una casualità.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Per un bimbo

          Nevicò su la casa di tua madre,
          Ed essa ancora non sapeva nulla
          Di te, nulla, nemmeno con quali occhi
          la guarderesti.

          Sovente lungo il giorno ella moveva
          Timorosa così come se un male
          Da te la minacciasse, eppur tendeva
          La sua debole mano sul tuo sangue,
          Per tua difesa.

          Come il torbo mattino adduce il sole,
          Ella trasse dal buio la tua sorte.
          Ancora tu non eri su la terra,
          E dovunque già eri.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!

            Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
            E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
            La sera cullava già la terra,
            e sui monti si posava la notte;
            se ne stava vestita di nebbia la quercia,
            gigantesca guardiana, là
            dove la tenebre dai cespugli
            con cento occhi neri guardava.

            Da un cumulo di nubi la luna
            sbucava assonnata tra le nebbie;
            i venti agitavano le ali sommesse,
            sibilavano orridi al mio orecchio;
            la notte generava migliaia di mostri,
            ma io mille volte più coraggio avevo;
            il mio spirito era un fuoco ardente,
            il mio cuore intero una brace.

            Ti vidi, e una mite gioia
            passò dal tuo dolce sguardo su di me;
            fu tutto per te il mio cuore,
            fu tuo ogni mio respiro.
            Una rosea primavera
            colorava l'adorabile volto,
            e tenerezza per me, o numi,
            m'attendevo, ma meriti non avevo.

            L'addio, invece, mesto e penoso.
            Dai tuoi occhi parlava il cuore;
            nei tuoi baci quanto amore,
            oh che delizia, e che dolore!
            Partisti, e io restai, guardando a terra,
            guardando te che andavi, con umido sguardo;
            eppure, che gioia essere amati,
            e amare, o numi, che gioia!
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Poeti venturi

              Poeti venturi! Oratori, cantori, musicisti venturi!
              Non l'oggi può giustificarmi e chiarire chi sono,
              ma voi, nuova stirpe americana, atletica, continentale, la più grande mai conosciuta,
              destatevi! Spetta a voi giustificarmi.

              Io scriverò solo una o due parole per indicare il futuro,
              non potrò avanzare che per un attimo, per poi voltarmi e tornare in fretta nel buio.

              Io sono un vagabondo che non si ferma mai, che lascia cadere su voi, per caso,
              uno sguardo e subito volge la faccia,
              lasciandovi il compito di analizzarlo e definirlo,
              aspettando da voi le cose più importanti.
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