Pubblicata il 28 dicembre 2005 Il modello Perché non tenteremo la fortuna d'un bel sonetto biascicante in ore e dove il core rimi con amore e dove luna rimi con laguna? Pensiero! - E non bellezza inopportuna. Sincerità! - Il tema delle "otto ore". Amore! - Un tal che si trapassa il core per una sarta, al chiaro della luna. "Ma che arte, che lima!... Chi s'adopra, scrivendo, a farsi intendere con poca fatica, sarà valido e sincero... " Così farò. Così, lasciata l'opra del paiolo e del mestolo, la cuoca dirà con te: "Ma qui c'è del pensiero! ". Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 A un demagogo Tu dici bene: è tempo che consacri ai fratelli la mente che si estolle anche il poeta, citaredo folle rapido negli antichi simulacri! Non più le tempie coronate d'acri serti di rose alla Bellezza molle; venga all'aperto! Canti tra le folle, stenda la mano ai suoi fratelli sacri! E tu non mi perdoni se m'indugio, poiché di rose non si fanno spade per la lotta dei tuoi sogni vermigli. Ma un fiore gitterò dal mio rifugio sempre a chi soffre e sogna e piange e cade. Eccoti un fiore, o tu che mi somigli! Vota la poesia: Commenta
Pubblicata il 28 dicembre 2005 La loggia Noi ci vedemmo sotto cieli tetri, vite di Cipro, al tempo che tu arricci pochi rimasti pampini ed arsicci sui tralci immiseriti come spetri. Ci rivediamo che ricopri i vetri di verde folto, allacci di viticci e attingi coi tuoi grappoli biondicci la loggia, in alto, più di venti metri. Chi vede le tue prime foglie vizze, o loggia solatia, in Vigna Colta, come un'amica dolce ti ricorda. Tu fosti che indulgesti alle sue bizze, quando Centa vietava la raccolta alla piccola mano troppo ingorda. II. M'è caro, loggia, poi che le tue pigne la nuova luna di settembre invaia, piluccare i bei chicchi a centinaia fra le grandi compagini rossigne. Più mi compiaccio in te che nelle vigne, ma, poiché getto i fiocini ne l'aia, Centa s'avvede, Centa la massaia mi ricerca con l'iridi benigne. «Bevesti il latte che non è mezz'ora! Uva e latte dispandon per le membra tossico fino! Quella gola stolta!...» Sgridami, Centa! Sali come allora a condurmi pel braccio via! mi sembra che tu debba allevarmi un'altra volta... Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 L'esilio Non ti conobbi mai. Ti riconosco. Perché già vissi; e quando fui ministro d'un rito osceno, agitator di sistro t'ho posseduta al limite d'un bosco. Bene ravviso il sopracciglio fosco le bande fulve... Chi segnò di bistro l'occhio caprino gelido sinistro? Or ti rivedo in un giardino tosco, vergine impura, dopo mille e mille anni d'esilio. Tu, fatta Britanna, scendi in Italia a ricercarvi il sogno. Sono tre mila anni che t'agogno! Ma com'è lungi il sogno che m'affanna! Dove sono la tunica e le armille? ii. Dove sono la tunica e le armille d'elettro che portavi a Siracusa? E le fontane e i templi d'Aretusa e l'erme e gli oleandri delle ville? Del tempo ti restò nelle pupille soltanto la lussuria che t'accusa, vergine impura dalla fronte chiusa tra le due bande lucide e tranquille. E questa sera tu lasci le danze (per quel ricordo al limite d'un bosco? ) tutta fremendo, come un'arpa viva. Giungono i suoni dalle aperte stanze fin nel giardino... O bocca! Riconosco bene il profumo della tua genciva! Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Garessio Dalle finestre medioevali e oscure non più le dame guardano i cavalli e i cavalier passar per queste valli, corruscanti di lucide armature. Dalle finestre medioevali e oscure non più ridon le dame ai bei vassalli, ma i garofani bianchi, rossi, gialli protendono le gran capigliature... Pace e Silenzio! Fiori alle finestre che invitano a piacevoli pensieri! Ed ecco in alto, nel dirupo alpestre fra le balze dei ripidi sentieri Voi, o Maria, Voi che date al vento il dolce riso e i bei capelli neri! Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Fratelli Nell'impero dell'acque e delle nubi dove regnava il pecoraio e il gregge, o Numero, già fatta è la tua legge dalla potenza delli ordegni indubi. Conduce un filo il moto che tu rubi all'acqua e vola cento miglia e regge gli opifici rombanti di pulegge e di magli terribili e di tubi. Ben riconosco il Verso tuo fratello onnipossente Numero! Tu fai a noi men disagevole il sentiero. E il tuo parente più leggiadro e snello ci fiorisce le soste di rosai e di menzogne dolci più del Vero Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Il corruscante cielo d'Oriente a gran distesa lodano gli uccelli, Aurora arrossa i bianchi capitelli sul tempietto di Leda, intensamente. Tolgon commiato tra le faci spente gli ospiti stanchi. Un servo aduna i belli fiori che inghirlandano i capelli e li gitta allo stagno, indifferente. Le rose aulenti nella notte insonne, le rose agonizzanti, morte ai baci nelle capellature delle donne, scendon piano con l'alighe tenaci, in su la melma livida e profonda, con le viscide larve dei batraci. II. Pace alle rose in fondo dello stagno, in loro fredda orrenda sepoltura; pur anche la sua gran capellatura dischioma l'olmo il pioppo ed il castagno. Il cigno guata, mutolo e grifagno, lo stagno ricolmarsi di frondura. Silla, sognamo. Tutto ci assicura l'ultima pace e l'ultimo guadagno. Guarda, fratello: innumeri le foglie attorte e rosse e gialle, senza strazio, distaccansi dal ramo, lentamente; la Madre antica in sé tutte le accoglie. Sognamo, Silla, memori d'Orazio, quel sogno confortante che non mente. III. Perché morire? La città risplende in Novembre di faci lusinghiere; e molli chiome avrem per origliere, bendati gli occhi dalle dolci bende. Dopo la tregua è dolce risapere coppe obliate e trepide vicende - bendati gli occhi dalle dolci bende - novellamente intessere al Piacere. Ma pur cantando il canti di Mimnerno sento che morta è l'Ellade serena in questo giorno triste ed autunnale. L'anima trema sull'enigma eterno; fratello, soffro la tua stessa pena: attendo un'Alba e non so dirti quale. IV. Che giovò dunque il gesto di chi disse: «Il gran Pan non è morto! Ecco la via dell'allegrezze nove. Ovunque sia dato l'annunzio del novello Ulisse! Il flavo Galileo che ci afflisse di tenebrore e di malinconia e quella scialba vergine Maria e quella croce diamo alle favisse!»? Nulla giovò. L'impavide biasteme non rianimeran lo spento sguardo dei numi elleni sugli antichi marmi. «Lor giuventude vive sol nei carmi.» Secondo la parola del Vegliardo il fato ineluttabile li preme. Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Il frutteto Anche né malinconico né lieto (forse la consuetudine assecondo cara d'un tempo al bel fanciullo biondo) oggi varco la soglia del frutteto. Ah! Vedo, vedo! Come lo ravviso! È bene questo il luogo; in questa calma conchiusa, certo l'intangibil salma giacque per sempre dell'amor ucciso, del vero antico Amore ch'io cercai malinconicamente per l'inquieta mia giovinezza, la raggiante mèta sì perseguìta e non raggiunta mai. Or mi soffermo con pupille intente: le cose mi ritornano lontano nel Tempo - irrevocabile richiamo! - mi rivedo fanciullo, adolescente. O belle, belle come i belli nomi, Simona e Gasparina, le gemelle! Pur vi rivedo in vesta d'angelelle dolce-ridenti in mezzo a questi pomi. Ed anche qui le statue e le siepi ed il busso ribelle alle cesoie. (Natali dell'infanzia, o buone gioie, quando n'ornavo i colli dei presepi!) Ma sull'erme, sui cori, sopra il busso simmetrico, sui lauri, sugli spessi carpini, sulle rose, sui cipressi, sulle vestigia dell'antico lusso da cento anni un folto si compose di pomi e peri; il regno statuario ricoperse; nel florido sudario sfiorirono le siepi delle rose; nell'ombre il musco ricoperse i cori curvi di marmo intatto (l'Antenata non vede lo sfacelo, contristata?) e nell'ombre languirono gli allori. Son l'ombre di una gran pace tranquille: il sole, trasparendo dall'intrico, segna la ghiaia del giardino antico di monete, di lunule, d'armille. M'avanzo pel sentiero ormai distrutto dalla gramigna e dal navone folto; ascolto il gran silenzio, intento, ascolto il tonfo malinconico d'un frutto. Ma quanti frutti! Cadono in gran copia in terra, sui busseti, sui rosai: sire Autunno, quest'anno come mai, munifico vuotò la cornucopia. O gioco strano! Pur nella faretra di Diana cadde una perfetta pera, così perfetta che non sembra vera ma sculturata nell'istessa pietra. Il frutto altorecato assai mi tenta: balzo sul plinto, il dono della Terra tolgo alli acuti simboli di Guerra, avvincendomi all'erma sonnolenta. S'adonta ella, forse, ch'io la tocchi, l'erma dal guardo gelido e sinistro? (il tempo edace lineò di bistro le palpebre lapidee delli occhi). Ma un sorriso ermetico, ha la faccia attirante, soffuso di promesse, - O miti elleni! - s'ella mi stringesse d'improvviso, così, tra le sue braccia! - E tolgo e mordo il frutto avventurato e mi pare di suggere dal frutto un'infinita pace, un bene, tutto tutto l'oblio del tedio e del passato. Ma guardo in torno. Vedo teoria d'erme ridenti in loro bianche clamidi, ridendi tra le squallide piramidi del busso. - Torna la malinconia: Ridevano così quando mio padre esalò la grande anima e pur tali (udranno allor le mie grida mortali?) sorrideranno e morirà mia madre. Ridevano così che nella culla dormivo inconsapevole d'affanno: implacabili ancor sorrideranno quando di me non resterà più nulla. Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 L'altro L'Iddio che a tutto provvede poteva farmi poeta di fede; l'anima queta avrebbe cantata la fede. Mi è strano l'odore d'incenso: ma pur ti perdono l'aiuto che non mi desti, se penso che avresti anche potuto, invece di farmi gozzano un po' scimunito, ma greggio, farmi gabrieldannunziano: sarebbe stato ben peggio! Buon Dio, e puro conserva questo mio stile che pare lo stile d'uno scolare corretto un po' da una serva. Non ho nient'altro di bello al mondo, fra crucci e malanni! M'è come un minore fratello, un altro gozzano: a tre anni. Gli devo le ore di gaudi più dolci! Lo tengo vicino; non cedo per tutte Le Laudi quest'altro gozzano bambino! Gli prendo le piccole dita, gli faccio vedere pel mondo la cosa che dicono Mondo, la cosa che dicono Vita... Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Un tulle, verdognolo d'alga, l'avvolge: bellissimo all'occhio, ed Ella m'accenna dal cocchio - si sfolla il teatro - ch'io salga: «Positivista irredento un'ora fraterna e un the raro a casa vo' darle e il commento dell'opere di Fogazzaro». Sì! Vengo! Ideale, convertirci gli ardori dell'anime calme; uniscile come le palme toccantesi solo coi vertici. Le forme bellissime sue non curo, o Signora! Il Maestro (non so se pudìco o maldestro) ci vieta servircene a due. Daniele non bacia la bocca, ma fugge per Fede e Speranza, vaporeggiando a distanza l'amor della Donna non tocca. Ah! Lungi l'orrore dei sensi! E noi penseremo, o Signora, l'azzurreggiante d'incensi Cappella Sistina canora. Papaveri! E l'ora più blanda faremo, Signora, con quella del Sonno tremenda sorella: (prodigio di versi!...) Miranda. Dispongo le carni compunte, Marchesa, mia pura sorella, la palma pensando, che snella non lega le basi alle punte. Le basi... le punte incorrotte... il the... Fogazzaro... Marchesa! Ma questo sparato mi pesa! Non ho la camicia da notte... Vota la poesia: Commenta Ultimi argomenti inseriti