Poesie d'Autore


Scritta da: Widmer Valbonesi
in Poesie (Poesie d'Autore)

Merlo di speranza

Cammino là in quel giardino
in mezzo ad alberi ormai spogli
su foglie secche ed appassite
che scricchiolano ormai morte
ed interfacciano il mio cuore.

Ritorno in quel sentiero
e lascio le mie orme
sulla brina che il sole
scioglierà e cancellerà
come le parole d'amore
scritte sulla sabbia
dopo una mareggiata mattutina,
lettere, al tramonto, insieme
disegnate nella risacca
e quel mio passaggio rimarrà
come meteora nel cielo.

Stamattina nel silenzio
in mezzo al prato una viola
e un ciclamino alzano la testa
al riverbero dell'aurora.
Un merlo esce dalla siepe
d'incanto avverti che c'è la vita,
la speranza rinasce in quella quiete.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La preraffaelita

    Sopra lo sfondo scialbo e scolorito
    surge il profilo della donna intenta,
    esile il collo; la pupilla spenta
    pare che attinga il vuoto e l'infinito.

    Avvolta d'ermesino e di sciamito
    quasi una pompa religiosa ostenta;
    niuna mollezza femminile allenta
    l'esilità del busto irrigidito.

    Tien fra le dita de la manca un giglio
    d'antico stile, la sua destra posa
    sopra il velluto d'un cuscin vermiglio.

    Niuna dolcezza è ne l'aspetto fiero;
    emana da la bocca lussuriosa
    l'essenza del Silenzio e del Mistero.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Non turbate il silenzio. Tutto tace
      verso la donna rivestita a lutto:
      la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
      illude la dolente... O pace! Pace!

      O pace, pace! Poiché nulla spera
      ormai la donna declinante. Invano
      fiorisce di viole il colle e il piano:
      non ritorna per lei la primavera.

      Oh antiche primavere! Oh i suoi vent'anni
      oimè per sempre dileguati. Quanto,
      oh quanto ella ha sofferto e come ha pianto!
      Atroci sono stati i suoi affanni.

      Nulla più spera ormai: però la bella
      timida primavera che sorride
      dilegua la mestizia che la uccide,
      e un sogno antico in lei si rinnovella.

      Non pure ieri il piede ella volgea
      allo stagno che l'isola circonda?
      Ella recava un libro ove la bionda
      reina per il paggio si struggea:

      (avea il volume incisioni rare
      dove il bel paggio con la mano manca
      alla donna offeria la rosa bianca
      e s'inchinava in atto d'adorare).

      O sogni d'altri tempi, o tanto buoni
      sogni d'ingenuità e di candore,
      non sapevate il vuoto e il vostro errore
      o innocenti d'allor decameroni!

      Ella col libro qui venia leggendo
      e a quando a quando in terra s'inchinava
      la mammola, l'anemone, e la flava
      primula prestamente raccogliendo.

      Oh tutto Ella ricorda: le turchine
      rose trapunte della bianca veste,
      la veste bianca in seta, e la celeste
      fascia che le gonfiava il crinoline.

      Poi apriva il cancello, e il ponte stesso
      dove or riposa la persona stanca
      allora trascorreva agile e franca
      né s'indugiava come indugia adesso.

      Poi entrava nell'isola, e furtiva
      in fra il tronco del tremulo e del faggio
      guatava se al boschivo romitaggio
      l'amico del suo sogno conveniva.

      Oh tutto Ella ricorda! Ecco apparire
      l'Amato: giunge al margine del vallo
      dell'acque, e raffrenato il suo cavallo
      il cancello la supplica d'aprire.

      "Non dunque accetta è l'umile dimanda
      del vostro paggio, o bella castellana?
      Combattuto ha per voi; fatto gualdana
      egli ha per voi, magnifica Jolanda. "

      Egli disse per gioco. D'un soave
      sorriso ella rispose: assai le piacque
      il madrigale, ed al di là dell'acque,
      sorridendo d'amor, getta la chiave.

      Oh tutto Ella rammemora. Non fu
      ieri? No, non fu ieri. Il lungo affanno
      ella dunque già scorda? O atroce inganno
      quel dolce aprile non verrà mai più...

      Non turbate il silenzio. Tutto tace
      verso la donna rivestita a lutto,
      la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
      illude la dolente... O pace, pace!
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La falce

        I.

        Giugno. Per le finestre il sole inonda
        la bella stanza d'una luce aurina:
        freme la messe ai solchi della china,
        la messe ormai matureggiante e bionda.

        La bruna sposa sede alla vicina
        cuna ancor vuota: pare ch'Ella asconda
        un gran segreto quando l'occhio inchina
        al seno stanco che l'amor feconda.

        È la cuna ancor vuota, ma Ella sente
        che l'ora dell'avvento è assai vicina
        che ben presto il Messia sarà presente.

        E a quel pensiero il bruno capo inchina
        al lavoro sottil, le mani adopra
        su le fasce su i lini su la trina.

        ii.

        Ottobre. Per i vetri Autunno inonda
        la bella stanza delle luci estreme:
        vanno i bifolchi cospargendo il seme
        su per la china con canzon gioconda.

        La sposa agonizzante in su la sponda
        del letto sta riversa e più non geme
        e accanto a lei nato e morto insieme
        è il bambino difforme. Una profonda

        quiete è d'intorno: sopra il lin vermiglio
        tutto di sangue che un baglior rischiara
        la sposa muore, bianca come un giglio.

        La Morte, intanto, il feretro prepara:
        e l'alba di diman la madre e il figlio
        saran racchiusi nella stessa bara.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Perché nel vetro di Boemia antica,
          dopo un'ora, già langue l'aromale
          fior che m'offerse la mia dolce Amica?

          Ché la verbena vi languisce, quale
          la Donna amante il biondo Garcilaso
          già martoriata dal segreto male.

          Io so quel male: il calice del vaso
          la bella mano - o gran disavventura! -
          col ventaglio d'avorio urtò per caso.

          E pur bastò. La lieve incrinatura
          è insanabile ormai; il morituro
          fiore s'inchina, stanco, nell'arsura,

          ché la ferita del cristallo duro
          tacitamente compie tutto il giro
          per cammino invisibile e sicuro.

          Vanisce l'acqua e muore il fiore. Io miro
          il calice mortifero che serba
          quasi non traccia di ferita in giro,

          e una assai trista simiglianza e acerba
          sento fra il vetro e il calice d'un cuore
          sfiorato a pena da una man superba.

          La ferita da sé, senza romore,
          il calice circonda nel rotondo
          e il fior d'amore a poco a poco muore.

          Il cuor che sano e forte pare al mondo
          sèrpere senta la segreta pena
          in cerchio inesorabile e profondo.

          E pur la mano l'ha sfiorata a pena...
          Perché nel vetro di Boemia antica,
          dopo un'ora, già langue la verbena

          che vi compose la mia dolce Amica?
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Il volto un poco inchina
            - né triste né giocondo -
            sopra il seno infecondo
            la Donna sibillina.

            Il piucheumano mesto
            volto sacerdotale
            l'assembra una vestale
            senza parola e gesto.

            Da lunga data tiene
            i frutti contro il seno,
            né i polsi vengon meno
            nella fatica lene.

            Ardon di pari ardore
            i frutti della Terra
            ch'Ella commisti serra
            con quelli dell'Amore.

            E nel suo cuore ascoso
            un brivido la scuote:
            pensa dolcezze ignote
            in braccio dello Sposo.

            Quando l'Annunciatore
            verrà nel suo cospetto
            recando il bacio e il detto
            del dolce suo Signore,

            allor su l'origliere
            per Lui tutti disserra
            e i frutti della Terra
            e i frutti del Piacere.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Laudata sii dal figlio
              che, compiuti vent'anni
              oggi lascia li inganni
              ritorna come giglio.
              Oggi il candor riceve
              sull'anima perduta
              della bianca caduta
              in terra prima neve,
              se la tua mano fina
              sì tenera e sì affranta
              recando l'Ostia Santa
              verso di lui s'inchina.
              Egli che tu ben sai
              per motivo nessuno
              ai ginocchi d'alcuno
              non si prostese mai,
              ai tuoi ginocchi indice
              l'umilicordia e attende
              mentre i labbri protende
              all'ostia redentrice.
              Oggi, lasciati i gaudi
              e i canti del Piacere,
              solleva l'incensiere
              di tutte le sue laudi.
              Laudata per l'amore
              - il solo di sua vita -
              per sua dolce infinita
              pazienza nel dolore.
              Eretta sullo stelo
              o Rosa adamantina
              invitta a la ruina,
              invitta a lo sfacelo,
              la casa il gran valore
              sorregge di sue vene,
              come i solchi trattiene
              la radice di un fiore.
              Più che la laboriosa
              femina dell'Ebreo,
              Madre di Galileo,
              o madre mia dogliosa,
              voglio esaltarti: voglio
              su le tempie che adoro
              recingere l'alloro
              del mio protervo orgoglio.
              Laudata sii. Il greve
              peso dell'esser mio
              nel mese che un iddio
              nasceva su la neve
              tu desti in luce. Forse
              venne l'Annunciatore
              e il bacio del Signore
              anche al tuo labbro porse?
              O sogno! Allora anch'io
              (il supremo che agogno
              sogno è raggiunto. O sogno!)
              son figlio d'un iddio?

              Ho un biasimo solo dal quale
              saprai la mia gioia di vita.
              Perché non mi hai fatto immortale?
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Poi che il romano Uccello lo stendardo
                latino impose su l'itale terre
                surgesti minaccioso baluardo.

                Surgesti minaccioso e nelle guerre
                che devastaron la campagna opima
                gran nerbo di guerrieri entro rinserre.

                Allora Duca non v'era non Reïna,
                ma molti feditori e balestrieri
                per il peggio dell'oste e la ruina.

                Rozzo sorgevi allora, ma tra i neri
                fianchi adunavi impavida coorte
                d'uomini armati di coraggio e fieri.

                Da i tuoi muri turriti da la forte
                ossatura dei fianchi da i bastioni
                le bertesche gittavano la morte

                su i signori feudali, su i baroni
                vogliosi di posar la man predace
                su nuove terre e aver nuovi blasoni.

                L'Evo Medio passò, ma non si tace
                per anco il ferro: i Conti San Martino
                nell'antico manier non hanno pace.

                Il Torresan, secondo Attila, insino
                questi colli per ordine di Francia
                porta guerra con suo stuolo ferino.

                Ma il Bassignana sua coorte slancia
                e, mentre fra le braccia di Leonarda
                meretrice quei dorme, ecco l'abbrancia.

                Nel diruto castello fino a tarda
                etade vive Donna Caterina
                sposa esemplare in epoca beffarda.

                E contro il Cardinale che Cristina
                di Francia come sua suddita guarda
                Don Filippo difende la Regina.

                Per alcun tempo qui, quando la tarda
                baronia declinò, ristette l'urna
                che d'Arduino il cenere riguarda.

                Ma invidïosa poi ladra notturna
                viene coi bravi antica Marchesana,
                l'urna si toglie e fugge taciturna.

                O quante larve vivono d'arcana
                vita in miei sogni! Parlano gli abeti
                del grande parco, s'anima la piana

                dei prati illustri. Appare fra i laureti
                bella ospite del Re Carlo Felice
                Maria Luisa da i grandi occhi inquieti

                ed ecco il Re che un'era nuova indice,
                ecco Maria Cristina sua consorte,
                ecco risorta l'epoca felice.

                Così mentre m'aggiro e su le morte
                foglie premo col piede lungo il viale
                mille imagini son da me risorte.

                E tutto tace. Non il sepolcrale
                silenzio rompe il suono delli squilli
                non latrato di veltri. L'autunnale

                luce è silente. Non canto di grilli
                estivo e roco. Solo indefinito
                fievole viene un suono di zampilli.

                È il ferro di cavallo. Quivi ardito
                sul delfino cavalca ancor Nettuno
                di verdi-gialli licheni vestito.

                Le sirene lapidee dal bruno
                manto di musco accennano al ferrigno
                Signor del luogo. E non risponde alcuno.

                Però su l'acque in tempo eguale il Cigno
                muove le palme con ritmo silente
                e volge attorno l'occhio fiero e arcigno.

                Sogna ancor forse Leda nelle intente
                pupille nere lungo la divina
                sponda d'Eurota? Ahimè, la Dea è assente.

                Ma fra i mirti, fra i lauri la Regina
                del luogo appare cavalcante e bionda
                come bianca matrona bizantina.

                Avanza il baio fino su la sponda
                del bacino. Si specchia trepidante
                la signora nell'acqua. E il sol la inonda.

                E l'erme antiche memori di tante
                Iddie pagane del bel mito assente
                la rediviva Diana cavalcante

                guatano immote, misteriosamente.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Dal pavimento di musaico, snelli
                  colonnati surgevano a spirale
                  s'attorcevano in forma vegetale
                  li acanti d'oro sotto i capitelli.

                  Quivi posava un vaso - trionfale
                  sculptura greca - e ai dì lontani e belli
                  di Venere accorrean schiave a drappelli
                  per colmarlo di mirra e d'aromale.

                  E le turbe obliavano l'orrore
                  aspirando l'aulir dell'incensiere
                  lenitore d'affanni e di dolore.

                  Simile a l'urna Voi amo vedere,
                  dolce Signora, che col vostro amore,
                  m'offerite la coppa del Piacere.
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Mammina diciottenne

                    Non mai - dico non mai - così m'infiamma
                    il senso d'una vita bella e forte
                    come quando apparite nelle corte
                    gonnelle d'alpinista, esile damma!

                    Non m'irridete! Ché nessuna fiamma
                    come costoro che vi fan coorte
                    m'invita a seguitar la vostra sorte,
                    o Margherita, giovinetta Mamma!

                    O Margherita, mamma diciottenne,
                    chinatevi sul bimbo vostro e ad ogni
                    bacio s'unisca l'oro delle teste.

                    Guardandovi così fu che mi venne
                    come un rimorso di cattivi sogni
                    e un desiderio di parole oneste.
                    Vota la poesia: Commenta