Poesie d'Autore


Scritta da: Widmer Valbonesi
in Poesie (Poesie d'Autore)

La fuga finirà

Scappa, scappa, eterna insoddisfatta
sogna pure quell'amore
che non trovi, cerca attenzione
fra menti indifferenti.
Un giorno capirai
che ciò che vuoi
lo trovi in ciò che hai.
Vivilo con me il tuo
desiderio di nuovo.

Non ci sono destini fabbricati
Da eterne insoddisfazioni.
Scappa, scappa ma il mio ti amo
E la mia tenerezza, ovunque
ti raggiungeranno
e da me riporteranno
te, la tua mente, i tuoi sogni
e il tuo desiderio di amore.
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    Scritta da: Widmer Valbonesi
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'abbandono

    Riappari, irresistibile richiamo
    di un'eco non lontana
    E scrivo altre parole
    che si sparpagliano nel vento
    come foglie già appassite.
    Non più farfalle che rapite
    cercano il nettare nei fiori.
    Inutili sillabe o canzoni
    che mai potranno riportarmi
    il tuo amore o quelle parole
    languide che pronunciavi
    nell'abbandono.
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      Scritta da: Widmer Valbonesi
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Sembra l'infinito

      Canti di germani reali
      e voli di alzavole che si
      stampano nel cielo rosa
      del tramonto autunnale.
      Odore di salsedine
      che giunge nella stanza
      e si amalgama ai sospiri
      dei corpi tesi nell'amore.

      Guizzi di piacere
      come sprazzi di luce
      che nascono dai brillanti
      li percorrono come brezza
      e come languida carezza
      in un crescendo piano piano,
      si fonde nel crogiolo quell'amore
      e…. sembra l'infinito.
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        Scritta da: Widmer Valbonesi
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Cartella senza password

        Ho aperto una cartella nel mio cuore
        e l'ho siglata con la parola amore.
        Tutto; gioie, dolori, desideri, passioni
        ed emozioni, gelosie, litigi e delusioni,
        stimoli, rispetto, affetto ed ambizioni.
        Tutto ho depositato in quel ricordo
        tutto quanto lì io ho archiviato.
        Poi, ho battuto, chiudendo gli occhi,
        dieci volte la tastiera a caso,
        …. una password sconosciuta
        m'impedirà di riaprire la cartella.
        Chissà se quella parola chiave
        saturerà la mia ferita!
        Così profonda oggi, mi appare
        e solo il tempo piano piano
        dirà un giorno se è guarita.
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          Scritta da: Widmer Valbonesi
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Merlo di speranza

          Cammino là in quel giardino
          in mezzo ad alberi ormai spogli
          su foglie secche ed appassite
          che scricchiolano ormai morte
          ed interfacciano il mio cuore.

          Ritorno in quel sentiero
          e lascio le mie orme
          sulla brina che il sole
          scioglierà e cancellerà
          come le parole d'amore
          scritte sulla sabbia
          dopo una mareggiata mattutina,
          lettere, al tramonto, insieme
          disegnate nella risacca
          e quel mio passaggio rimarrà
          come meteora nel cielo.

          Stamattina nel silenzio
          in mezzo al prato una viola
          e un ciclamino alzano la testa
          al riverbero dell'aurora.
          Un merlo esce dalla siepe
          d'incanto avverti che c'è la vita,
          la speranza rinasce in quella quiete.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La preraffaelita

            Sopra lo sfondo scialbo e scolorito
            surge il profilo della donna intenta,
            esile il collo; la pupilla spenta
            pare che attinga il vuoto e l'infinito.

            Avvolta d'ermesino e di sciamito
            quasi una pompa religiosa ostenta;
            niuna mollezza femminile allenta
            l'esilità del busto irrigidito.

            Tien fra le dita de la manca un giglio
            d'antico stile, la sua destra posa
            sopra il velluto d'un cuscin vermiglio.

            Niuna dolcezza è ne l'aspetto fiero;
            emana da la bocca lussuriosa
            l'essenza del Silenzio e del Mistero.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Non turbate il silenzio. Tutto tace
              verso la donna rivestita a lutto:
              la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
              illude la dolente... O pace! Pace!

              O pace, pace! Poiché nulla spera
              ormai la donna declinante. Invano
              fiorisce di viole il colle e il piano:
              non ritorna per lei la primavera.

              Oh antiche primavere! Oh i suoi vent'anni
              oimè per sempre dileguati. Quanto,
              oh quanto ella ha sofferto e come ha pianto!
              Atroci sono stati i suoi affanni.

              Nulla più spera ormai: però la bella
              timida primavera che sorride
              dilegua la mestizia che la uccide,
              e un sogno antico in lei si rinnovella.

              Non pure ieri il piede ella volgea
              allo stagno che l'isola circonda?
              Ella recava un libro ove la bionda
              reina per il paggio si struggea:

              (avea il volume incisioni rare
              dove il bel paggio con la mano manca
              alla donna offeria la rosa bianca
              e s'inchinava in atto d'adorare).

              O sogni d'altri tempi, o tanto buoni
              sogni d'ingenuità e di candore,
              non sapevate il vuoto e il vostro errore
              o innocenti d'allor decameroni!

              Ella col libro qui venia leggendo
              e a quando a quando in terra s'inchinava
              la mammola, l'anemone, e la flava
              primula prestamente raccogliendo.

              Oh tutto Ella ricorda: le turchine
              rose trapunte della bianca veste,
              la veste bianca in seta, e la celeste
              fascia che le gonfiava il crinoline.

              Poi apriva il cancello, e il ponte stesso
              dove or riposa la persona stanca
              allora trascorreva agile e franca
              né s'indugiava come indugia adesso.

              Poi entrava nell'isola, e furtiva
              in fra il tronco del tremulo e del faggio
              guatava se al boschivo romitaggio
              l'amico del suo sogno conveniva.

              Oh tutto Ella ricorda! Ecco apparire
              l'Amato: giunge al margine del vallo
              dell'acque, e raffrenato il suo cavallo
              il cancello la supplica d'aprire.

              "Non dunque accetta è l'umile dimanda
              del vostro paggio, o bella castellana?
              Combattuto ha per voi; fatto gualdana
              egli ha per voi, magnifica Jolanda. "

              Egli disse per gioco. D'un soave
              sorriso ella rispose: assai le piacque
              il madrigale, ed al di là dell'acque,
              sorridendo d'amor, getta la chiave.

              Oh tutto Ella rammemora. Non fu
              ieri? No, non fu ieri. Il lungo affanno
              ella dunque già scorda? O atroce inganno
              quel dolce aprile non verrà mai più...

              Non turbate il silenzio. Tutto tace
              verso la donna rivestita a lutto,
              la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
              illude la dolente... O pace, pace!
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La falce

                I.

                Giugno. Per le finestre il sole inonda
                la bella stanza d'una luce aurina:
                freme la messe ai solchi della china,
                la messe ormai matureggiante e bionda.

                La bruna sposa sede alla vicina
                cuna ancor vuota: pare ch'Ella asconda
                un gran segreto quando l'occhio inchina
                al seno stanco che l'amor feconda.

                È la cuna ancor vuota, ma Ella sente
                che l'ora dell'avvento è assai vicina
                che ben presto il Messia sarà presente.

                E a quel pensiero il bruno capo inchina
                al lavoro sottil, le mani adopra
                su le fasce su i lini su la trina.

                ii.

                Ottobre. Per i vetri Autunno inonda
                la bella stanza delle luci estreme:
                vanno i bifolchi cospargendo il seme
                su per la china con canzon gioconda.

                La sposa agonizzante in su la sponda
                del letto sta riversa e più non geme
                e accanto a lei nato e morto insieme
                è il bambino difforme. Una profonda

                quiete è d'intorno: sopra il lin vermiglio
                tutto di sangue che un baglior rischiara
                la sposa muore, bianca come un giglio.

                La Morte, intanto, il feretro prepara:
                e l'alba di diman la madre e il figlio
                saran racchiusi nella stessa bara.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Perché nel vetro di Boemia antica,
                  dopo un'ora, già langue l'aromale
                  fior che m'offerse la mia dolce Amica?

                  Ché la verbena vi languisce, quale
                  la Donna amante il biondo Garcilaso
                  già martoriata dal segreto male.

                  Io so quel male: il calice del vaso
                  la bella mano - o gran disavventura! -
                  col ventaglio d'avorio urtò per caso.

                  E pur bastò. La lieve incrinatura
                  è insanabile ormai; il morituro
                  fiore s'inchina, stanco, nell'arsura,

                  ché la ferita del cristallo duro
                  tacitamente compie tutto il giro
                  per cammino invisibile e sicuro.

                  Vanisce l'acqua e muore il fiore. Io miro
                  il calice mortifero che serba
                  quasi non traccia di ferita in giro,

                  e una assai trista simiglianza e acerba
                  sento fra il vetro e il calice d'un cuore
                  sfiorato a pena da una man superba.

                  La ferita da sé, senza romore,
                  il calice circonda nel rotondo
                  e il fior d'amore a poco a poco muore.

                  Il cuor che sano e forte pare al mondo
                  sèrpere senta la segreta pena
                  in cerchio inesorabile e profondo.

                  E pur la mano l'ha sfiorata a pena...
                  Perché nel vetro di Boemia antica,
                  dopo un'ora, già langue la verbena

                  che vi compose la mia dolce Amica?
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)
                    Il volto un poco inchina
                    - né triste né giocondo -
                    sopra il seno infecondo
                    la Donna sibillina.

                    Il piucheumano mesto
                    volto sacerdotale
                    l'assembra una vestale
                    senza parola e gesto.

                    Da lunga data tiene
                    i frutti contro il seno,
                    né i polsi vengon meno
                    nella fatica lene.

                    Ardon di pari ardore
                    i frutti della Terra
                    ch'Ella commisti serra
                    con quelli dell'Amore.

                    E nel suo cuore ascoso
                    un brivido la scuote:
                    pensa dolcezze ignote
                    in braccio dello Sposo.

                    Quando l'Annunciatore
                    verrà nel suo cospetto
                    recando il bacio e il detto
                    del dolce suo Signore,

                    allor su l'origliere
                    per Lui tutti disserra
                    e i frutti della Terra
                    e i frutti del Piacere.
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