Poesie d'Autore


Scritta da: Widmer Valbonesi
in Poesie (Poesie d'Autore)

Più di un sogno

Volare alto nel cielo,
dove non ci sono nuvole
e campeggia sempre il sole.
Dipingere con pennelli di emozioni
le pagine bianche della vita
di forti sentimenti colorati.
I sogni non durano
e le illusioni spariscono
disperse dal vento della realtà.
Ma vivere è più di un sogno.
È una continua melodia dove
Si può anche stonare, ma dove
anche una sola nota dolce
può regalarti... la felicità.
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    Scritta da: Widmer Valbonesi
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Fremito

    È lì nel dormiveglia,
    confine dove si intrecciano
    desideri e sogni,
    dove i piaceri sembrano realtà,
    è lì, che modello il tuo corpo
    nelle mie lenzuola,
    ti abbraccio nel cuscino
    ed ho un brivido di gioia.
    È lì, che abbandono le spine
    e rifiuto ogni dolore
    in un mare di passione
    creo un'isola di tenerezza
    su un 'amaca mi dondolo,
    e la tua onda mi lambisce.
    Ad occhi ancora chiusi aspetto
    quel fremito che ti catturi l'anima.
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      Scritta da: Widmer Valbonesi
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Cascata di stelle

      Il giorno che verrà
      sarà l'ultimo
      di questo anno mesto.
      Bagliori e botti di petardi
      sfuocano il chiarore delle stelle,
      provocano guaiti di cani spaventati.
      Cenoni e tappi di spumante
      confondono l'intelletto e danno
      l'illusione, in tanto sfarzo,
      che l'anno che verrà sarà migliore.
      Si alza la brezza dell'aurora
      e quella nebbia acre inghiottirà.
      L'alba del nuovo anno il cielo
      tinteggerà del chiarore delle rose.
      Chissà se mi porterà nuovi sussurri
      e cascate di stelle sprigionate
      dal piacere dei tuoi teneri abbracci.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La ballata dell'Uno

        L'Uno è tutto esaurito,
        non lo trova più nessuno,
        a chi dà copia dell'Uno
        un milione è profferito.

        Col più gran caffè concerto
        vien Giolitti un poco male
        per un male un poco incerto,
        vien con tutto il personale
        del Suffragio Universale.
        Ma - pagliaccio o rosso o bruno -
        tutti chiedono dell'Uno,
        l'Uno già tutto esaurito.

        Finalmente il Vaticano
        lascia il Papa ed il Concilio,
        balla il tango col sovrano
        dal garofano vermiglio.
        Tutti vanno in visibilio:
        il prelato col tribuno,
        tutti chiedono dell'Uno:
        l'Uno - ahimè - tutto esaurito!

        Trema all'Uno e terra e mare!
        La San Giorgio per isbaglio
        si rimette a galleggiare,
        perciò grato l'ammiraglio
        contro un già prossimo incaglio
        contro i tiri di Nettuno
        premunirsi vuol dell'Uno,
        l'Uno - ohimè - tutto esaurito!

        Stanco d'essere il fantoccio
        d'un insipido frasario
        grida Verdi: Alfin mi scoccio
        di cotesto centenario.
        Qui m'annoio solitario.
        Ecco il Numero. Ma l'Uno?
        L'Uno - ohimè - non l'ha nessuno,
        l'Uno è già tutto esaurito!

        Levigandosi l'alloro
        Gabriele inquieto appare:
        un mistero: il Pomo d'oro
        ben volevo ricercare
        sul rarissimo esemplare.
        Gabriele andrà digiuno;
        splende il numero, ma l'Uno,
        l'Uno è già tutto esaurito.

        Vien Mascagni truce in vista
        ché su l'Uno spera già
        e già teme un'intervista
        "Poiché io sono - ognun lo sa -
        mammoletta d'umiltà... "
        - Che voi siate un fiore o un pruno,
        gran maestro, fa tutt'uno,
        l'Uno è già tutto esaurito.

        Térésah, Carola, Amalia,
        l'altre insigni letterate,
        che oggi infiammano l'Italia,
        si presentano infiammate
        come tante forsennate:
        un prurito inopportuno
        tutte sentono dell'Uno,
        l'Uno - ohimè - tutto esaurito.

        Non resiste la Gioconda,
        balla fuori arguta e gaia
        con la sua facciona tonda
        di perfetta giornalaia.
        Cento quindici migliaia
        mi richiedono dell'Uno!
        A chi dà copia dell'Uno
        un milione è profferito.

        Oh successo inopportuno!
        L'Uno è già tutto esaurito!
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Ah! Difettivi sillogismi! L'io
          che c'è sì caro, muore ad ogni istante
          senza rimpianto. Muore nel riposo
          e nella veglia. Un calice di vino
          un grano d'oppio, uno sbigottimento
          una ferita, basta a dileguarlo.
          Ma ci acqueta il pensiero che al risveglio
          ritroveremo intatto e vigilante
          il buono fanciulletto interïore
          che ci ripete d'esser sempre noi...
          Ah! Fanciullesca è veramente questa
          anima semplicetta che riduce
          alla nostra stadera l'infinito;
          nutre speranze, chiede privilegi
          più spaventosi del più spaventoso
          nulla, ché il nulla è non poter morire.
          Come pensare senz'abbrividire
          tutta l'eternità chiusa nell'io
          in quest'angusto carcere terreno?
          Quasi bramosi fantolini e vani
          preghiamo un bene e non sappiamo quale.
          Quando per anni o per follia s'offusca
          l'altrui cervello, quella decadenza
          più non c'inquieta della decadenza
          corporea. Permane la speranza
          che l'io del caro sopravviva ancora
          mentre è già come se non fosse più.
          Ora se quasi ci si acqueta in vita
          allo sfacelo della mente immemore
          che mai vogliamo dalla morte immune?
          Questa cosa di noi che vuol persistere
          indefinita, è dunque indefinibile
          come il raggio ch'emana dalla lampada,
          come il suono che emana dal lïuto;
          lampada e lïuto sono tra gli arredi
          più famigliari e semplici che posso
          scomporre ricomporre con le mani;
          il mistero m'appare se mi chiedo
          che sia, di dove venga, dove vada
          il prodigio del suono e della luce...
          Oimè! L'essenza che rivibra in noi
          non può per intelletto esser compresa
          da poi che l'io solo con se stesso,
          soggetto, oggetto della conoscenza,
          come uno specchio vano si moltiplica
          inutilmente ed infinitamente
          e nel riflesso è prigioniero il raggio
          di verità che l'occhio non discerne.
          Giova quindi sottrarci all'incantesimo
          alla voce che implora di rivivere
          come a un morbo insanabile terrestre.
          Negli attimi di grazia, quando l'io
          dilegua nei pensier contemplativi
          quando l'istinto tace e si compiace
          nella gioia dell'utile non nostro
          o freme ad una strofe ad una musica
          nell'ebrezza senz'utile dell'arte,
          forse ci giunge il pallido riflesso
          d'una luce remota, della vita
          che ci attende al di là, nel puro spirito,
          nel non essere noi, nell'ineffabile.
          È la fede che Socrate morente
          predicava all'alunno: «Datti pace!
          Non morirò: seppelliranno l'altro».
          È la luce che Baghava Purana
          rivelava sul tronco del palmizio:
          «Solo eterno è lo spirito. Non piangere
          su te su me su altri. Perché l'io
          ed il non io son frutto d'ignoranza.
          Desideravi un figlio, o Re; l'avesti;
          oggi provi lo strazio del distacco,
          strazio che dànno tutte le fortune
          a chi s'illude e pensa durature
          l'apparenze caduche della vita.
          Solo eterno è lo spirito. Nei tempi
          chi fu per te quel figlio che tu piangi?
          Chi tu fosti per lui? Che voi sarete
          l'uno per l'altro nell'ignoto andare?
          Sabbia del mare, foglie date al vento...
          Solo eterno è lo spirito. Consolati».
          Ma il re singhiozza disperato ancora
          e pel prodigio d'uno di quei rishy
          l'anima si ridesta nel cadavere,
          si guarda intorno sbigottita, dice:
          «In quale delle innumeri apparenze
          d'animali, di uomini, di devhas
          m'ebbi per padre questo che m'abbraccia?
          Non mi toccare: io non ti riconosco.
          O tu che piangi su di me non piangere.
          Solo eterno è lo spirito. Consolati!».
          Così parlato il giovinetto muore
          un'altra volta. L'anima s'invola
          eternamente. E il Re non piange più.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Fanciullo formidabile: soldato
            dell'Alpi e tu mi chiedi
            ch'io celebri il tuo gesto in versi miei!
            Non trovo ritmi - oimè! - non trovo rime
            così come vorrei
            al tuo gesto sublime!
            Ma sai tu quanto sia bello il tuo gesto,
            simbolica la spoglia
            dell'aquila regale che t'offerse
            l'Altissimo - redento! - a guiderdone
            della baldanza tua liberatrice?
            La vittima che dice:
            Terra d'Italia è questa!
            a consenso palese
            dei cieli sommi nella santa gesta?

            II.

            Tu non sapevi. Solo con te stesso
            e coi fratelli in una forza sola,
            sostavi sulla gola
            vertiginosa, l'anima in vedetta,
            protetto dalla vetta
            signoreggiata. Il cuore
            batteva impaziente dell'assalto.
            Il cielo era di smalto
            cerulo, nel silenzio intatto come
            quando non era l'uomo ed il dolore...
            Era il meriggio alpino,
            splendeva il sole nella valle sgombra.
            In larghe rote s'annunciò dall'alto
            l'olocausto divino,
            la messaggiera, disegnando un'ombra.

            III.

            Che pensasti nell'attimo? Colpisti.
            Bene colpisti. Il vortice dell'ale
            precipitò ventandoti sul viso.
            E l'aquila regale
            ecco immolasti sul granito alpino
            come sull'ara sacra alla riscossa
            del popolo latino.
            E la tua mano rossa
            fu del sangue ricchissimo aquilino.
            Battezzasti così la tua mano,
            nella stretta che tutti ebbero a gara,
            commentando l'augurio e la bravura,
            battezzasti così con la tua mano
            tutti i compagni tuoi,
            dal giovinetto imberbe al capitano!

            IV.

            Sarcasmo inconsapevole! E tu mandi
            oggi la spoglia a noi che con bell'arte
            le si ridoni immagine di vita;
            ma quale arte iscaltrita
            può simulare l'irto palpitare
            di penne e piume, il demone gagliardo
            tutto rostro ed artigli e grido e sguardo
            nell'ora che si scaglia?
            Nessuna sorte è triste
            in questi giorni rossi di battaglia:
            fuorché la sorte di colui che assiste...
            E - sarcasmo indicibile per noi
            scelti ai congegni ed alla vettovaglia -
            tu strappasti l'emblema degli eroi
            ed a noi mandi un'aquila di paglia!...
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Risveglio sul Picco d'Adamo

              Cantare udivo un gallo in sogno... Sognavo un villaggio
              canavesano forse... L'aurora improvvisa mi desta.

              Mi desta nel rifugio di stuoia sul Picco selvaggio:
              d'un tremolìo d'acquario scintilla la selva ridesta.

              Le felci arborescenti contendono i raggi all'aurora,
              dall'uno all'altro fusto s'allaccia la flora demente,

              spezzo ghirlande azzurre gialle sanguigne, m'irrora
              la coppa del calladio, l'orciuolo della nepente...

              Cantava un gallo in sogno... Ma un gallo ben vivo risponde.
              Sobbalzo. Ascolto. Il cuore col battito colma le tregue.

              Regna il Re dei cortili le vergini selve profonde?
              M'illude un negromante per gioco? Il mio sogno prosegue?

              Non il Re dei cortili qui regna, ma l'avo selvaggio
              (già cantava sul Picco d'Adamo che Adamo non era).

              Canta il «gallo bankywa» l'aurora del Tropico, il raggio
              d'oro che scende obliquo dove la jungla è più nera.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Dante

                Un giorno, al chiuso, il pedagogo fiacco
                m'impose la sciattezza del comento
                alternato alla presa di tabacco.

                Mi rammento la classe, mi rammento
                la scolaresca muta che si tedia
                al commentare lento sonnolento;

                rivedo sobbalzare sulla sedia
                il buon maestro, per uno scolaro
                che s'addormenta su di te, Comedia!

                Attento! Attento! - Ah! più dolce sognare
                con la gota premuta al frontispizio
                e l'occhio intento alle finestre chiare!

                Ad ora ad ora un alito propizio
                alitava un effluvio di ginestre
                sul comento retorico e fittizio.

                La Primavera, l'esule campestre,
                conturbava la gran pace scolastica
                pel vano azzurro delle due finestre.

                Io fissavo gli attrezzi di ginnastica,
                gli olmi gemmati, l'infinito azzurro
                in non so che perplessità fantastica;

                e tendevo l'orecchio ad un sussurro,
                ad un garrito di sperdute gaie,
                in alto in alto in alto, nell'azzurro.

                Guizzavano, da presso, l'operaie
                affacendate in paglia in creta in piume,
                riattando le case alle grondaie...

                Con gli occhi abbarbagliati da quel lume
                primaverile, mi chinavo stracco,
                ripremevo la gota sul volume.

                E riudivo il pedagogo fiacco
                alternare alla chiosa d'ogni verso
                la consueta presa di tabacco...

                Ah! non al chiuso, ma nel cielo terso,
                nel fiato novo dell'antica madre,
                nella profondità dell'universo,

                nell'Infinito mi parlavi, o Padre!
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