Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Ah! Difettivi sillogismi! L'io
che c'è sì caro, muore ad ogni istante
senza rimpianto. Muore nel riposo
e nella veglia. Un calice di vino
un grano d'oppio, uno sbigottimento
una ferita, basta a dileguarlo.
Ma ci acqueta il pensiero che al risveglio
ritroveremo intatto e vigilante
il buono fanciulletto interïore
che ci ripete d'esser sempre noi...
Ah! Fanciullesca è veramente questa
anima semplicetta che riduce
alla nostra stadera l'infinito;
nutre speranze, chiede privilegi
più spaventosi del più spaventoso
nulla, ché il nulla è non poter morire.
Come pensare senz'abbrividire
tutta l'eternità chiusa nell'io
in quest'angusto carcere terreno?
Quasi bramosi fantolini e vani
preghiamo un bene e non sappiamo quale.
Quando per anni o per follia s'offusca
l'altrui cervello, quella decadenza
più non c'inquieta della decadenza
corporea. Permane la speranza
che l'io del caro sopravviva ancora
mentre è già come se non fosse più.
Ora se quasi ci si acqueta in vita
allo sfacelo della mente immemore
che mai vogliamo dalla morte immune?
Questa cosa di noi che vuol persistere
indefinita, è dunque indefinibile
come il raggio ch'emana dalla lampada,
come il suono che emana dal lïuto;
lampada e lïuto sono tra gli arredi
più famigliari e semplici che posso
scomporre ricomporre con le mani;
il mistero m'appare se mi chiedo
che sia, di dove venga, dove vada
il prodigio del suono e della luce...
Oimè! L'essenza che rivibra in noi
non può per intelletto esser compresa
da poi che l'io solo con se stesso,
soggetto, oggetto della conoscenza,
come uno specchio vano si moltiplica
inutilmente ed infinitamente
e nel riflesso è prigioniero il raggio
di verità che l'occhio non discerne.
Giova quindi sottrarci all'incantesimo
alla voce che implora di rivivere
come a un morbo insanabile terrestre.
Negli attimi di grazia, quando l'io
dilegua nei pensier contemplativi
quando l'istinto tace e si compiace
nella gioia dell'utile non nostro
o freme ad una strofe ad una musica
nell'ebrezza senz'utile dell'arte,
forse ci giunge il pallido riflesso
d'una luce remota, della vita
che ci attende al di là, nel puro spirito,
nel non essere noi, nell'ineffabile.
È la fede che Socrate morente
predicava all'alunno: «Datti pace!
Non morirò: seppelliranno l'altro».
È la luce che Baghava Purana
rivelava sul tronco del palmizio:
«Solo eterno è lo spirito. Non piangere
su te su me su altri. Perché l'io
ed il non io son frutto d'ignoranza.
Desideravi un figlio, o Re; l'avesti;
oggi provi lo strazio del distacco,
strazio che dànno tutte le fortune
a chi s'illude e pensa durature
l'apparenze caduche della vita.
Solo eterno è lo spirito. Nei tempi
chi fu per te quel figlio che tu piangi?
Chi tu fosti per lui? Che voi sarete
l'uno per l'altro nell'ignoto andare?
Sabbia del mare, foglie date al vento...
Solo eterno è lo spirito. Consolati».
Ma il re singhiozza disperato ancora
e pel prodigio d'uno di quei rishy
l'anima si ridesta nel cadavere,
si guarda intorno sbigottita, dice:
«In quale delle innumeri apparenze
d'animali, di uomini, di devhas
m'ebbi per padre questo che m'abbraccia?
Non mi toccare: io non ti riconosco.
O tu che piangi su di me non piangere.
Solo eterno è lo spirito. Consolati!».
Così parlato il giovinetto muore
un'altra volta. L'anima s'invola
eternamente. E il Re non piange più.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Fanciullo formidabile: soldato
    dell'Alpi e tu mi chiedi
    ch'io celebri il tuo gesto in versi miei!
    Non trovo ritmi - oimè! - non trovo rime
    così come vorrei
    al tuo gesto sublime!
    Ma sai tu quanto sia bello il tuo gesto,
    simbolica la spoglia
    dell'aquila regale che t'offerse
    l'Altissimo - redento! - a guiderdone
    della baldanza tua liberatrice?
    La vittima che dice:
    Terra d'Italia è questa!
    a consenso palese
    dei cieli sommi nella santa gesta?

    II.

    Tu non sapevi. Solo con te stesso
    e coi fratelli in una forza sola,
    sostavi sulla gola
    vertiginosa, l'anima in vedetta,
    protetto dalla vetta
    signoreggiata. Il cuore
    batteva impaziente dell'assalto.
    Il cielo era di smalto
    cerulo, nel silenzio intatto come
    quando non era l'uomo ed il dolore...
    Era il meriggio alpino,
    splendeva il sole nella valle sgombra.
    In larghe rote s'annunciò dall'alto
    l'olocausto divino,
    la messaggiera, disegnando un'ombra.

    III.

    Che pensasti nell'attimo? Colpisti.
    Bene colpisti. Il vortice dell'ale
    precipitò ventandoti sul viso.
    E l'aquila regale
    ecco immolasti sul granito alpino
    come sull'ara sacra alla riscossa
    del popolo latino.
    E la tua mano rossa
    fu del sangue ricchissimo aquilino.
    Battezzasti così la tua mano,
    nella stretta che tutti ebbero a gara,
    commentando l'augurio e la bravura,
    battezzasti così con la tua mano
    tutti i compagni tuoi,
    dal giovinetto imberbe al capitano!

    IV.

    Sarcasmo inconsapevole! E tu mandi
    oggi la spoglia a noi che con bell'arte
    le si ridoni immagine di vita;
    ma quale arte iscaltrita
    può simulare l'irto palpitare
    di penne e piume, il demone gagliardo
    tutto rostro ed artigli e grido e sguardo
    nell'ora che si scaglia?
    Nessuna sorte è triste
    in questi giorni rossi di battaglia:
    fuorché la sorte di colui che assiste...
    E - sarcasmo indicibile per noi
    scelti ai congegni ed alla vettovaglia -
    tu strappasti l'emblema degli eroi
    ed a noi mandi un'aquila di paglia!...
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Risveglio sul Picco d'Adamo

      Cantare udivo un gallo in sogno... Sognavo un villaggio
      canavesano forse... L'aurora improvvisa mi desta.

      Mi desta nel rifugio di stuoia sul Picco selvaggio:
      d'un tremolìo d'acquario scintilla la selva ridesta.

      Le felci arborescenti contendono i raggi all'aurora,
      dall'uno all'altro fusto s'allaccia la flora demente,

      spezzo ghirlande azzurre gialle sanguigne, m'irrora
      la coppa del calladio, l'orciuolo della nepente...

      Cantava un gallo in sogno... Ma un gallo ben vivo risponde.
      Sobbalzo. Ascolto. Il cuore col battito colma le tregue.

      Regna il Re dei cortili le vergini selve profonde?
      M'illude un negromante per gioco? Il mio sogno prosegue?

      Non il Re dei cortili qui regna, ma l'avo selvaggio
      (già cantava sul Picco d'Adamo che Adamo non era).

      Canta il «gallo bankywa» l'aurora del Tropico, il raggio
      d'oro che scende obliquo dove la jungla è più nera.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Dante

        Un giorno, al chiuso, il pedagogo fiacco
        m'impose la sciattezza del comento
        alternato alla presa di tabacco.

        Mi rammento la classe, mi rammento
        la scolaresca muta che si tedia
        al commentare lento sonnolento;

        rivedo sobbalzare sulla sedia
        il buon maestro, per uno scolaro
        che s'addormenta su di te, Comedia!

        Attento! Attento! - Ah! più dolce sognare
        con la gota premuta al frontispizio
        e l'occhio intento alle finestre chiare!

        Ad ora ad ora un alito propizio
        alitava un effluvio di ginestre
        sul comento retorico e fittizio.

        La Primavera, l'esule campestre,
        conturbava la gran pace scolastica
        pel vano azzurro delle due finestre.

        Io fissavo gli attrezzi di ginnastica,
        gli olmi gemmati, l'infinito azzurro
        in non so che perplessità fantastica;

        e tendevo l'orecchio ad un sussurro,
        ad un garrito di sperdute gaie,
        in alto in alto in alto, nell'azzurro.

        Guizzavano, da presso, l'operaie
        affacendate in paglia in creta in piume,
        riattando le case alle grondaie...

        Con gli occhi abbarbagliati da quel lume
        primaverile, mi chinavo stracco,
        ripremevo la gota sul volume.

        E riudivo il pedagogo fiacco
        alternare alla chiosa d'ogni verso
        la consueta presa di tabacco...

        Ah! non al chiuso, ma nel cielo terso,
        nel fiato novo dell'antica madre,
        nella profondità dell'universo,

        nell'Infinito mi parlavi, o Padre!
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          «Ex voto»

          S'alza la neve in pace;
          la valle che s'imbianca
          spicca sul cielo bruno.

          Il Santuario tace
          nella gran pace bianca
          dove non c'è nessuno.

          Nessuno per guarire
          del male che lo strazia
          più giunge di lontano...

          Sol io potrei salire,
          salire per la grazia:
          mi rifarebbe sano...

          Ma non vedrò la faccia
          nera e la mitra aguzza...
          Troppo ai bei dì sereni,

          avvinto a quelle braccia
          baciai la medagliuzza
          tepente tra i due seni...
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La statua e il ragno crociato

            Io so il mistero di colei che abbassa
            l'antiche ciglia in vigilanza estrema,
            quasi, nel marmo trepidando, tema
            d'aggrovigliare un'esile matassa.

            Io so. Guardate contro il sole: passa
            dall'una all'altra mano e splende e trema
            il filo che un'epeira diadema
            conduce senza spola e senza cassa.

            Aracne fu pietosa. E chi non mai
            più rivedrà la terra sacra abbassa
            le ciglia illuse e vede il mare Egeo,

            vede una schiava al ritmo dei telai,
            appenderle dal plinto una matassa:
            e canta un canto dolce il gineceo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Tra le sirene che Boecklin gittava
              nel fremito dell'onde verdazzurre
              una ne manca, appena adolescente,
              agile più di tutte e la più bella.

              Poiché non quella che supina ascolta
              il Tritone soffiare nella conca,
              non quella che si gode la bonaccia
              con tre scherzosi albàtri affaticati,

              e non quelle che fuggono al Centauro,
              l'una presa alle chiome, l'altra emersa
              con volto sorridente, l'altra immersa
              col busto, eretta con le gambe snelle:

              non tutte quelle vincono la grazia
              appena adolescente che abbandona
              il mare caro al grande basilese,
              il mare Azzurro per il mare Grigio!

              E al mare nostro più non resta viva
              che l'immagine fatta di memoria,
              svelta nel solco dove più ribolle
              la spuma e dove l'onda è tutta gemme!
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Ad un'ignota

                Tutto ignoro di te: nome, cognome,
                l'occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
                e sapere non voglio, e non ho chiesto
                il colore nemmen delle tue chiome.

                Ma so che vivi nel silenzio; come
                care ti sono le mie rime: questo
                ti fa sorella nel mio sogno mesto,
                o amica senza volto e senza nome.

                Fuori del sogno fatto di rimpianto
                forse non mai, non mai c'incontreremo,
                forse non ti vedrò, non mi vedrai.

                Ma più di quella che ci siede accanto
                cara è l'amica che non mai vedremo;
                supremo è il bene che non giunge mai!
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                  Scritta da: Widmer Valbonesi
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                  Il faro dei tuoi sogni

                  Mi senti ben piantato
                  nel molo dei ricordi
                  cui con la tua mente
                  ogni tanto approdi
                  Mi vedi intermittente
                  indicare la luce al cuore
                  e come dolce onda
                  a me ti avvicini.
                  Sono il faro dei tuoi sogni !
                  Non quelli che insegui
                  e che non trovi mai.
                  Quello che ti appare
                  come porto sicuro
                  lì, ad indicare la rotta
                  da seguire, la strada
                  diritta della realtà.
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                    Scritta da: Widmer Valbonesi
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Bisogno di stonare

                    Come un gracidare di rane
                    nello stagno mi appaiono
                    certe menti inconsistenti.
                    Stanno in mezzo al fango
                    si nascondono al rumore,
                    si accontentano di mangiare
                    ingrassano cantando,
                    tutte come una sol voce.
                    E più la melma cresce
                    loro sembrano sguazzare
                    si adeguano al contesto
                    aumenta il gracidare
                    nessuna di quelle menti
                    coro di rane, sarà capace
                    o avrà il coraggio di stonare.
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