Vorrei stupirti con parole che non trovo per dirti buon compleanno amore. Vorrei regalarti un mazzo di rose Il cui profumo rimanesse eterno, tanto rosse da coprire il grigio dell’inverno. Vorrei che ogni petalo da adesso cadendo fosse come ogni pagina di un diario pieno di successo. Vorrei regalarti una torta di sorrisi pieno di candeline di desideri , e che spegnendole diventassero veri . Vorrei regalarti un gatto persiano grigio, striato a pelo lungo che trasferisse a me le tue carezze. Vorrei che il suo miagolìo portasse serenità, affetto e dolcezza e che ti arrivasse portavoce del mio cuore. Vorrei che tu non cambiassi mai buon compleanno amore, rimani sempre come sei!
Eppure ritornerò nei tuoi pensieri cavalcherò le onde più alte per approdare alla spiaggia dell'isola deserta e lambire i tuoi desideri. Sfiderò anche lo yeti delle nevi per sciogliere il gelo dal tuo cuore. M i arrampicherò su per gli specchi pur di riuscire ad addolcirti gli occhi. Scaverò le montagne di detriti che incrostano come stalattiti gli anfratti del tuo amore. Eppure risveglierò i tuo tormenti puledri liberi nella prateria condotti e controllati entro recinti. Taglierò con le cesoie il filo spinato abbatterò ad uno ad uno quei paletti per darti ancora la voglia di un nitrito.
La mia Ruota è nell'oscurità! Non riesco a vederne i raggi Eppure so che i suoi stillanti passi Girano sempre in tondo. Il mio piede è sull'Onda! Una strada non frequentata - Eppure tutte le strade hanno Una radura alla fine -
Alcuni hanno restituito il Telaio - Alcuni nell'operosa tomba Trovano un bizzarro impiego -
Alcuni con nuova - solenne andatura - Attraversano regalmente il portone - Rilanciando il problema A voi e a me!
C'è una parola Che regge una spada Può trafiggere un uomo armato - Scaglia le sue acuminate sillabe Ed è muta di nuovo - Ma dove è caduta Gli scampati diranno Nel patriottico giorno, Che qualche decorato Fratello Esalò l'ultimo respiro. Ovunque corra l'affannato sole - Ovunque vaghi il giorno, Là è il suo silenzioso assalto - La è la sua vittoria! Osserva il tiratore più acuto! Il colpo più centrato! Il più sublime bersaglio del Tempo È un'anima "dimenticata"!
Le perle sono gli spiccioli del Tuffatore Estorti al mare - Le piume - il carro del Serafino Appiedato un tempo - come noi - La notte è la Tenda del mattino Latrocinio - lascito - La morte, solo rapita attenzione All'Immortalità.
Le mie cifre non riescono a dirmi A che distanza sia il villaggio - I cui contadini sono gli angeli - I cui Campi costellano i cieli - I miei Classici chinano il volto - La mia fede adora quel Buio - Che dalle sue solenni abbazie Tale risurrezione riversa.
Su questo mare meraviglioso Navigando in silenzio, Ohé! Pilota, ohé! Conosci tu la riva Dove non urlano i marosi - Dove la tempesta è oltre? Nel tranquillo ponente Molte le vele a riposo - Le ancore salde - Laggiù ti conduco - Terra Ohé! Eternità! A riva finalmente.
Nessuna Ruota può torturarmi - L'Anima - in Libertà - Dietro quest'Ossatura mortale Ne è saldata Una più vigorosa - Non si può forare con la sega - Né trafiggere con la Scimitarra - Due Corpi - dunque vi sono - Legane Uno - L'Altro vola -
L'Aquila del suo Nido Non si libera più facilmente - E guadagna il Cielo Di quanto puoi Tu -
A meno che Tu stesso sia Il tuo Nemico - Prigione è la Coscienza - Così come è Libertà.
Trascinando la sua fame per il cielo del mio cranio guscio di cielo e terra scendendo verso i proni che dovranno presto raccogliere la loro vita e muoversi derisi da un tessuto che non può servire finché fame terra e cielo saranno putridume.
L'alito freddo e umido m'assale di Venezia autunnale. Adesso che l'estate, sudaticcia e sciroccosa, d'incanto se n'è andata, una rigida luna settembrina risplende, piena di funesti presagi, sulla città d'acque e di pietre che rivela il suo volto di medusa contagiosa e malefica. Morto è il silenzio dei canali fetidi, sotto la luna acquosa, in ciascuno dei quali par che dorma il cadavere d'Ofelia: tombe sparse di fiori marci e d'altre immondizie vegetali, dove passa sciacquando il fantasma del gondoliere. O notti veneziane, senza canto di galli, senza voci di fontane, tetre notti lagunari cui nessun tenero bisbiglio anima, case torve, gelose, a picco sui canali, dormenti senza respiro, io v'ho sul cuore adesso più che mai. Qui non i venti impetuosi e funebri del settembre montanino, non odor di vendemmia, non lavacri di piogge lacrimose, non fragore di foglie che cadono. Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore su un davanzale è tutto l'autunno veneziano.
Così a Venezia le stagioni delirano.
Pei suoi campi di marmo e i suoi canali non son che luci smarrite, luci che sognano la buona terra odorosa e fruttifera. Solo il naufragio invernale conviene a questa città che non vive, che non fiorisce, se non quale una nave in fondo al mare.