Poesie d'Autore


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)
Un raggio sembra vedere la carne
come un mare d'Inferno
e tende verso il basso il suo sé stesso.
Io chiudo l'occhio, ma non voglio accoglierlo
in questo spegnimento dell'azzurro
che volge il sotterraneo cielo al nero.
Sono un padre terreno e so provare misericordia d'ogni figlio alto,
so stare espanso in una solitudine
che si spalanca come un cielo vuoto,
senza l'ultima stella del suo sogno.
Il mio silenzio è l'unica parola
e non è inframezzato da nient'altro.
Ne cominciai il suo pronunciamento
dai miei albori e man mano ch'avanzo
nel tempo stabilito della vita
di giorno in giorno come da un secondo
a un altro nei minuti dei miei anni
aumento questa consapevolezza.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Il riflesso era un'eco che gocciava,
    sangue di luce dalla sua ferita.
    Nel Sole, il cuore ch'era sempre al centro
    - dovunque si trovasse, s'espandeva -
    esso aveva raggiunto l'obiettivo
    d'ogni suo desiderio: aveva reso
    più bianca la sua fiamma, alto l'Inferno,
    e riscaldava con la sua purezza
    il mare decaduto, decadente
    sempre più negli abissi di sé stesso.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      I
      Ti seppellisco con ben altre lacrime,
      quelle che gli occhi sulle dita versano
      o silenzio, bambino mai nato,
      uso lo stesso questa bara bianca.

      II
      Lutto del nero, fazzoletto bianco
      suolo fidato, cadano su me
      le tue parole-lacrime saprò
      custodirle scoperte.

      III
      Creo catene con la penna nera:
      imprigiono il silenzio ch’è innocente;
      creo le sbarre della sua cella
      ma il silenzio, nel suo corpo ch’è anima,
      saprà che fare per restare libero.

      IV
      E senza che ci fosse alcuna tazza,
      né bordi né pareti, solo il fondo
      riuscì a cadere e a formarsi un quadrato
      e a solidificarsi - sempre latte.
      Facevo colazione
      dopo il sonno, dormienti, nel silenzio,
      caddero come mosche le parole,
      e non volli salvarle e non lo seppi.

      V
      E nella colazione del silenzio
      bevi quel latte senza una parola,
      la mosca nera che sembrò cadere!

      VI
      Lacrime nere, le parole scese,
      il lutto del silenzio
      a porgere il suo fazzoletto bianco.

      VII
      E sulla tazza bianca del silenzio
      cadde una mosca, una parola nera.

      VIII
      E quando muore il corpo della mano
      che muoveva la penna, e la scrittura
      ha concluso la sua vita terrena,
      il mio piede saprà l’elevazione
      al cielo, un sole, l’anima, lo sguardo
      a leggere in un aldilà sereno
      le impronte del percorso sulla terra.

      IX
      Sta sanguinando tutta la sua cenere
      e le parole sono emorragia,
      sta già morendo l’osso del silenzio.

      X
      Il silenzio era un osso, un labbro chiuso
      ora emette il respiro della cenere:
      questo è il suo solo modo di parlare.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        L'origine, la festa, la natura
        non l'hai vissute eri nel tuo sonno,
        e nel mare celeste, nel suo centro,
        ardeva un campo, un'isola di luce,
        e i raggi erano spighe che pungevano
        i passi che facevi con le palpebre,
        e l'ora della sveglia fu il tramonto
        quando dall'infarinatura uscì
        il ricordo del biondo come un'ostia,
        e ognuno camminante sulla terra
        come a volere dire al suo stesso
        che era senza peccati, che era puro,
        apriva la sua bocca ad ospitarla
        in questa chiesa dove non c'è posto
        e si cammina, mancano le mura,
        è un no l'attesa della comunione
        che nascosto e invisibile nel nero
        protende verso l'alto "il sacerdote-
        Dio" che mangia per sé dei pezzettini
        ad ogni messa dei giorni notturni
        mantiene accesi i ceri delle stelle
        e lascia noi al buio del digiuno.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          E sempre incinti della nostra ombra
          (pur nella luce massima, violenta!)...
          partorirò la morte mi domando?
          E non potrò vederla, sarà orfana?
          Tutta la pancia della mia figura
          che non s'accresce in mesi di decenni...
          sto conservando dentro un bimbo morto?
          I piedi son cordoni ombelicali
          e succhi la sostanza già del nulla,
          l'aria, una ciotola di latte, vuota?
          E come stare sempre a bere il fondo?
          Ma anche se fossi nata e già saresti
          bambina, e (supponiamo) pure adulta,
          perché hai bisogno di tenermi affianco?
          Mi sento un cane che trascina un cieco!
          Come un aedo che trapassa il buio
          (come se fossi solo una pupilla)
          come se il corpo fosse un lungo inchiostro,
          scrivi oralmente o parli per iscritto
          ai fogli casuali delle strade
          il poema finito del destino!
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Notte che mostri solo la viltà
            come una donna sempre un passo avanti verso il fuggire ignoto d'ogni sogno.
            Ti guardo nel pensiero, estrema ombra
            che l'universo lascia sulla Terra,
            e volgi a me le spalle e non ti vedo.
            Ho gli occhi che mi cadono sui tuoi
            lunghissimi capelli tesi al nulla,
            e sono sveglio e dormo ad occhi aperti
            la consapevolezza di quel sonno
            che senza sogno porta al fallimento.
            (...)
            Senti russar le scarpe? Il loro volto
            si muove fermo a un letto che è di pietra. Anche le scarpe devono dormire
            ma il loro pure è sonno senza sogno,
            asfalto che non è visione d'acqua!
            (...)
            Il sole sta davanti ed io inseguo
            stupidamente, coraggiosamente,
            la schiena, le sue spalle sono oscure
            e portano in trionfo la sua nuca
            com'ostia offerta a tutti i sacerdoti
            che compiono il peccato dell'insonnia.
            (...)
            E il movimento stesso del mio corpo
            e la sua forma alzata era allungata
            come fosse un punto interrogativo
            che porta avanti frasi di passato
            e le dissolve in un futuro incerto...
            dicevo ad un nessuno col mio gesto:
            "potrò vedere almeno questa volta
            la verità lucente del tuo volto,
            che tutti chiamano (tremando) Morte?
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Ho visto la mia ombra
              cader, rialzarsi, come dal suo nulla
              ed annegare nera in alto nuoto
              sopra le ferme acque di materia.
              Ho visto, fuori, l'eco del mio male
              insanguinare a morte quei colori,
              diverse distensioni d'un mattino
              a poco a poco spente dal mio fiato.
              Ho superato il basso del guardare
              e l'ho portato all'aria della notte,
              e poi l'ho sollevato sulla luna:
              cadevan le pareti all'avanzare
              del corpo morto vivo del mio passo,
              la notte, indietreggiando, si sfaldava,
              s'approfondiva il foro all'affondare.
              Ma pietra impenetrabile, la Luna,
              era l'ultimo petalo di scheletro
              che non precipitava, lontananza
              d'un fior di luce... appassito in mare.
              La notte mi sembrò consolatoria:
              "l'oscurità più scura è la più chiara!"
              mentre la luna mi sembrò più schietta:
              "l'oscurità più chiara è la più scura!"
              dissero entrambe da soliste in coro.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Vanno gli uomini in lunghe processioni
                sulla strada, silenzio e solitudine.
                E ogni passo è un cadere sbriciolato
                di deboli pareti d'una chiesa
                che nessuno ha voluto costruire.
                La messa delle ore è come sintesi
                del suo culmine, ossia la comunione,
                e un sacerdote fermo all'invisibile
                protende il bianco verso i suoi passanti:
                la Luna è un'ostia che nessuna bocca
                porta con sé a spezzarsi in altro buio,
                la notte: enigma dell'ateismo,
                di un ateismo eterno inconfessato.
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