Poesie d'Autore


Scritta da: Gabriella Bellino
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il sussulto delle anime gemelle

Ho sussultato
quando ti ho conosciuto,
ma non di timore
ma di gioia già ricolma
del piacere d'amare.
Amore che ho atteso
un'eternità
e lo rifarei ancora
per vivere quel brivido
che nasce da anime
che si riconoscono
e si ritrovano
in una dimensione
fuori dal normale,
perché l'amore vero
ha più a che fare con la pazzia
e con la follia
che con un caldo cappotto
che avvolge il tuo petto,
un petto
che da quel momento esplode
in tutta la sua meraviglia,
la meraviglia
di aver trovato
chi gli assomiglia
e io so che lo sei
perché la tua sensibilità
contiene la mia,
questo è il segreto
che tiene a bada
la mia dolce follia.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Pietro Baratta
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Oltre l'Amore

    Dietro la nebbia
    Un sogno si sveglia,
    lo guardo in fondo
    che meraviglia...
    Mi parla di te,
    di ciò che è infinito
    e vive nel cuore
    di un amore pulito,
    gli scrivo di noi
    di ciò che ho vissuto
    in un mondo diverso
    da ciò che hai sperato,
    lo ringrazio di cuore
    per ciò che ti ha dato
    e continuo... a vivere
    il suo sogno incantato!
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Fiorella Cappelli
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La Befana 2012

      Sulla scopa a cavarcioni
      porta er sacco su le spalle
      ha le gambe a pennòloni
      e le guance rosse e gialle

      Come vecchia è proprio strana
      ce rigala n'emozzione
      è romana 'sta befana
      che nun pija la penzione!

      Sò tant'anni che lei vola
      cò le toppe sur vestito
      ma st'Italia nun mijora
      e nun po' trovà marito

      è pè questo che ha adottato
      tanti bravi regazzini
      lei je porta er cioccolato,
      li dorcetti nei carzini

      poi da quànno che ha saputo
      che ce sò le innovazioni
      s'è aggiornata in un minuto
      così cià l'ordinazzioni...

      ma è da un friccico de tempo
      che a volà se trova male
      beh, lassù c'è poco campo...
      nun je pija er cellulare!
      Composta domenica 1 gennaio 2012
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Paolo Olivari
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Un S. Natale con gli occhi di un bambino

        Un S. Natale con gli occhi di un bambino...

        Se bastasse cantare in coro una bella canzone per far piovere Amore
        si potrebbe cantare un milione di volte, trasformando magicamente
        ogni notte in pioggia di stelle cadenti, preziose come i desideri del mondo!

        Se il mondo fosse un angolo di cielo noi voleremmo in alto per conquistarlo
        con quella fantasia tipica dei poeti e quella purezza d'animo dei bambini
        mai imitata, nelle scelte importanti, da tutti i politici e i governanti...!

        Il mondo osservato dai bimbi è colorato e gioioso, facile da raggiungere
        con le loro manine tese verso l'incontro con altre mani, grandi o piccine,
        cercando di donare un nome a un volto sorridente giorno dopo giorno.

        Ed è così che nasce in essi l'Amore, quell'Amore che trova i popoli adulti
        nascondersi spesso come i cacciatori di frodo nella boscaglia, sol freddi
        nelle loro strategie di dominio ben diverse da illuminanti condivisioni!

        Il S. Natale trova un bimbo come Voi, come noi in un tempo lontano,
        sorridente e pronto a tender la mano a chi vuole avvicinarsi piano piano:
        è colmo il suo cuore d'Amore e vorrebbe farlo sbocciare come un fiore!

        Osserva, il suo sguardo, il nostro mondo, e vorrebbe trasformarlo spesso,
        ovvero donando lavoro a chi non ce l'ha, fortuna a chi l'ha smarrita,
        forza a chi l'ha perduta, aiuto e conforto a chi soffre, bontà a chi non l'ha!

        Nella "notte dei desideri" vedo stelle che cadono ricche di luce e speranza
        in quel futuro ben diverso da quest'oggi con le crisi, con i popoli in guerra,
        con gli uomini che si dimenticano di esser stati bambini e di avere Amato
        come solo i bimbi, semplicemente, san fare spalancando la porta del cuore
        interpretando ogni giorno, con Amore, la loro piccola storia del S. Natale! AUGURI.
        Composta venerdì 16 dicembre 2011
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Anna De Santis
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Alla fine

          Sembra una luce da seguire
          è solo l'illusione di guardare avanti e continuare
          ma ogni tunnel che incontri ti fa paura
          non vedi l'ora di trovare l'uscita ma la fine non arriva mai
          ogni volta ti volti indietro
          e non hai memoria
          finito un anno non c'è più storia
          rimane solo nebbia densa sul tuo ricordare
          ogni ferita ha fatto un solco nel tuo cuore
          ogni volta l'urlo si fa più forte
          e la rabbia ti distrugge perché niente si può cambiare
          ma non c'è verso di poter fermare il tempo e la sorte
          il tuo dolore è immenso
          alla fine stanca a tutto il succedere dai un senso
          ma purtroppo mai ti sembra giusto
          capisci che niente è per sempre, cerchi di fartene una ragione
          non c'è più luce sul tuo cammino né illusione
          in conclusione non c'è più gusto.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Giuseppe Freda
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La bovina tragedia

            Alfin giugnemmo, per ritorta via,
            ove l'oscura insegna si dispiega
            della bolgia c'ha nom "Democrazìa".

            Lo buon Maestro disse: "Spera e priega,
            qui ronfa e russa il popolo sovrano
            con sinistro fragor di motosega.

            Sta sulla porta Giò Napolitano,
            la cui loquela induce al viaggiatore
            un sì profondo sonno da divano

            che nol risveglian più dal suo torpore
            nemmanco la divina potestate,
            la somma sapïenza e'l primo amore.

            La giù tra l'ombre triste smozzicate
            s'ode la mesta nenia del vegliardo.
            Qui si parrà la tua nobilitate!".

            Io scorsi in quel budello, al primo sguardo,
            un omicciuol da'tratti famigliari,
            ch'in bolsi motti, di cui avea un migliardo,

            cianciava di dilemmi monetari.
            Vaghe stelle de l'Orsa, non credea
            ch'alle minchiate umane foste impàri!

            Farneticava di patria europea,
            di bund, di spread, di bot e altra trastulla,
            quale il villano che del vin si bea.

            E nella notte, nera come il nulla,
            risuona la barbosa tiritera
            che il volgo rintronato addorme e culla.

            Ancor m'assonna ricordar qual era
            la solfa sul Welfàre che tutto infesta
            salmodiata con blàtera straniera.

            Già m'assopiva, come al dì di festa,
            quando il mio duca, preso un grosso maglio,
            ruppemi l'alto sonno nella testa.

            E andamm'oltre, laddove s'ode il raglio
            d'orde di teleutenti assomarate
            dal bercio dei Santori e dei Travaglio;

            e i diavoli, prendendoli a pedate,
            li fan volar per l'aere senza stelle
            quali colombe dal disìo chiamate.

            Ma quei, lividi e pesti sulla pelle
            del deretano, plaudono alla suola,
            esultano al norcin che li macelle.

            E un asino dotato di parola
            ragliava scipitezze in voce trista,
            sì che pareva un preside di scuola.

            "Caduto è alfin il giogo del fascista!
            Destati Italia, gongola e sii lieta!
            Or c'è al governo un grande economista!".

            Mi mosse il suo delirio a tanta pièta
            che lo storpiai di calci né coglioni
            con la licenza del dolce poeta.

            Tale è la teologia di que'montoni,
            la cui "Democrazìa", c'han sempre in bocca,
            rinuncia volontieri all'elezioni.

            Additommi il Maestro un'alta rocca
            merlata, che maligna nel colore
            muta s'ergea sovra la mandria sciocca.

            Stavvi in cima l'eurocrate pastore,
            e reca al suo bestiame le nerbate
            ch'al cor gentil rempaira sempre amore.

            Lì ci appressammo, con larghe falcate,
            onde mirar da presso l'abituro
            da cui le genti vengon tartassate.

            V'era d'intorno un fosso fondo e scuro,
            pien di marmaglia dal color marrone,
            per ch'io: "Maestro, il fetor lor m'è duro".

            "Qui vedi gli empi autor del ribaltone",
            disse lo duca, "i sommi traditori,
            mutati in sterco assieme a Berluscone.

            Putono in questa pozza i suoi rettori,
            i ministri, i lacché, il portaborsame,
            le donne, i cavalier, l'arme, gli amori".

            Ahi serva Italia, putrido reame!
            Non donna di province, non bordello,
            ma biologica fossa di letame!

            Langueva in quel fossato di castello
            l'intiera alta genìa parlamentare,
            destra, sinistra, centro, questo e quello.

            Io chiesi: "Chi è la fetida comare
            che sì piangente come donzelletta
            tanto gentile e tanto onesta pare?"

            Rispuose'l duca a me: "Quella è Brunetta,
            che perse il posto; ma il suo piagnisteo
            è nulla a petto a quel di Gianni Letta.

            Il quale adesso ha fama di babbeo,
            d'uom che sì saggio era stimato prima,
            ché a suo danno del golpe fu correo".

            "O anime fetenti", io chiesi in rima,
            "dite qual colpa, pria che'l senno io perda,
            in forma d'escrementi vi concima?"

            Rispuosero: "Noi siamo la malerba
            che vi asservì all'atlantica baldracca.
            Uomini fummo ed or siam fatti merda".

            Ed un di lor, col lembo della giacca,
            s'asciugava dal naso i goccioloni.
            Piangeva, e le sue lagrime eran cacca.

            Io riconobbi in lui Bobo Maroni
            rettor del dicastero di giustizia
            che i popoli padani fè terroni;

            riscatto prometteva e diè tristizia
            d'Umberto la codarda celta prole,
            prostrandosi all'allogena milizia.

            Olea il suo pianto non proprio di viole,
            così volgemmo il guardo alla nimica
            rocca, sovra la qual mai approda il sole.

            Ci arrampicammo dunque, a gran fatica,
            verso l'uom che l'afflitto regno regge
            d'in su la vetta della torre antica.

            O Musa, or l'intelletto mi sorregge
            vacillante, acciocch'io qui racconti
            quel ch'agghiacciare può ciascun che legge!

            E perché i miei lettori sieno pronti
            all'orror che tremando metto in metro
            dirò che in cima io vidi Mario Monti.

            Io m'attendeva invero un antro tetro,
            di stalattiti ticchettanti gocce,
            e rospi e pipistrelli sottovetro;

            ma s'io avessi le rime aspre e chiocce
            discriver non potrei quell'uom dimesso
            qual pensionato al circolo di bocce.

            Ei sorrideva d'un sorriso fesso,
            d'un ghigno lento, come alla moviola,
            qual è in banca il brio finto del commesso

            ch'ognor rifila obbligazioni-sòla;
            e pure, i correntisti son felici
            di lasciar vino e prender Coca-Cola.

            Ei prometteva cruenti sacrifici
            quale un sovrano azteco o un lucumone,
            ed i sacrificandi eran suoi amici

            e ripeteano in coro: "Bè, ha ragione".
            S'io potessi ritrar come assonnaro
            li occhi della miserrima legione

            di moralisti, cui sognar fu caro,
            dianzi al caudillo di cui ho detto sovra,
            voi vedreste, oltr'al pupo, anche il puparo,

            l'empio poter che i popoli manovra.
            Io lo vidi, in quel Duce per procura:
            era il Zucconi ch'esce come piovra

            a rimbambir gl'intenti alla lettura,
            era l'Amaca squallida di Serra
            su cui sonnecchia e langue la cultura,

            era l'editoriale terra terra
            di Feltri, fermo all'era di Togliatti,
            era di Gad Lernèr l'urlo di guerra

            ch'i teleutenti rende mentecatti;
            era il tabloid con Raf nel paginone
            e all'interno un'analisi sui fatti

            di Libia, con annessa l'opinione
            di Maria De Filippi immacolata;
            tutto il pattume dell'informazione

            ch'allo stranier la strada ha già spianata;
            e tutt'intorno un brulicar di vermi
            che sanità di mente han divorata,

            un demente brillìo di maxischermi
            da cui scorrono cruente le parole:
            "Vexilla regis prodeunt infermi".

            E acclamano gl'infermi a mille gole
            il rege finanziario che s'insedia,
            acquetati da penne tristanzuole

            che da "sviluppo" pingono l'inedia.
            Così trascorre il loro più bel giorno.
            Poi il triste vespro chiude la Commedia.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Pietro Nigro
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Crisalide

              A che vi hanno inventato occhi nuovi
              se albero ne dite
              d'una testa sbocciata in verdi pensieri
              di foglie d'un nostalgico eden antico
              nell'eterna rigenerazione
              dell'eterno ciclo.
              A che questo modo diverso
              d'inventare la vita
              se dopo tanta cultura
              dopo tanta sapienza
              dopo tanta scienza
              dopo tanta arte
              dopo tanta politica
              dopo tanta noia
              dopo tanta vita così
              dopo tanta droga
              dopo tanto dramma
              dopo tanta potenza (anche d'amare)
              dopo tanta impotenza (anche d'amare)
              dopo tanta violenza
              dopo tanta ipocrisia
              su cui grufola il mondo
              dopo tanto pianto
              in cui s'affoga
              dopo sempre le stesse cose
              dopo tante ripetizioni
              dopo tante cose uguali
              dopo tanti sogni a spronare la vita
              dopo tante brume ad annunciare
              (sia pure) la più abietta metempsicosi
              di vermi e di fango
              una morte senz'anima
              ma con fiori con riti con lapidi
              e temporanee preghiere
              una notte-morte senza domani
              un sonno senza risveglio
              un sogno eterno
              dopo tante sciocchezze
              fin dove l'albero scorge l'erba
              che calzano le sue radici
              e penetra il cielo
              la vostra intelligenza
              se dopo tanta truffa di vita
              il nulla.
              ... ma a poco a poco
              m'opprime il cuore
              un rimpianto
              e mi turba
              il richiamo
              d'una vita che si perde.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Damiano Villi
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Il sogno di un cuore

                Siamo sdraiati fianco a fianco in riva al mare
                ti guardo e ad un tratto ti vorrei baciare
                mentre la brezza accarezza la pelle
                insieme guardiamo in alto le stelle
                il mare di notte ha un'altro colore
                e tutto acquista un altro valore
                la luna dal cielo ci sta ad osservare
                bella e bastarda col suo modo di fare
                mi avvicino piano e accarezzo il tuo viso
                e in cambio ricevo un tuo sorriso
                non sono morto ma sto in paradiso
                ma ancora non so cosa tu hai deciso
                ti sussurro all'orecchio che t'amo
                mi zittisci ti avvicini e ci baciamo
                il cielo schiarisce
                e la notte svanisce
                e il sogno di un cuore
                diventa la realtà di un nuovo amore.
                Composta giovedì 29 dicembre 2011
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Pietro Nigro
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Vedo morire colori di campi

                  Vedo morire colori di campi
                  squarciati da fiumi di lava,
                  da turiboli di pena espandersi fragranze
                  di resine,
                  ultimo addio di boschi agonizzanti.
                  Non griderò inutilmente parole di collera
                  retorici contorsionismi
                  di chi aspira al plauso della folla.
                  Non farò violenza ai violenti
                  ad aggiungere anelli ad una stessa nefasta catena.

                  Vorrei sentire urla di coscienze ridestate
                  e aprire occhi ciechi
                  per troppe tenebre di prigionia
                  in angusti anfratti di evoluzioni mancate,
                  e cantare canzoni
                  composte per questa occasione,
                  e avere compagni i gabbiani, e il vento
                  che porta aromi di mare
                  alle montagne assetate.
                  E il canto dirà che l'attesa non fu vana.

                  Siederemo allo splendore della vigna ritrovata
                  sotto la saggezza dei vecchi ulivi
                  in rassegnata attesa di anni.
                  Risentiremo i grilli di notte riempire di nostalgie
                  spazi di memorie
                  e non sembrerà triste la notte
                  come i giorni dietro le grate
                  dell'attesa tradita.
                  E navigheremo tra le stelle dei nostri antichi desideri
                  alla ricerca di approdi che abbiano un senso.
                  Vota la poesia: Commenta