Ma tu avevo in mente di farti vedere le mie piante sacre, non grasse ma secche parole di niente.
Avevo in mente di darti la pace ma tu scappi sempre vento disperso in un modo o nell'altro ed io ti riaspetto in un modo o nell'altro stanco ed immenso.
Avevo in mente di farti sentire qualcosa che viene da dentro ed esplode avessi coraggio... ma ho paura di perdere quel poco che ancora ci tiene sospesi in un modo o nell'altro ma tu mi consoli dicendo "sei pazzo" è nella testa -mi dici- nella mia testa che domina caos nell'anima, domina cosa?
Ho dentro un concerto stonato che preme che guida e mi lascia poi riprende mi schiaccia ma tu, danzi sempre al soffio del cielo ed io sento musica affranta e curata ripetermi cinica e dura che niente ritorna ed amare non basta.
Ma tu dici niente sotto controllo semplicità e che il tempo dirà quello che ora nessuno sente. Ma tu sei tu. E il resto è banale ovvietà che perdura amore che dura che fa paura.
E adesso? E adesso? Adesso che il tuo sole è scomparso che fai? Adesso che le tue luci si sono spente, adesso che il vento e'cessato, adesso che tutto e'deserto, che il buio ti opprime che il freddo ti copre che fai? Adesso che hai chiuso il tuo cuore in un'urna d'acciaio che hai scacciato i fantasmi che ingannevoli ti addolcivano il cammino che fai? Che fai adesso? ... non so... ma sono ancora in piedi!
Mi piace il tram giallo d'inverno, il tram numero diciannove che porta a Roserio. Non ho mai saputo dove fosse Roserio, mi appoggiavo ai vetri appannati, disegnavo scacchiere sulla città stringevo i libri in braccio. "Hai già il titolo della tesi? " La geometria delle linee ferrate conduce verso l'infinito. "Cosa farai dopo? " "Vorrei essere pagata per studiare. " Non ci sono riuscita continuo a pagare per studiare.
E la piazza accoglieva, nella sua rettangolarità, migliaia di persone manifestanti. E io ero lì tra quella gente. Ci distingueva il colore della pelle, gli occhi a mandorla ma il mio cuore era con loro. Quelli cantavano e io con loro, quelli parlavano e io con loro, quelli dormivano e io con loro... ma l'urlo di morte scosse la piazza e del sit-in si fece strage. Corpi stramazzanti a terra, sibili e boati nella notte... Le pallottole d'acciaio infuocate falciavano le gambe di quelli che fuggivano... e quelli morivano, e io con loro...
Non c'è bocca che parli, non c'è emozione alcuna che trapeli, traspaia da volti ormai freddi, non c'è vita negli occhi né altro che scomponga lo stato immoto. Cupola di ghiaccio avvolge le mura lasciandole morire crepa su crepa. Cupa implosione di eventi ormai logori, di rancori saturi e speranze ultime lancia scintille su corpi vaganti, trascinantisi come zombie al di là della morte, con fatica, con le spalle alla vita. Tutto è rinuncia sotto il peso del mondo, tutto è rancore sotto il peso degli anni. Curare non si può le grandi ferite traboccanti di sangue e polveri infette, mutare non si può ciò che si fa duro nel tempo e che trova quiete nel gratuito silenzio, trova la morte in spropositate reazioni che alimentano nell'ombra il vomitare di un vulcano mai spento.
A un gabbiano sulla scogliera Quante spiagge sfiorano assenti i tuoi passi più fragili della rena nei mattini ancora ebbri di sensazioni e delle braci di qualche tardivo falò nelle lunghe estati chiassose...
chi le conta più?
Giocoso gabbiano colore del sale tu rammenti tutte queste feste pazze le lunghe danze le onde placide che van domando le melodie i tuoi occhi a sognare da lontano...
un giorno speciale.
Quante volte sei scappato lassù al faro che da tanti anni ti dà rifugio spalancando lo sguardo a quei racconti intrisi d'acque chiare e terre magiche che i tuoi amici hanno sorvolato...
ed intanto sogni.
Sogni di trovare l'isola meravigliosa che ti attende oltre il litorale natio la intravedi nello splendore dell'alba mentre assapori sulla battigia la mistura di scrosci e di silenzi...
il blu dei mari ascoltati.
I pensieri sorpassano il tempo e tu allora voli verso la scogliera lungo quel filo di vaga angoscia che già lega giorno e assenza d'ombre e là nel grigio il pianto si sperde nel vento...
le tue lacrime dolci nel mare.
Ma quando la spaventosa burrasca ha sciolto le mura dell'ultimo castello aspetta la calma e corri sulla spiaggia cerca fra le alghe sparpagliate dalle correnti sulla riva il tuo tesoro o nel cielo...
Oh, i miei sogni! Erano come fiori finti che nascondevo sotto l'erba del mio giardino già fradicia di pioggia e li dimenticavo. Erano così pochi i fiori veri e non li distinguevo, li confondevo sempre con i sogni.
Ora che il tempo avanza inesorabile come la macchina che trebbia il grano e sferraglia senza pietà, no, io non potrò sognare!
Raccoglierò i miei sogni come fiori di carta sgualciti e impolverati e li chiuderò nel cassetto più nascosto. Butterò la chiave per non aprirlo.
E tu sai che ne terrò soltanto uno, dei miei sogni: questo amore. Io non vorrò sapere, non m'importa di capire se il sogno che mi resta è un fiore o un coriandolo di carta. Sarà soltanto quello che puoi darmi.
Io curerò il mio amore come un vaso di viole, lo innaffierò con l'acqua del mio pozzo; solamente il tuo sole lo farà fiorire.
Immerso nella nebbia apro le braccia e procedo a tentoni, brancolando. Dove sei, amore? Io non trovo la strada che conduce alla tua casa e non odo la tua voce che mi chiama. Perché non hai appeso una lanterna alla tua porta?
Vago da solo in questa notte fredda, incespicando nei binari del tram, e mi accompagna il latrato di un cane. Ormai è tardi ed io non so sperare che tu mi stia aspettando ancora, come facevi una volta.
Disorientato vado percorrendo strade dissestate che non conosco, per venire da te; ma forse giro sempre attorno allo stesso isolato di case. Non so se mi avvicino o mi allontano.
E soltanto questo freddo pungente, che penetra nelle ossa e mi raggela le mani e i piedi, mi ricorda che sono vivo.
Forse sarà così la morte che ha da venire, come un mantello di nebbia che ci avvolge; e spariranno i contorni delle cose e non udremo più le voci amate.
Io non soffocherò il mio amore. Non ti chiederò nulla e accetterò soltanto quello che puoi darmi. Come un lupo assetato berrò l'acqua raccolta nei tuoi palmi e se vuote saranno le tue mani non devi fartene una colpa, avrò almeno la felicità di amarti.
Gli ingranaggi ruotano impazziti con fragore assordante a la lancetta dell'orologio gira a scandire il tempo breve che mi resta.
Ma questa volta io saprò distruggere la macchina che stritola i miei sogni.
La gente non sapeva che il maestro Bottarelli, che tutte le mattine puntuale prendeva la corriera, timido e solo, con le lenti spesse e la sua cartella piena di libri, fosse un delicatissimo poeta.
Dal suo cuore celato in un misero corpo sgorgavano versi limpidi e solari traboccanti di ricordi fanciulleschi e di serene visioni di fiori di siepe e di muraglia.
E nessuno poteva immaginare che un geometra folle e taciturno giunto alla soglia della sua vecchiezza, incipiendo la demenza senile, traumatizzato da un logico abbandono esprimesse con versi angosciosi la sua solitudine e l'amore per una donna.