Io non soffocherò il mio amore. Non ti chiederò nulla e accetterò soltanto quello che puoi darmi. Come un lupo assetato berrò l'acqua raccolta nei tuoi palmi e se vuote saranno le tue mani non devi fartene una colpa, avrò almeno la felicità di amarti.
Gli ingranaggi ruotano impazziti con fragore assordante a la lancetta dell'orologio gira a scandire il tempo breve che mi resta.
Ma questa volta io saprò distruggere la macchina che stritola i miei sogni.
La gente non sapeva che il maestro Bottarelli, che tutte le mattine puntuale prendeva la corriera, timido e solo, con le lenti spesse e la sua cartella piena di libri, fosse un delicatissimo poeta.
Dal suo cuore celato in un misero corpo sgorgavano versi limpidi e solari traboccanti di ricordi fanciulleschi e di serene visioni di fiori di siepe e di muraglia.
E nessuno poteva immaginare che un geometra folle e taciturno giunto alla soglia della sua vecchiezza, incipiendo la demenza senile, traumatizzato da un logico abbandono esprimesse con versi angosciosi la sua solitudine e l'amore per una donna.
A te mi legava un tenue filo mentre t'immergevi negli anfratti delle grotte marine popolate di strani pesci colorati e di coralli; poi mi apparivi sorridente fra le onde che ti sommergevano e portavi in mano una conchiglia contorta che suonava come il mare.
Oh non andare più, giù nella buia spelonca sommersa, figlio mio! Tu non lo sai, ma il filo esile che guida il tuo ritorno è lo stesso che mi lega alla mia vita; e basta un nonnulla per spezzarlo.
Che posso fare io, se questa corda che ci unisce è tranciata da una selce? Ti sento annaspare e tu ti perdi nel buio labirinto; e più non trovi l'uscita nascosta che porta in superficie. Il respiro ti manca, i tuoi polmoni stanno scoppiando e apri la bocca ingurgitando acqua salata. Stai morendo.
Io so che è la tua fine, mi tremano le gambe e sento che la corda allentata si riavvolge. Il sangue mi pulsa nelle tempie, non so che cosa fare per salvarti!
Fingevo di ammalarmi e tu venivi dal cielo, angelo mio, per consolarmi; mi provavi la febbre e trepidante mi rimboccavi bene le coperte e mi baciavi, lieve, sulla fronte.
Di colpo io fingevo di guarire, ti prendevo sul letto e ti baciavo e poi ti penetravo tutta notte. Ma, al primo canto del gallo, tu sparivi.
Adesso io mi sento proprio male, la falce della morte mi accarezza e i diavoli stanno attorno al letto aspettando la mia anima dannata.
Ti chiamo disperato e tu non senti. Angelo mio, perché tu non mi credi? Io non sono capace di mentire, sto morendo e il mio cuore già non batte. O mio angelo, tu devi venire, hai dimenticato qui le tue ciabatte.
Vorrei... Per me... Vorrei poter provare qualcosa di più che non sia questa semplice infatuazione canora, ma sia pura rinascita spirituale... Vorrei poter dirigermi verso quell'angolo di azzurro eterno e vedermi trasformare in qualcosa di dissolubile, così sarei certa di poter relamente capire qualcosa in più di me stessa e di quella parte di essere che mi si confonde dentro...
Il piccolo viaggio del dr. Schmidt Nei calcoli, nelle medie, in un turbinio di dati, il dr. Schmidt è morto! Impossibile! Lui era il più preparato, previsioni esatte, calcoli millimetrici, eppure... Il dr. Schmidt è morto! Lo piangono le sue macchine, gli ingranaggi, i monitors, nessuno poteva immaginarselo. Il dr. Schmidt è morto, seppellito in un giardino di silicone, lo vegliano quattro cipressi sintetici, ed era un grand'uomo il dr. Schmidt... Morto suicida, senza saperlo.
A volte sento di non appartenere a questo mondo; l'anima mia vaga senza posa tra deserti vasti e praterie. Il tempo trascorre e vola via senza spazio per i sogni, e scorre sulle mie stagioni ingiallite così come la mia mano su questi versi inutili. Di fronte a me la città illuminata a giorno, nella notte. Le infrastrutture d'acciaio, le auto veloci e scintillanti, come dardi di fuoco, nella notte. Le insegne dei bar, la gente che passa nella sua gelida indifferenza milioni di anime che passano lentamente nella notte. Ma i miei occhi vedono il passo furtivo di un gatto randagio. Ed il mio cuore sente un fiore che sboccia in una piccola aiuola. Forse per questo mi sembra d'essere un poeta.
Parola che nacque in un vomito di sangue Parola che il primo a dirla affogò in essa. Parola sempre in piedi. Parola sempre in marcia. Parola contumace nella modernità. Parola che si pronuncia coi pugni. Parola grande fino a traboccare dai margini dei dizionari. Parola di affetto facile come una curva. Parola di quattro frecce sparate verso i punti cardinali. Così rimase sradicato d'oblio ogni aneddoto su uno dei vertici più remoti del tempo i dolori umani fecero campi di concentramento per intraprendere la strada, verso quale cielo? Ognuno secondo la sua intensità prese un diverso carattere alfabetico e la parola rimase scritta: rivoluzione Poi il sole passando attraverso di essa per sprofondare nella notte accese le sue undici lettere: rivoluzione. E fu la prima insegna luminosa del mondo. Adesso è nell'uomo così come è nell'ossigeno dell'acqua. Campi, città, mari, contano una popolazione nei suoi echi. Ha sottratto lo spazio ai corpi che si dilatano. Ha violenza e distruzione di onda di vento. Penetra nelle anime con una sensualità di aratro. Cartello scritto nello spazio di due braccia erette, alziamolo con la vita.
Corpo felice, acqua tra le mie mani, volto amato dove contemplo il mondo, dove graziosi uccelli si riflettono in fuga, volando alla regione dove nulla si oblia.
La forma che ti veste, di diamante o rubino, brillio di un sole che tra le mie mani abbaglia, cratere che mi attrae con l'intima sua musica, con la chiamata indecifrabile dei denti.
Muoio perché m'avvento, perché voglio morire o vivere nel fuoco, perché quest'aria che spira non mi appartiene, è l'alito rovente che se m'accosto brucia e dora le mie labbra dal profondo.
Lascia, lascia che guardi, infiammato d'amore, mentre la tua purpurea vita mi arrossa il volto, che guardi nel remoto clamore del tuo grembo dove muoio e rinuncio a vivere per sempre.
Voglio amore o la morte, o morire del tutto, voglio essere il tuo sangue, te, la lava ruggente che bagnando frenata estreme membra belle sente così i mirabili confini dell'esistere.