Nascosta
Nascosta nei silenzi della vita,
io canto, ballo e sorrido,
seppur giace in me il silenzio
tombale della morte
nascosta nei silenzi della vita,
canto ballo ed
abbraccio il vuoto
che assomiglia ai silenzi
dell'anima mia.
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Nascosta nei silenzi della vita,
io canto, ballo e sorrido,
seppur giace in me il silenzio
tombale della morte
nascosta nei silenzi della vita,
canto ballo ed
abbraccio il vuoto
che assomiglia ai silenzi
dell'anima mia.
Stanca,
ubriaca di vita,
cerco il sole,
nascosto
nell'anima mia,
per non sentire
quel vuoto che
urla silenzioso,
ubriaca di vita,
cerco
il sobrio di un sorriso,
sorriso seppur amaro,
dolce è all'anima mia.
Guardami con amore,
come se non fossi io.
Guardami senza vedere me.
Almeno un giorno l'anno.
Non per una ricorrenza che riguardi noi,
quelle le muori tutte come un lutto.
Magari potresti farlo a Natale,
quando tutti dovremmo essere buoni.
Quel giorni sii buona
e cieca se serve.
La trascinarono via, come si fa con le scarpe rotte
da buttare senza buste di plastica a contenerne il vissuto,
la presero con la forza di un inganno incompreso,
la videro come si vede il male,
Affascinante e letale.
Nehelia era un nome da purificare, come gli oltraggi che le appartenevano,
come il parlare a voce alta della propria identità,
esistenza.
Ribelle in un mondo dove lo stesso concetto di rivolta era morto,
distorto, avvelenato dalla peste e dall'imbroglio.
Nehelia doveva stare zitta!
Tacere ad ogni sacrosanta verità sputatagli in faccia,
mortificarsi per esistere resistere insistere ancora nel non capire,
o peggio,
nel comprendere appieno quanto ci credesse, in se stessa.
Blasfema, provocante, incurantemente
Bella!
Uomini che per lei ardevano di passione dimenticando Dio,
disposti al ridicolo, pretendenti rifiutati per capriccio, o peggio,
per scelta.
Nehelia osava questo e di più, rivendicava diritti.
Nemmeno le puttane ardivano a tanto, consce del loro meschino retaggio,
del loro malaffare, e della loro complicità da quattro monete di piacere.
Lei non negava il suo amore, no,
lei lo esaltava, ne faceva arma da opporre all'evidenza.
Martire?
Persino questo aveva insinuato nel pensiero lascivo di desiderosi il peccato,
quanto poco credibili difensori di diritto.
Mi chiesero se avessi visto il marchio del diavolo su di lei...
Quale miserrima eventualità di discolpa,
vederla vittima, come lo sono coloro che subiscono il supplizio del maligno per volere di dio.
Lei era non un mezzo,
lei era come il traghettatore,
di anime verso la sua vergognosa femminilità!
Lei amava farsi amare,
peggio di Lucifero, peggio di Satana,
non amava affatto Dio.
Non ne era gelosa,
osava persino dire ce ne fosse uno vero, diverso dal nostro.
Diverso per misericordia e a difesa dei perseguitati.
Il nostro Dio che ha sacrificato se stesso per la salvezza, la speranza,
la redenzione,
lei lo giudicava indegno!
Nehelia doveva morire!
E morì di una morte atroce, che supplicò invano il perdono, la comprensione,
la redenzione (ironia del destino).
Chiese persino i sacramenti, ammise ogni colpa, anche quelle tenute nascoste e mai rivelate,
quelle di un'anima corrotta
dentro ogni attimo di respiro.
Non servì a nulla il suo lamento, non stavolta,
seppur tanti vidi piangere la sua sofferenza.
Nessuno armò se stesso di coraggio però,
nessuno sacrificò davvero per lei quanto a parole elargivano con grande superbia.
Stettero nelle loro colpevoli lacrime.
E infine, quando spensi la sua vita prima che urlasse un'ultima parola,
Potei finalmente dire quanto di più forte abbia mai sentito in me,
in silenzio, io,
unico a rispettare quella indegnità,
sconfitta.
Per amore di Dio, Giustizia è fatta.
Nel ciglio di una sera
la tua voce
ha largito un oblio
alla corrente,
nella placida gora la luna
ha raccolto il respiro del vento.
Tu non sai
il sorriso caldo di una mano,
le perle di pieghe
tra petali e l'onda degli occhi,
tu non sai
il frastuono dell'estasi di stelle
che allaga l'infinito,
lo scintillio che canta
ancora fino all'alba di domani.
Tu non sai
che il fiore di un fiore
rimasto acceso
tiene ancora il mio cuore
illuminato.
A volte della gentaglia
parlarmi dietro,
dicendo cose false
e menzognere;
me ne frego,
e vado avanti,
e mi ribello a tutto,
una volta di più;
alla società vana e ipocrita,
alla gente vuota conformista,
alle mode da poco,
a chi ci calcola,
e vuole comandare.
Ancora non
ho finito di ribellarmi,
ancora,
cerco la libertà;
lontano dagli idioti,
da certe gente,
dalle opinioni,
da chi ceca solo
di fregarti,
di controllarti.
Di là dal vetro che sta dietro la sedia
c'è il primo giorno,
la strada.
Schiamazzi di giovani destinati allo scontro.
Lascia che ridano oggi,
piangeranno domani.
E se lo dicono i vecchi
puoi stare certo che è vero.
Ancora hanno ferite timbrate addosso
da mostrare ad ogni ricorrenza.
Ma io la mia guerra con te l'ho già persa.
Ti rivesti,
guardi avanti,
scompari.
Vorrei che avessi due occhi nelle spalle,
per vedere la mia faccia
che ti vede andare via.
Siedo sulla panchina
per far passare il tempo
e vederlo che passa.
Io non lo voglio ingannare,
non mi ha fatto niente.
Eppure a volte l'ho perso,
sprecato,
gettato via,
rubato a qualcuno.
Ma ha continuato a concedersi,
non si è mai accanito
non mi è mai stato contro.
Adesso però vorrei cercare di ammazzarlo
perché per reazione lui si decidesse ad ammazzare me.
La gente sorride,
mi saluta.
Se rispondo al saluto
mi vuole parlare,
vuole sapere,
fa le stesse domande.
Se non rispondo
commenta da sola,
sul nulla,
sulle mancate risposte
o sulle parole che pensa di avere sentito da me.
Per il resto del giorno
potrei dire a tutti gli altri che incontro
e mi rivolgono la parola
di parlare col primo con cui non ho parlato.
O tornare a rinchiudermi in cuccia.