Poesie personali


in Poesie (Poesie personali)

Omaggio a Emanuela

Conoscere Emanuela?
è una grande emozione
è come cavalcare un'onda in ebollizione
Ella è semplice, determinata, sicura
è dinamite, adrenalina pura!

E come conoscere un angelo o forse
una stella, ma ciò che mi ha colpito
non è solo il suo splendore ma
quello che mi ha lasciato il segno è
il suo carisma, il suo semplice candore!

Possiede un sorriso aperto, spontaneo leale
ti mette a tua agio e ti coinvolge nel suo mondo
virtuale, diventi prigioniero della sua icona ideale
rimani sbigottito ma è tutto bene in fondo

Incontrarla è sempre un'avventura, la sua empatia
ti avvolge, ti sconvolge, la sua voglia di vivere è
tracotante, effervescente, è un fuoco d'artificio
la sua condizione è sempre un cratere in eruzione!

Quando poi ti lascia il tempo di riflettere
riordinare le idee e ritornare te stesso
pensi che certe cose ti capitano solo adesso
e quando le cercavi la vita non te le ha concesse!
Composta sabato 17 dicembre 2016
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    Scritta da: Iris Vignola
    in Poesie (Poesie personali)

    E l'angelo guardò la luna

    E l'Angelo guardò la luna,
    contemplandola come Venere sognante,
    attonito e assorto, senza distoglier sguardo,
    dacché, già, l'avea notata,
    la notte, al suo usual incedere fatato,
    mai rimirandola come in cotal momento.

    Parea dipinto,
    sì talmente immobile com'era, da parer finto,
    tutt'uno, sopra l'esiguo scoglio che l'accoglieva.
    Turbato, com'un innamorato, ebbro d'ardore,
    ch'andava a intonar la serenata ch'avea nel cuore.
    S'avesse avuto voce, per quel cantico d'amore!

    Regina della notte, al palesars'in cielo,
    enfasi e stupore, per l'astro incoronato d'alone luminoso,
    che riflettea sul mar barlumi luccicanti a pelo d'acqua,
    brillanti luccichii d'argento,
    sopr'al candido riverbero, delineante strana rotta.

    Rotta del desiderio... pensò l'Eccelso.
    E l'Angelo guardò la luna,
    pensando alla sua veste immacolata,
    perpetuo, il suo scrutare solitario,
    nel tempo suo, ch'andava a terminare,
    gioendo, di splendor ch'avrebbe perso,
    non soffermandosi, quell'attimo d'eterno.
    Composta domenica 6 dicembre 2015
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      Scritta da: Iris Vignola
      in Poesie (Poesie personali)

      Celestiale è

      Celestiale è 'l color della speme, mai muore,
      nutrita al levar del mattino,
      disacerba 'l rancor suffragato dal male,
      di candor fanciullesco s'avvolge.

      Emulando parvenza del mare,
      già sottratta in partenza al cielo ceruleo,
      estorce la tinta cangiante,
      nell'intenso desio di rinascer costante.

      Nel celeste mantel virginale
      si cela, nell'intento di trarne conforto,
      la preghiera che sale è sagace,
      cita l'inno a schiacciare il serpente.

      Celestiale è la nota d'intenso vibrare,
      ch'ancor s'ode, nel porre l'udito,
      quale musica astratta, nel cosmo sapiente,
      un sussurro vitale che prende, struggente.

      Linfa fresca infiamma le vene,
      nel tripudio di coglier respiro,
      nell'immenso fluir di quel canto ancestrale
      stimolante  'l coraggio interiore.

      Celestiale è l'amore che smuove ogni dove,
      che v'è intriso, nell'intrinseco spazio,
      ch'ha certezza soltanto sentito nel cuore,
      quale magico incanto perpetuo e sgorgante.

      Immortal tale fonte primaria, di suono si tinge,
      negli armonici accordi che giungono all'io,
      gorgheggianti com'echi ch'espandono l'aere,
      risponde fervente 'l palpito d'un cuor nascente.
      Composta martedì 13 dicembre 2016
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        Scritta da: Iris Vignola
        in Poesie (Poesie personali)

        Inver nacqui

        Atmosfera rarefatta,
        galleggiando, nel limbo ch'amavo assai tanto,
        protezione e piacere, nel guscio racchiusa,
        fors'anche sarei mai, da lì, sgusciata.
        non assaporando però 'l profumo del tuo seno.
        Inver nacqui dal grembo che scoprii materno,
        vidi la luce, nell'oscurità d'una notte bruna,
        abbandonando alfin quella mia culla
        che, senza sosta, mi ninnava,
        in cui, beata,
        ambivo alle carezze della mano delicata.
        Sonorità latente giungea a me soffusa,
        voce, come nenia, che m'acquietava
        e m'addormentava,
        facendomi sognar la bocca che narrava
        oppur cantava la soave ninna nanna.
        Dolci sensazioni d'un'epoca passata,
        d'una coscienza non ancor delineata,
        di cui 'l ricordo s'è perso già nascendo
        e manca a questo cuor ch'ancor t'acclama,
        ch'ancor accanto ti vorrebbe, mamma.
        Composta mercoledì 14 dicembre 2016
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          Scritta da: Iris Vignola
          in Poesie (Poesie personali)

          Come giulietta so d'ascoltar, d'usignolo, il dolce canto

          Verseggia ancora l'usignolo,
          accovacciato sul ramo del salice che piange,
          melodico il suo suono,
          ne intona il pianto, nel gorgheggiar intenso,
          dopo la notte insonne, nel deliziar l'udito.
          Rimbalza l'eco,
          nella campagna circostante,
          ch'attendeva l'alba, per giungere al risveglio.
          L'oscurità notturna
          m'è comparsa più opprimente del consueto.
          Priva di vita, s'è palesato solamente il nulla,
          nell'inghiottire il tutto.
          La luna è migrata alla mia vista,
          s'è rifugiata altrove, anziché portar conforto.
          Funereo quel cielo nudo, a deluder il morale.
          Solo triste tristezza è apparsa all'orizzonte,
          nella sua veste lunga e nera,
          in cui le lacrime si forgiano a tessuto.
          Inaspettata, s'è insinuata nella mente,
          radicando la sua tela,
          tal ragno, che sa circuir bene la sua preda ignara.
          Come Giulietta, so d'ascoltar, d'usignolo, il dolce canto,
          non dell'allodola, sul ramo.
          Sentor di Paradiso, sebben per un momento,
          m'assale, alle tonalità poliedriche del piccolo pennuto,
          da far tesoro ritrovato e racchiuder nella mente,
          onde fuggir dalla tristezza, or sofferenza, alfine,
          nell'esistenza altalenante...
          A tal uopo, quel canto, sigillerò nel cuore.
          Composta domenica 16 agosto 2015
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            Scritta da: Iris Vignola
            in Poesie (Poesie personali)

            Mi voltai... e vidi quel fiore...

            Nel sentor d'erba bagnata, la violenza scatenata sul mio corpo,
            dita forti mi strappavano i vestiti, lacerandomi le carni ed il mio cuore.
            Assetato di dolore, arrancando, dissetasti la tua oscena bramosia,
            tra le gambe insudiciate sia di terra, che di sangue.
            Più serravo e più impazzivi, scatenando la tua furia,
            soggiaceva, in me, la femmina, alla lotta
            e, strappando i miei capelli, addentravi il tuo piacere
            in quel nido che violavi e violentavi,
            col tuo sadico furore d'una belva assatanata.
            Mi schifasti delle mani che infilavi nei segreti del mio corpo,
            del tuo fiato ch'esalavi dalla bocca spalancata,
            sulle labbra mie, sfinite dalle grida disperate.
            Del tuo umore, che spargesti nelle viscere nascoste.
            Del mio male, appagasti la libidine crescente.
            Te ne andasti come un vile vincitore, la tua spada nella guaina,
            quel tuo ghigno d'un demonio... lo ricordo come allora!
            Non più grida dalla bocca, eran morte nella gola.
            E le lacrime di pioggia si versarono sul viso,
            per mondarlo dal mio pianto, nel fragore del silenzio.
            E la terra infradiciata mi donava il suo tepore, come madre, mi cullava,
            un effluvio mi arrivò, dritto, alle nari, non me n'ero accorta prima.
            Mi voltai... e vidi quel fiore...
            Composta giovedì 21 gennaio 2016
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              Scritta da: Iris Vignola
              in Poesie (Poesie personali)

              Giunto sopra al nono cielo

              Com'in un baccello,
              racchiudevan, l'ali sue, quell'Angelo caduto,
              affranto, nel suo guscio.
              Fors'il cielo non se n'er'ancor accorto,
              che mancava al Paradiso.
              Che mancava il suo sorriso.
              Quelle lacrime di pianto
              gli cadevan dallo sguardo desolato.
              Solitario, il suo dolore,
              strano specchio del suo essere perfetto,
              privo d'altro sentimento che d'amore.
              Rannicchiato su se stesso,
              come fosse stato in grembo,
              mai vissuto, dal suo esser un eletto,
              spoglio d'ogni umana sorte,
              sconosciuta, a lui, la morte.
              Dolce rosa... la fragranza riportava la speranza
              del giardino dei Beati,
              d'ogni gaudio, profumato e di letizia,
              dove ritrovar riposo, nell'empirico suo volo,
              giunto sopra al nono Cielo.
              Composta mercoledì 3 febbraio 2016
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                Scritta da: Iris Vignola
                in Poesie (Poesie personali)

                Le mancava immensamente

                Sorvolava il mare, con le sue ali bianche,
                pareva esser volo d'un gabbiano,
                scrutando l'onde che, nell'infrangersi su scoglio,
                l'erodean malvagie. Immobile, com'ad aspettar la morte.

                Si poneva sulla rena, ammirando, col suo cuor ormai etereo,
                l'orizzonte, riflettente nell'acque trasparenti,
                ch'agivano da specchio, nel donargli i suoi colori evanescenti,
                ch'entrambi rendevan similari. Quasi fosse suo gemello.

                Seguiva, coi suoi occhi verde-azzurri, fin in fondo,
                dove sguardo si perdea, laddove parean incontrarsi,
                sciogliers'in un abbraccio, per divenir tutt'uno. Quasi a sposarsi.
                Simbiosi d'un creato insormontabile e perfetto.

                Rammentava l'acre effluvio del salmastro,
                or mai più potea inebriarsi, così priva dei suoi sensi.
                Le mancava percepir i suoi fremiti soventi,
                in quel tempo, nell'immerger il suo corpo ancor intatto.

                Ascendeva nuovamente al posto suo, alle Alte Sfere,
                immutabili, in quel ch'era il Paradiso,
                inni, in cor di Cherubini e Serafini spars'in cielo,
                non lenivan il ricordo del suo mar...
                Le mancava immensamente...
                Non poteva starne senza...
                Composta sabato 27 febbraio 2016
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                  Scritta da: Iris Vignola
                  in Poesie (Poesie personali)

                  Sospesa a un filo di seta

                  Sospesa a un filo di seta, detergo l'aurora,
                  togliendo quel velo notturno che copre il suo volto,
                  vorrei che nascesse un po' prima del tempo.
                  Farfalla improvviso, dal bozzolo uscita.

                  Sorelle frementi, m'accolgon tra loro, ruotandomi attorno,
                  invidio il fregiarsi costante dell'ali sgargianti,
                  s'un volo saccente, mischiante color su colori,
                  regine onorate dai fiori, del mandorlo e il pesco.

                  Leggiadro, quel vibrar su stelo, poliedriche vesti,
                  il misero baco ognor l'ha lasciato,
                  s'è spento, di trasformazione, fatal desiderio,
                  ha ucciso, la femmina, i biechi suoi panni.

                  Dissolto s'è il filo di seta, s'è scinto il cordone,
                  la fervida immagine, rapito ha la donna,
                  s'effigia dell'ali nascenti, a stregua dell'esser farfalla,
                  di nascer or ora, s'inoltra nel folle pretesto,
                  per far quel che sente la mente, ispirato dal cuore.
                  Composta venerdì 4 marzo 2016
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                    Scritta da: Iris Vignola
                    in Poesie (Poesie personali)

                    A librarsi nell'aria, su... in alto

                    Incedendo sì piano su rena bagnata,
                    i suoi piedi imprimevano l'orme
                    da cui rifluiva, sovente, dell'acqua salata.

                    Attendeva l'arrivo fremente dell'onda,
                    su cui spuma leggiadra,                                                                                                                                              sbocciando, adornava,
                    ch'appariva dissolversi al tatto.

                    Innalzava lo sguardo più in alto del cielo,
                    perso nella sua muta preghiera
                    atta a chiedere venia al suo Dio.

                    Se il desio del creato dinanzi
                    le rapiva la mente
                    e l'effluvio, sì acre, i suoi sensi.

                    Se dal cuore esondava l'amore,
                    per quel mare ch'amava d'immenso
                    da mancarle, al pari del fiato                                                                                                                                                   e di cui recepiva il respiro.

                    Se ancor percepiva il rimpianto
                    d'aver tutto quel ch'agognava, sì tanto,
                    all'inverso d'un paio di diafane ali.

                    E se il vento arrecava quel canto
                    nel sfiorar l'impalpabile corpo,
                    suscitandole brividi intensi...

                    Smoderato l'incanto, a quel mare,
                    il suo Padre Celeste avea dato.
                    Non potea darle torto, se tardava a tornare.
                    A librarsi nell'aria, su... in alto.
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