Non importa chi tu sia, uomo, donna, vecchio o fanciullo, operaio o studente, o commerciante, se ti chiedono qual è la cosa più importante per l'umanità rispondi prima dopo sempre la pace e la bontà.
Le lacrime del sabato sera sono più salate e grigie somigliano una vecchia densità che tarda a scendere io, non sono la tua donna clandestina anche per me. Nella pista sotto luci argento ballano coppie di sempre dalle facce disilluse si tengono per mano io però non sono con te ti abbraccio solo con gli occhi. Continuare le pene, le notti, i giorni del telefono muto, nero. Distante però mi parla, mi racconta di altri letti sgualciti io, non sono la tua amante di un'incessata dimenticanza. Compagnie che ridono alle mense tanti, troppi visi che conosco da brevi e lontane date mescolata fra le sedie di paglia io, non sono l'avvezza mica di saltuari disegni. Giorni di festa quelli veri da dividere quasi sempre abbandonando quotidiani pensieri e risa leggere io, non sono la tua compagna di incontri accaduti per garbo. Amplessi, regali, pochi baci del vino candele, parole, spaghetti e canzoni, muovono scomposti sulla scacchiera io, sono la dama di giochi di un fante, quando alfiere o re che dà scacco matto.
A non fidarti della rondine fai bene se prima del tempo le sue ali schiude e se del sole non ti illudi da trascurare il vento con le sue nuvole le sue tempeste.
Ma non della rondine né del vento il tremore.
Su tutto temi scandalo e rossore, esasperato amor proprio, l'errore non ti hanno accordato vivere. Peccato (virtù)!
Perché è nei sentieri impervi, sconsigliati, errati, che l'uomo si compatta si sfibra provando a resistere nuova estrema situazione, al richiamo della già dal sommo illustrata selva oscura.
Rinunciante donna a te mi saldo: non v'è all'inferno luna ma è dei sensi peggior pena un sempiterno rigido bianco inverno.
Sarà facile stampare tanti soli sulla faccia calare la maschera cieca e sorda che non preferiva sapere mi farò stringere da tentazioni sornione e da un amore inquietante senza abitare paura mi vestirò danzando di gioie nel cuore tutti i minuti di questi giorni respingerò i tuoi capelli imprigionerò sulle labbra il sapore del miele selvaggio del buoi padrone del vento desidero tu assista la mia ombra tu mi senta nell'aria se poi mi leghi la vita col tuo sguardo intrigante circondarmi di un oceano sarà facile. Forse non ti racconterà più la penna innamorata novelle che non vuoi sentire spero questo cuore dorma si culli di sospiri si culli di parole si culli di amore si culli di tremori si culli di amplessi regalati, dette, dato, passati, caldi. Mi coccolerò alla luce di cere carezzata da musiche lente indosserò i nostri odori se i giorni di domani non ti avranno sul muro scorrono i giorni di ieri e li amo voglio il coraggio del nome che mi moriva fra le righe Francesco. Vigile nella testa ai primi soli m'accompagna zuccheroso nei bui teneri Francesco. Risulto dall'acqua lucida di vinti timori non sarai musa virtuale in mezzo alle parole Francesco. Per un poeta è un osare raro creatura intatta offro oggi rivelo al foglio Francesco.
"E in questo triste sguardo d'intesa, per la prima volta, dall'inverno in cui la sua ventura fu appresa, e mai creduta, mio fratello mi sorride, mi è vicino. Ha dolorosa accesa,
nel sorriso, la luce con cui vide, oscuro partigiano, non ventenne ancora, come era da decidere
con vera dignità, con furia indenne d'odio, la nuova storia: e un'ombra, in quei poveri occhi, umiliante e solenne...
Egli chiede pietà, con quel suo modesto, tremendo sguardo, non per il suo destino, ma per il nostro... Ed è lui, il troppo onesto,
il troppo puro, che deva andare a capo chino? Mendicare un po' di luce per questo mondo rinato in un oscuro mattino? "
Vorresti essere amata? E tu fa' che il tuo cuore non si discosti dal sentiero di ora! Essendo ogni cosa che ora tu sei, non esser mai altro che non sei. Così i tuoi cortesi modi di vita, la tua grazia, la tua più che bellezza saranno un tema d'elogio senza fine, e l'amore - non altro che un puro dovere.
È scritta questa rima per colei i cui occhi lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda, troveranno il suo stesso dolce nome annidato sulla pagina, celato ad ogni lettore. Osservate i versi attentamente! Vi è in essi un tesoro divino - un talismano - un amuleto - che si deve portare sul cuore. Osservate poi il metro - le parole - le sillabe! Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica! E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano che senza una spada non potreste disciogliere, se solo n'afferraste il soggetto. Tracciate sul foglio, scrutate da occhi in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute, tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome. Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente, come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando - sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta! Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
"Di rado troviamo", dice Salomone Allocco, "una mezza idea nel più profondo sonetto. Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo agevolmente, come in un berretto di Napoli - ciarpame! Robaccia! - come può portarlo una signora? E più pesa, però, della vostra stoffa petrarchesca - piumate assordità che un lieve soffio disperde e ammucchia in cartaccie sol che l'esaminiate". E Salomome ha invero ragione. I soliti versi tuchermaniani sono bubbole notorie - effimere e così trasparenti - ma questa mia, ora - potete esserne certa - è solida, nitida, immortale - e tutto questo a causa dei cari nomi che vi sono celati.