Poesie di Nicola Di Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Dall'aldilà del prima del suo giorno
e nel ventre celeste - si gonfiò! -
il feto della luce coi suoi raggi
indicò già la sua destinazione,
il letto della nascita, le dita
dei suoi riflessi puntarono il mare! -
seguì in docilità quel che era sorte -
tutto è risorgere, ed anche il venire
nel mondo, sembra, per la prima volta,
è essere fenice partorita
da ceneri d'un utero di notte.
Nicola Di Candia
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Mi rialzerò dal sonno, dall'inganno
    che mi creai con l'ombra del mio letto
    per proteggere il corpo della schiena
    – la crosta oscura della cecità –
    sarà come fenice la mia palpebra
    si librerà leggiadra come pianta
    di ballerina ch'è sulle sue punte,
    ancora in terra, ma col resto in volo,
    e poi sarà ferita già sfumata
    in tenero declino di fontana
    che spoglia nuda, il centro, dei suoi petali,
    ritornerà, alle origini, a tacersi –
    la luce è il suo cerotto, l'ha sepolta
    ancora viva, non trama vendetta! –
    luce che cola, gocce del suo sangue
    di cuore, del suo volto che ora sono
    tutto l'azzurro è il mio tappeto e il trono
    e sono anche corona che rimanda
    in basso, i suoi riflessi, per la pietas
    nei confronti del povero mortale,
    ché il palmo del suo sguardo abbia al suo centro
    l'oro fugace eterno del riflesso,
    e sia giustizia ché il possesso è un prestito!
    Nicola Di Candia
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Quando eri chino con la tua pupilla,
      con la nuca poggiavi su ginocchia
      di vuoto oscuro, in cerca della sua ombra
      e del suo corpo ché si rivelasse
      tutt'una luce sola, notte fonda,
      il fondo era restare in superficie
      dell'abisso, dal quale risalivi
      – vedere ciechi vivere la morte! –
      poi fu la resa una resurrezione:
      l'alba nel suo colore fu fenice,
      rialzatasi da ceneri interiori,
      sangue sfumato che non fu ferita,
      danzò sul filo d'azzurre purezze,
      e ritoccai le nuvole col dito
      di uno sguardo che piano la raggiunse
      premendo sulla sua scarna magrezza,
      lo stacco di un cordone ombelicale
      rimise al mondo la sua creatura,
      il tempo fu di nuovo fatto madre,
      il sonno della nascita provò
      su ossa di cuscini rivoltati
      invano per profili incontentabili
      – ché era il centro, il davanti, la sua posa,
      il sole, il volto neonato di luce,
      decapitato che ricreò il corpo,
      il collo, il tronco, gli arti, coi suoi raggi,
      e, pudico, svelò la sua, di anima,
      nell'immersione fioca dei riflessi.
      Nicola Di Candia
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Chinavano le nuche tutte quante
        alla carezza azzurra dell'altissimo
        fingeva di inarcarsi all'orizzonte
        per contemplare e poi bere gli abissi
        tolta allo specchio, dopo, la sua maschera,
        calato giù il sipario del suo sonno,
        quella palpebra bionda che era luce,
        e svelata l'essenza ch'era nera,
        non più ombra, infinito di pupilla
        a vedere in sé stesso il sonno veglia
        ché non s'accenda più luce di un sogno,
        ché non risorga da notturne ceneri
        la fenice lunare del suo cranio
        che non s'acquisti vista nei riflessi
        di lacrime di luce delle stelle.
        Voi non sapete, spighe, quanto male
        provocate al suo palmo che s'abbassa
        fin su alle punte che pungono, spine,
        emorragia che nasce nel tramonto,
        ognuna che risponde alla vicina,
        ognuna è persa come in una folla,
        ed è in un mare d'oro ch'è scaduto
        dal valore della vita alla morte,
        ognuna è scheletro, lisca di pesce,
        inseppellita fra le onde di sé,
        aspetta il vento che gli sia da nuoto,
        aspetta infine la bocca del sole
        che in opaco respiro nel discreto
        svegliarsi del colore dica piano
        l'infinita parola del silenzio
        che le arrivi con l'eco del suo raggio
        mentre in preghiera ha la resurrezione
        l'inferno è il bruno ed è tutta la terra
        e la luce che arriva una catabasi.
        Nicola Di Candia
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Notte, pupilla vasta
          che contieni e raccogli
          i riflessi di lacrime stellari
          che non cadono in volto, in guancia, in mento -
          lontananza nel mare che li attende -
          con le fauci dell'onde inferocite
          - si sbriciolaron presto in spuma d'ossa,
          in docile mollezza, chi di spada
          ferisce, poi di spada perirà! -
          sbranò la preda del figlio del sole -
          fu lutto ovunque, come sulla terra
          quando Cristo morì. Così la notte.
          Pietà di Michelangelo che dona
          il colore dell'animo alle cose
          che obbediscono senza che subiscano -
          e il mare è le ginocchia dove culla
          l'immensa tomba - tutt'un cimitero -
          dove riposa, dove? Non si sa!
          Il giorno dopo è l'aldilà per lui
          è noi morti di qui, illusi vivi,
          non percepiamo che è resurrezione.
          Nicola Di Candia
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            Scritta da: Andrea De Candia
            Cielo, madre che ha perso
            il suo unico figlio che era il cuore
            estremo della luce.
            Occhio calato a scrutare gli abissi,
            non racconta nient'altro che sé stesso
            quando risorge puntuale all'alba.
            Ed il nero mistero della morte
            vince di nuovo, per l'uomo soltanto
            nel pugno briciole di conoscenza
            ed una vasta immensità di ignoto.
            Come fiori di lacrime posati
            su un cimitero dall'unica tomba,
            i riflessi di luce delle stelle,
            lutto vissuto, incarnando l'essenza
            gioiosa, eco di un ricordo in cocci.
            Nicola Di Candia
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              Scritta da: Andrea De Candia
              Morte era buio, la sua cecità –
              inguaribile notte, insonne l'offro
              la medicina della pelle mia –
              il vento è labbro che respinge e va
              indietro, si fa trapassare. Invano.
              Cura da sé l'essenza. Non c'è occhio
              all'infuori di luna a illuminare,
              solo donano visione di luce
              come fossero piante da nessuno
              le stelle, il suo dolore manifesto
              nello spezzettamento e nel riflesso.
              Nicola Di Candia
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                Scritta da: Andrea De Candia
                Luna non è sorriso,
                anzi lo è, ma morto.
                Scheletro di dentiera sulle labbra
                delle sue buie ceneri. Il miracolo
                è non avere un occhio, essere cieco,
                eppure dall'abisso della sua anima
                riuscire a far emergere i riflessi
                di lacrime di luce. Stelle sono
                pianto e sorriso nello stesso tempo.
                L'occhio aperto che guarda dell'insonne
                le lascia scivolare su di sé
                come guancia, sull'acme di pupilla,
                le custodisce facendo che cadano
                nello scrigno ch'è il suolo del suo sonno.
                Nicola Di Candia
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  Voglio essere sole,
                  centro per qualcun altro,
                  sangue di luce senza avere un corpo,
                  Dio che si fa a immagine e somiglianza
                  dell'uomo, i raggi diventano ciglia,
                  bacio dell'occhio a un altro –
                  scrutamento invisibile di pene –
                  voglio che quando muoio la pupilla
                  dell'amato diventi come notte,
                  madre chinata a contemplare il lutto,
                  il ricordo dell'ombra che si posa
                  sul mare, superficie dell'abisso –
                  voglio che pianga tutte le sue stelle –
                  voglio resurrezione della luce
                  e non altra caduta nella fine,
                  migliaia di milioni di miliardi
                  di lacrime che brillino per me.
                  Nicola Di Candia
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