Mi rialzerò dal sonno, dall'inganno che mi creai con l'ombra del mio letto per proteggere il corpo della schiena – la crosta oscura della cecità – sarà come fenice la mia palpebra si librerà leggiadra come pianta di ballerina ch'è sulle sue punte, ancora in terra, ma col resto in volo, e poi sarà ferita già sfumata in tenero declino di fontana che spoglia nuda, il centro, dei suoi petali, ritornerà, alle origini, a tacersi – la luce è il suo cerotto, l'ha sepolta ancora viva, non trama vendetta! – luce che cola, gocce del suo sangue di cuore, del suo volto che ora sono tutto l'azzurro è il mio tappeto e il trono e sono anche corona che rimanda in basso, i suoi riflessi, per la pietas nei confronti del povero mortale, ché il palmo del suo sguardo abbia al suo centro l'oro fugace eterno del riflesso, e sia giustizia ché il possesso è un prestito!
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