Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Ridotto a me stesso?

Ridotto a me stesso?
Morto l'interlocutore?
O morto io,
l'altro su di me
padrone del campo, l'altro,
universo, parificatore...
o no,
niente di questo:
il silenzio raggiante
dell'amore pieno,
della piena incarnazione
anticipato da un lampo? -
penso
se è pensare questo
e non opera di sonno
nella pausa solare
del tumulto di adesso.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    All'Italia

    O patria mia, vedo le mura e gli archi
    E le colonne e i simulacri e l'erme
    Torri degli avi nostri,
    Ma la la gloria non vedo,
    Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
    I nostri padri antichi. Or fatta inerme
    Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
    Oimè quante ferite,
    Che lívidor, che sangue! Oh qual ti veggio,
    Formesissima donna!
    Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
    Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
    Che di catene ha carche ambe le braccia,
    Sì che sparte le chiome e senza velo
    Siede in terra negletta e sconsolata,
    Nascondendo la faccia
    Tra le ginocchia, e piange.
    Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
    Le genti a vincer nata
    E nella fausta sorte e nella ria.
    Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
    Mai non potrebbe il pianto
    Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
    Che fosti donna, or sei povera ancella.
    Chi di te parla o scrive,
    Che, rimembrando il tuo passato vanto,
    Non dica: già fu grande, or non è quella?
    Perché, perché? Dov'è la forza antica?
    Dove l'armi e il valore e la costanza?
    Chi ti discinse il brando?
    Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
    0 qual tanta possanza,
    Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
    Come cadesti o quando
    Da tanta altezza in così basso loco?
    Nessun pugna per te? Non ti difende
    Nessun dè tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
    Combatterà, procomberò sol io.
    Dammi, o ciel, che sia foco
    Agl'italici petti il sangue mio.
    Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
    E di carri e di voci e di timballi
    In estranie contrade
    Pugnano i tuoi figliuoli.
    Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
    Un fluttuar di fanti e di cavalli,
    E fumo e polve, e luccicar di spade
    Come tra nebbia lampi.
    Nè ti conforti e i tremebondi lumi
    Piegar non soffri al dubitoso evento?
    A che pugna in quei campi
    L'itata gioventude? 0 numi, o numi
    Pugnan per altra terra itali acciari.
    Oh misero colui che in guerra è spento,
    Non per li patrii lidi e per la pia
    Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
    Per altra gente, e non può dir morendo
    Alma terra natia,
    La vita che mi desti ecco ti rendo.
    Oh venturose e care e benedette
    L'antiche età, che a morte
    Per la patria correan le genti a squadre
    E voi sempre onorate e gloriose,
    0 tessaliche strette,
    Dove la Persia e il fato assai men forte
    Fu di poch'alme franche e generose!
    Lo credo che le piante e i sassi e l'onda
    E le montagne vostre al passeggere
    Con indistinta voce
    Narrin siccome tutta quella sponda
    Coprir le invitte schiere
    Dè corpi ch'alla Grecia eran devoti.
    Allor, vile e feroce,
    Serse per l'Ellesponto si fuggia,
    Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
    E sul colle d'Antela, ove morendo
    Si sottrasse da morte il santo stuolo,
    Simonide salia,
    Guardando l'etra e la marina e il suolo.
    E di lacrime sparso ambe le guance,
    E il petto ansante, e vacillante il piede,
    Toglicasi in man la lira:
    Beatissimi voi,
    Ch'offriste il petto alle nemiche lance
    Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
    Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
    Nell'armi e nè perigli
    Qual tanto amor le giovanette menti,
    Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
    Come si lieta, o figli,
    L'ora estrema vi parve, onde ridenti
    Correste al passo lacrimoso e, duro?
    Parea ch'a danza e non a morte andasse
    Ciascun dè vostri, o a splendido convito:
    Ma v'attendea lo scuro
    Tartaro, e l'ond'a morta;
    Nè le spose vi foro o i figli accanto
    Quando su l'aspro lito
    Senza baci moriste e senza pianto.
    Ma non senza dè Persi orrida pena
    Ed immortale angoscia.
    Come lion di tori entro una mandra
    Or salta a quello in tergo e sì gli scava
    Con le zanne la schiena,
    Or questo fianco addenta or quella coscia;
    Tal fra le Perse torme infuriava
    L'ira dè greci petti e la virtute.
    Vè cavalli supini e cavalieri;
    Vedi intralciare ai vinti
    La fuga i carri e le tende cadute,
    E correr frà primieri
    Pallido e scapigliato esso tiranno;
    vè come infusi e tintí
    Del barbarico sangue i greci eroi,
    Cagione ai Persi d'infinito affanno,
    A poco a poco vinti dalle piaghe,
    L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
    Beatissimi voi
    Mentre nel mondo si favelli o scriva.
    Prima divelte, in mar precipitando,
    Spente nell'imo strideran le stelle,
    Che la memoria e il vostro
    Amor trascorra o scemi.
    La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
    Verran le madri ai parvoli le belle
    Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
    0 benedetti, al suolo,
    E bacio questi sassi e queste zolle,
    Che fien lodate e chiare eternamente
    Dall'uno all'altro polo.
    Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
    Fosse del sangue mio quest'alma terra.
    Che se il fato è diverso, e non consente
    Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
    Chiuda prostrato in guerra,
    Così la vereconda
    Fama del vostro vate appo i futuri
    Possa, volendo i numi,
    Tanto durar quanto la, vostra duri.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Nella casa addormentata

      Nella casa addormentata in quest'alba
      la luce che si muove al secondo piano
      è una stella rimasta lassù

      sono sceso senza rumore
      per la scala
      sono andato attraverso il giardino
      fino al bosco di faggi

      nella freschezza calma di quest'alba
      negli alberi la tenerezza
      di una giovane madre
      e a passi lenti sul ponte di pietra
      la partenza.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Mezzogiorno

        L'osteria della pergola è in faccende:
        piena è di grida, di brusìo, di sordi
        tonfi; il camin fumante a tratti splende.
        Sulla soglia, tra il nembo degli odori
        pingui, un mendico brontola: Altri tordi
        c'era una volta, e altri cacciatori.
        Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
        dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
        e dai remoti campanili intorno
        un'ondata di riso empie la villa.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il Santuario

          Come un'arca d'aromi oltremarini,
          il santuario, a mezzo la scogliera,
          esala ancora l'inno e la preghiera
          tra i lunghi intercolunnii dè pini;
          e trema ancor dè palpiti divini
          che l'hanno scosso nella dolce sera,
          quando dalla grand'abside severa
          uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
          S'incurva in una luminosa arcata
          il ciel sovr'esso: alle colline estreme
          il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
          Sale con l'ombra il suon d'una cascata
          che grave nel silenzio sacro geme
          con un sospiro eternamente uguale.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            De gli occhi de la mia donna si move

            De gli occhi de la mia donna si move
            un lume sì gentil che, dove appare,
            si veggion cose ch'uom non po' ritrare
            per loro altezza e per lor esser nove:
            e dè suoi razzi sovra 'l meo cor piove
            tanta paura, che mi fa tremare
            e dicer: "Qui non voglio mai tornare";
            ma poscia perdo tutte le mie prove:
            e tornomi colà dov'io son vinto,
            riconfortando gli occhi paurusi,
            che sentier prima questo gran valore.
            Quando son giunto, lasso!, ed è son chiusi;
            lo disio che li mena quivi è stinto:
            però proveggia a lo mio stato Amore.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Volta il cavallo, e ne la selva folta
              lo caccia per un aspro e stretto calle:
              e spesso il viso smorto a dietro volta;
              che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
              Fuggendo non avea fatto via molta,
              che scontrò un eremita in una valle,
              ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
              devoto e venerabile d'aspetto.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                I tre santi Re Magi dall'Oriente

                I tre santi Re Magi dall'Oriente
                Chisedono in ogni piccola città:
                "Cari ragazzi e giovinette, dite,
                la strada per Betlemme è per di qua? "

                Ma i giovani ed i vecchi non lo sanno
                E i tre Re Magi sempre avanti vanno;
                ma una cometa d'oro li conduce
                che lassù chiara e amabile riluce.

                La stella sulla casa di Giuseppe
                Ecco s'arresta: là devono entrare.
                Il bovetto muggisce, il bimbo strilla,
                e i tre Re Magi prendono a cantare.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  La cicala

                  Appare volontà quel che fu caso,
                  un eterno momento,
                  ma l'occhio il naso suggellò veloce
                  e la bocca nel vento
                  ambigua errò per voce
                  che sempre può parlare.

                  Questo il ritratto e questo è il mare,
                  un rudere che striscia
                  nel suo vecchio calore.

                  Così dall'ombra mosse
                  una piccola biscia
                  fuggendo il suo colore.
                  Apparvero le fosse
                  dei morti, il grigioverde
                  dei topi e dei soldati.

                  Ha i minuti contati
                  la morte che perde
                  e moltiplica i piedi.
                  Nel sole che vedi
                  è il sole che langue,
                  il formicaio del sangue.
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