Scritta da: Giulia Guglielmino
in Poesie (Poesie personali)
Pensieri e passione
Guarda che le stelle
ci sono sempre,
si sono solo nascoste
dietro alle nuvole...
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Guarda che le stelle
ci sono sempre,
si sono solo nascoste
dietro alle nuvole...
Ho sognato il ricordo di quel nome "Susana"...
Le montagne di biscotto,
la stella chiamata come me,
le caprette rosa che fanno "ciao",
le note musicali...
Ho sognato gelosia per quel profumo rul retro di un albero di pere
che mi fissa...
Perché ho sognato questo?
Perche!?
Basta...
Ricordi vaghi
riaffiorano,
la malattia dell'anima
risorge impietosa.
Io ti guardo,
risorgere dalle tue ceneri,
ma la speranza non mi abbandona,
accompagnata dalla forza
dei miei valori,
cullata dal calore profuso
che alimenta
quel coraggio disperato,
sospinta a salvaguardarmi
dal tuo mondo
che mi rifiuta...
per quel mio passo che avanza,
solo apparentemente temerario,
in cui tu vedi la nullità
del tuo essere,
l'ipocrisia dei tuoi atti.
Ancora perplessa,
ti osservo sferzare
la tua
collerica
insana
indomabile
ira
e dipingi ogni luogo
con i colori perversi
del tuo malessere,
per sopportare
quel dolore
immenso
infinito
sublimato
che mai ti abbandona.
Incapace di amare,
preferisci l'odio
all'indifferenza...
In un circolo senza fine
riproduci copioni
uguali a se stessi
ma...
rimani esterrefatto
da chi riesce
a sopportare la tua crudeltà,
a rispondere al tuo astio
sussurrando
parole che, come una ninna nanna,
invitano a sopire
la tua anima affranta.
Insoddisfatti,
agitati,
anni compressi
in un angolo di cuore.
Il Bene eluso
dalla visione totalizzante
del freddo opportunismo
che non ammette errori
contro titanici millantatori
di formali ideali.
Valori etici
radiati da ogni dove.
Sacrifici umani
di gente ignara
del proprio destino.
Carnefici addestrati
da misticismo bellico.
Nessuna "Pulzella" salverà
l'Umanità da questa guerra
"dei mille anni"!
Vite sdraiate al sole:
bidite refrigeranti o mosche fastidiose,
un'uguaglianza
drammaticamnte
contrapposta,
ancora l'eccezione
che conferma la regola,
ma quale nefando pensiero
folgora
chi non si arresta a tanto?
La rosa che un giorno t'ho donato,
l'ho rivista insieme a qualche fiore:
nel rivederla sul tavolo, ho provato
un tonfo di letizia dentro il core!
Non l'hai buttato via il nostro fiore!?
L'hai tenuto riposto: ma perché?
Vuoi farmi capir che in te l'amore
È ancora vivo, come lo è in me?
La rosa che t'ho dato non è vera,
ma è bella, forse più se mai lo fosse.
Io t'ho dato una rosa finta,
perché giammai doveva scomparir:
infatti l'ho rivista, bella, linda,
sul tavolino facendomi soffrir!
Mi ha fatto male, sì, perché la rosa
è rimasta nel tempo come era;
l'amore tuo, effimero, è una cosa
come te: rimasto m'è chimera!
Due cose mi dan contentezza,
mi rendon gentile
anzi tre e mi danno vigore:
dei bimbi d'asilo infantile
la brezza;
dei vecchi l'attesa senile;
il tuo amore.
Se sai che t'amo
Se sai che t'amo, ascolta:
dissolvi i tuoi timori
il tuo sogno non sfiorire
sbalza oltre la foschia
e al limine esteso
il tuo sguardo ancora mi ritrovi.
Son qui che ti aspetto
mentre la sabbia scivola
nella clessidra e il tempo
della nostra vita si consuma|
Fa presto! Ritorna!
Riportami i tuoi baci
ancora le dita della tua mano
si intreccino alle mie
le labbra tue dolci incontri
come la prima volta, vieni
libera il mio pensiero
dal labirinto senza uscite
se intrappolato vaga
tra le stanze della tua assenza.
Cedi a questa dolcezza
che ti insidia, placa l'arsura
del cuore smarrito tra le dune
in cui il tuo editto l'ha confinato
abbandoni poi il mio sudario
intriso di nostalgia e di malinconia.
Vieni: è certezza quest'amore
che dentro tuona lampeggia
e dà acqua alla tua rosa in agonia
sradicami dal ceppo a cui la catena
della tua indifferenza mi imprigiona.
Dai piglio a quest'affetto
che si accende nel mio petto
se vicina ti penso e un'onda
di tenerezza segreta ti raggiunge
sotto l'arco di chiarore che ti illumina come un sole
continuiamo a vivere in uno scambio
di sogni e mescoliamo le nostre vite.
Dubbiosa, che possiamo perdere
se null'altro di tangibile s'afferra
dal vorticoso vuoto dei giorni?
Sbalza, sbalza oltre le rovine
datti ali immortali
e spirito ritrovami
afferrami e portami con te
in alto oltre le miserie della vita
ove solo soffi d'amore spirano.
È sulle scale dell'essere
che sfinito t'aspetto
come respiro che ritorni!
Vuoi che io qui muoia
o mi rialzi pieno di vita
e aumentato di amore
ti dia ancora il braccio
e risalga verso la luce?
Resterò su questa scala
a filtrare dal silenzio
il rumore dei tuoi passi
a sillabare domani le tre sillabe
del tuo nome per ridarti un volto.
Se sai che t'amo, ritorna
varca il confine e abbracciami
prima che su quelle scale io muoia.
Il tempo inconiugato
Ho camminato sui sassi levigati:
dopo due passi acuminati vetri.
Ne valesse la pena potrei anche ferirmi;
ghermirmi dal lontano e ritornare.
Ma il moto ondoso della malinconia
pietoso, a volte, mi cela il suo confine
un monte avvolto dalla dura nebbia
ove spicca la vetta un po' sorniona...
Ho cominciato su vetri acuminati:
dopo due passi, sassi levigati...
Ne valesse la pena potrei anche fermarmi.
Ma il moto ondoso della malinconia
tutto sommato non è quello che sembra.
Come una dura nebbia di zucchero filato.
La sciaradda fumigante del vespro
ha punte di cromorno che soltanto
il lento commovimento del vento
sa pazientemente addipanare.
La nota che l'eco adusta riverbera
è una scheggia smorzata sopra il rame
dell'orizzonte; rameggia un silenzio
nel profondo dell'ora. Stride querula
l'oscura epifania della sera;
si snodano i destini: come tónfano
attempato disperdono la brace
promessa all'argento striato alcuni
accordi in lontananza; una voce alida
si prova a modularli con arpeggi.
Ma il turbine ondoso con le criniere
d'un diospero sommuove anche il tuo
albagioso parlare. S'incupisce
la stanza trinata mentre lo spettro
della finestra vanisce; una brezza,
dipoi un attonito bisbigliare:
il profilo marezzato si spunta
di frondi magnioliacee, auso antro
d'un poggio anellato in derelizione.
Stagliata contro romite nuvole
di cenere, svaria roggia la voce
arrochita d'una scaglia di luna.
Sei la china in cui si stempra la notte;
soltanto abbarbagliano queste crepe
d'asfalto nell'uggia abbozzata luci
riecheggiate fra un discosto lampione
e lo scalpiccio del tuo passo isocrono.
Sulla strada taciturna la tua ombra
incede ponderosa nella fuga
da una rimembranza che non è tua:
impronte seriche ed uranoliti
s'increspano fra le tue dita; un'ambra
balugina distratta sopra un gelso:
tu la cogli, non appena un'incauta
pioggia lambisce il cristallo che porti
nei tuoi occhi. Entro il cerchio silenzioso
del tuo profilo, una lacrima svetti.
La lasci cadere in un tuo sospiro,
ritorni verso casa, persuasiva
che tribolare senza avvedersene
non si preroga alle zuffe di piume...
il pencolare d'ogni tuo pensiero
quella sera era pegno d'infinito.