Siamo io e te, fattori di sommatorie sottratte a paradisi incostanti, perduti su isole del cuore da dove costruisco ponti mentre tu scavi gallerie per incontrarmi all'infinito di idee adiacenti, semmai forse condivise tra graffe e sorrisi a forma di parabole e/o parentesi tonde orizzontali, nelle espressioni inespresse, taciute, per astratto benessere di noi, giudici giudicati, divisibili per muri con pareti di carta che spengono luci ormai difficili d'elevarsi a potenza.
Scintille su pelle -sprofondano- incidono laceranti disegni penetrando porte vergini -e tu mi chiami vincente- se il mio sorriderti tra le spine t'appare leggero;
il guscio è superficie più profonda è la bufera quando il mare si preannuncia blu e il vuoto (tacito) non si colma gemendo dentro vasi lacrimali asciugàti poi al sole;
sogno, capita, di uno squarcio dentro il cielo, e godere un istante d'una luce nella pioggia, scoprirti vicina che sorridi, mi scaldi... e tu mi chiami vincente.
Scivolano, su boccioli di rosa e foglie, gocce... rugiada trasparente; è come tenerti a mente quel sorridere disperso, a volte stillante il lacrimare, celato dentro sguardi di vetro, drenarti i flussi in tensione su fili d'ingiusta ansia e scalfirti con la seta sulla pelle, poi stremarti con un bacio... e morirmi in un abbraccio.
Sguardi collimati al centro, dove posa l'indisturbato tacerti i pensieri, condivisi dentro vagoni sfioriti in treni passati con soli biglietti d'andata; e sei storia inespressa, a lungo lapidata tra il ristagno dei ricordi, se sorriderti era palese carezza e ricambiare era silenzioso assenso.
Eppure sognavo d'esser marinaio di cieli e di lune, tra mari di sabbia solcati sui venti a pescarti le stelle... e stavo a sentirle, le barche e i tramonti montati sul palco di scene di pezza. Ma per te il piacere è causarmi ferite, incidile al cuore, ma immergile dentro, nel miele profondo, fa che la spina mi faccia più male nel lampo che punge e il ricordo di te non depenni il rancore al termine di una lacrima, stesa e asciugata nel sole.
Bagnarti le coste dove s'incrociano i tuoi seni, soffiarti la schiuma incantata che pura inali... e bolle e sapone tra noi, oratori senza parole; raccòntati negli occhi come libri di storia, rinchiusi dentro polverosi scaffali che poco t'identificano, guardarti, esplorarti, conoscerti adesso come non mai scoprirti ingenua, seducente, magica.
Sognare, leggendo in faccia lune ridenti dagli sguardi argentati riversi nel mare e cullati dalle onde, scendono, risalgono, stremati s'abbandonano nella risacca generosa di luci alla scogliera, assorbite nell'incantato procurarti dolci ferite al cuore, piovute come lacrime su sterile deserto.
Ricordo quasi assente, con madide mani spolverato, ricucito nella nebbia, pezzi di cuore, se infranti tornerete l'adagio suonerà ancòra alato e non serviranno stracci, lavàti e sporcàti tra le rive di sponde meste, tetro cullare di emozioni diverse, scolpite nei tronchi e nell'aere spiovente; se è vero che altro non siamo che stelle sfrattate, se è vero che un giorno riavremo quel cielo, quaggiù brillerò di libertà provvisorie sfiorate nel vento tra il viaggiare eterno dei miei occhi a te, dimenticato amico.
Infiniti mari dove poetano le sirene, e sui porti in tempesta, implacabili predatori sfidano onde sul perdermi in catartiche assenze da queste spiagge, inquiete, deserte e primordiali, stuprate da tempeste ed eoni che costanti rimangono... ma io aspetto, solitario e immobile sopra isole lontane intriso di anima nera che m'infiamma, il sapore del sale ed il tuo miele mi mancano... il calore, l'ardire le labbra e giacere sui prati; senza una rotta e con gli dei avversi affronto il mio inferno e non lo so se più mai conoscerò il tuo viso pulito.