in Poesie (Poesie d'Autore)
Tramonto
Al tramonto
quando il sole
scende a bagnarsi
nel mare
nel cielo sfavillante
iniziano le danze
e la terra
inebriata da tanta magia
declama la sua più bella
poesia.
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Al tramonto
quando il sole
scende a bagnarsi
nel mare
nel cielo sfavillante
iniziano le danze
e la terra
inebriata da tanta magia
declama la sua più bella
poesia.
Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori,
Le cortesie, l'audaci imprese io canto
Che furo al tempo che passano i Mori
D'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
Seguendo l'ire e i giovenil furori
D'Agramante lor re, che si diè vanto
Di vendicar la morte di Troiano
Sopra re Carlo imperator romano.
Quale in notte solinga
sovra campagne inargentate ed acque,
là 've zefiro aleggia,
e mille vaghi aspetti
e ingannevoli obbietti
fingon l'ombre lontane
infra l'onde tranquille
e rami e siepi e collinette e ville;
giunta al confin del cielo,
dietro Appennino od Alpe, o del Tirreno
nell'infinito seno
scende la luna; e si scolora il mondo;
spariscon l'ombre, ed una
oscurità la valle e il monte imbruna;
orba la notte resta,
e cantando con mesta melodia,
l'estremo albor della fuggente luce,
che dinanzi gli fu duce,
saluta il carrettier dalla sua via;
tal si dilegua, e tale
lascia l'età mortale
la giovinezza. In fuga
van l'ombre e le sembianze
dei dilettosi inganni; e vengon meno
le lontane speranze,
ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
resta la vita. In lei porgendo il guardo,
cerca il confuso viatore invano
del cammin lungo che avanzar si sente
meta o ragione; e vede
ch'a sé l'umana sede,
esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
nostra misera sorte
parve lassù, se il giovanile stato,
dove ogni ben di mille pene è frutto,
durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
quel che sentenzia ogni animale a morte,
s'anco mezza la via
lor non si desse in pria
della terribil morte assai più dura.
D'intelletti immortali
degno trovato, estremo
di tutti i mali, ritrovar gli eterni
la vacchiezza, ove fosse
incolume il desio, la speme estinta,
secche le fonti del piacer, le pene
maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
caduto lo splendor che all'occidente
inargentava della notte il velo,
orfane ancor gran tempo
non resterete: che dall'altra parte
tosto vedrete il cielo
imbiancar novamente, e sorger l'alba:
alla qual poscia seguitando il sole,
e folgorando intorno
con le sue fiamme possenti,
di lucidi torrenti
inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
giovinezza sparì, non si colora
d'altra luce giammai, né d'altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
che l'altre etadi oscura,
segno poser gli Dei la sepoltura.
Guarda che bianca luna!
Guarda che notte azzurra!
Un'aura non sussurra,
non tremola uno stel.
L'usignoletto solo
va dalla siepe all'orno,
e sospirando intorno
chiama la sua fedel.
Ella, che il sente appena,
già vien di fronda in fronda,
e par che gli risponda:
"Non piangere, son qui".
Che dolci affetti, oh Irene,
che gemiti son questi!
Ah! mai tu non sapesti
rispondermi così.
Un pallone leggero si alzò in cielo una sera.
Salì in un momento tra nuvole e vento...
Con un po' di fortuna, giunse sotto la luna... Disse:
"Spostati tu, che voglio andar più in su!"
La luna che era a un quarto, si fece un po' da parte...
Ma passando vicino si bucò il palloncino.
Scoppiò forte e sparì... La luna si impaurì...
Poi le tornò il coraggio, e venne Maggio...
Calma, calma questo cuore agitato,
tu, notte tranquilla di luna piena.
Troppe gravi preoccupazioni,
più e più volte
gravano sul mio cuore.
Versa tenere lacrime
Sopra brucianti pene.
Con i tuoi raggi argentati,
portatori di sogno e di magia,
morbidi come petali di loto,
o notte, vieni, accarezza
tutto il mio essere
e fammi dimenticare
tutte le mie pene.
Sei pallida perché
sei stanca di scalare il cielo
e fissare la terra
tu che ti aggiri senza compagnia
tra le stelle che hanno una differente
nascita, tu che cambi
sempre come un occhio senza gioia
che non trova un oggetto degno della
sua costanza?
C'è tanta solitudine in quell'oro.
La luna delle notti
non è la luna che
il primo Abramo vide.
I lunghi secoli dell'umano vegliare
l'han colmata d'antico pianto.
Guardala.
È il tuo specchio.
Farfalla azzurra
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.
O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.