Da un brivido colta non sono più avvolta da caldi pensieri. Rivivo l'istante e il riflesso pressante di dubbi e speranze. Non son rimembranze ma è vivo presente che imbroglia la mente. Il ghiaccio è già rotto, se tocco mi scotto: il freddo è pungente, il caldo è bollente. Ma il cuore che sente, lo sa poi che fare, se vuol farsi amare.
Inchiodati con le dita sopra l'iceberg della vita, lo sentiamo come il vento il trascorrere del tempo. Ancorati e raffreddati, siamo fuori ad aspettare chi ancora ci può amare. Non vogliamo congelare e impariamo a navigare aspettando primavera. Ci chiediamo poi, dov'era quell'isola felice decantata dai poeti. Se il cuor ancor ci dice di guardar oltre le stelle, saran loro, proprio quelle a condurci nel calore di un immenso nuovo sole, che ci scaldi poi le dita con il raggio della vita.
Pensieri protesi sul limite esatto del detto e non fatto. Pensieri annebbiati da giorni passati, su campi già arati e non più seminati. Pensieri lasciati tra fatti ed impegni: ci provi e li spegni, col soffio del vento. Ci provo e poi mento perché vedo e sento la trama di luce e l'idea che conduce al di là di quel sogno di cui avverto il bisogno.
Castagne sul fuoco, messe per gioco, non sono sbucciate, ma solo appoggiate sui ricordi di ieri. Non son sempre veri quei dispiaceri, a volte conditi da giusti misteri, a volte contesi tra cuore e ragione. Castagne marrone dure e gustose, sempre festose, bruciate sul fuoco ma messe per gioco.
Senza colore appare la luce, scolpita nell'acqua che il fiume conduce lontano nel tempo. Disegno un momento chiedendo il commento del pioppo bianco, un amico mai stanco di ascoltare chi è pronto ad amare e nel freddo sognare. Tu senti, tu vedi e senza colori procedi sereno e tranquillo, stampando confini in orizzonti vicini; insegui la luce dal sole donata, come un cuore rivive una gioia passata.
Ancora ti chiamo: non spezzo quel ramo, la foglia è caduta, la stagione finita, goduta, ma non certo perduta la linfa infinita che scorre felice da cima a radice. Alimento di vita che unisce quel dentro e che non capisce le nostre ragioni. Segue il suo corso quel legame sottile e dà vita e vigore al nostro sentire. Aspetta che il raggio buchi la nebbia per dal luce al miraggio che insegue l'oblio, ti chiamo: son io.
Oltre il velo con lo zelo di un pittore che dipinge l'orizzonte ho di fronte un altro io, che dal velo si intravede. Non ci crede la mia mente che procede tra le rime indefinite, non esistono due vite, ma una sola aspettativa. La speranza è ancora viva, oltre il velo, canta e danza, tra le mura della stanza.
Il sole tenace come una brace incendia la nebbia: apre il suo varco e con il suo arco di frecce potenti infrange quel velo. Si insidia insistente come fuoco rovente, trapassa il ricordo già andato, già morto, abbatte quel muro e appare radioso il nostro futuro.
Cosa sento non l'ho detto, ma tu sai che ancor t'aspetto, come un sogno che s'avvera solo quando lo si spera. Cosa sento non lo vedi e seppure non ci credi, cambia e cresce: sta nascosto ma non esce, tra la nebbia si nasconde come il fiume tra le sponde. Cosa sento lo saprò solo quando ti vedrò: sarà come una schiarita tra la nebbia dipartita.