Ho spiegato la mia orfanezza sopra il tavolo, come una mappa. Disegnai l'itinerario verso il mio luogo al vento. Quelli che arrivano non mi trovano. Quelli che aspetto non esistono. E ho bevuto liquori furiosi per trasmutare i volti in un angelo, in bicchieri vuoti.
Viaggiavo in piedi eppure nessuno mi offrì il posto anche se ero di almeno mille anni più anziana, anche se portavo, ben visibili, i segni di almeno tre gravi malanni: Orgoglio, Solitudine e Arte.
Poeti i misteriosi, gli schietti, una scatola cranica per elmo, per scudo un velo di cellofan, poeti, queste specie, queste seppie che si difendono schizzando inchiostro.
A chi rimbomba il tamburo del teschio tra rovinii di parole - quale di esse può risorgere per afferrare un sorso di respiro per dondolarsi nella cuna della bocca per ferrigna recarsi nell'arengo della parola? - colui sfida di colpo l'incendio, Dolore della luce che lo costringe al verso oscuro - crisi di astenia della lingua, lo dicono.
Coi ginocchi piegati sul primo dei tre gradini dell'Altare, Dio dell'innocenza io Ti chiedo al mio amplesso. Non tarderanno a sorprendermi braccia d'incensi mistici ondeggianti al sommo delle mie chiaroveggenze. Né mancheranno i grappoli nevosi delle Tue leggiadrissime abbondanze al mio secco palato. Ti vedo, Estasi ripida dell'oro, flusso di gemma alzata all'agonia: Il Tuo Unico Senso occhieggia misterioso e ineluttabile dietro cieca persiana. E Ti canto in segreto spiccando gigli e spade dalla gola ch'esita a rivelarsi in tutta la sua ampiezza prodigiosa. Ah, Dio dei miei miracoli segreti: vengo a nutrire della mia presenza il seme di Misura che m'appartiene e indugia nel Tuo palmo. Quando germoglierà la mia Figura?