Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Bestemmia

come le scintille che dal legno
che arde rapide sprizzano
così le nostre vite per un attimo
di odio e amore si accendono
e svaniscono in un vortice di fumo

così pure gli infiniti universi
durano un tempo effimero
che a noi pare interminabile
e irresistibilmente
sono attratti in un orrido imbuto

oh tu, se esisti
oltre lo spazio e il tempo
e origini questo caos
e contempli l'inutile dolore
di ogni vita,
la nascita e la morte,
la pianta che germoglia e rinsecchisce,
cessa, ti prego, il tuo gioco perverso
e riducimi in polvere insensibile.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    L'ippocastano malato

    Da dove viene questa larva che s'insinua
    fra le tenere foglie dei castani
    amari e invisibile ne succhia
    la linfa e le lascia secche
    e attorcigliate, come in un precoce
    autunno? E questa pianta che morendo
    impazzisce, nei suoi rami bassi
    rigetta nuove foglie e alcuni
    grappoli di sterili fiori, quasi fosse
    ingannata dal pallido sole
    che non riscalda e tristemente prelude
    alle imminenti gelate dll'inverno.

    Da dove viene questo amore
    così fuori stagione, che rinasce
    nel cuore di un vecchio solo e disilluso?
    È forse la paura della morte
    che mi fa scoppiare nella testa
    questa insana pazzia, perché nulla
    mi può ingannare, se ragiono.
    Oppure è il mio solito bisogno
    di invaghirmi di un sogno, ed ora
    mi sembra di amare questa donna
    che è così simile a lei, ma non è vero.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Allegoria

      Il mandarino contenne la sua ira
      quando i sevitori tremanti riferirono
      che dalla gabbietta aperta il passerotto,
      che più di ogni cosa amava, era sparito.
      Egli salì sopra la torre
      e scrutando il cielo in lontananza
      vide l'uccellino che fuggiva
      e che, credendo di volare verso il sole,
      s'inoltrava fra le nubi di tempesta.
      Con terrore pensò al buio della notte
      popolato di orribili grifagni
      che fra poco avrebbe avvolto
      l'improvvido uccellino infreddolito.
      Allora fu grande il suo dolore.

      Arrivarono da tutto il regno
      musici, buffoni e concubine
      e le stanze della reggia risuonavano
      di allegre musiche di danza.
      Ma più niente rallegrava il mandarino.

      I mercanti portarono le sete
      più lievi fruscianti e colorate
      e le gemme preziose incastonate
      in splendidi gioielli.
      Ma più niente interessava al mandarino.

      I maghi allora gli donarono
      pavoni finti costruiti
      con piume d'oro o di cristallo
      e con occhi di zaffiro o rubino
      e che dentro avevano un congegno
      che imitava il trillo di un uccello.
      Ma più niente ingannava il mandarino.

      E i savi dottori che venivano
      con libri polverosi gli spiegavano
      che gli uccelli derivano dai rettili
      e che lui si era innamorato
      di un piccolo serpente con le piume.
      Ma più niente consolava il mandarino.

      Tutti i giorni seguenti il mandarino
      saliva sulla torre alta
      e con un lungo cannocchiale
      scrutava il cielo fino all'orizzonte,
      incurante delle orde dei nemici
      che premevano oltre la muraglia.
      Sperava di vedere l'uccellino
      volare in lontananza;
      e il cielo era solcato
      dai voli dei terribili rapaci.

      Oh se ti avessi dato
      una gabbietta con le stecche d'oro,
      oppure avessi costruito per te, nel mio giardino,
      con fili invisibili, un'aerea voliera.
      Ora ti poseresti felice
      fra i cespi delle rose e sopra i rami
      dei ciliegi in fiore.
      O forse bastava
      che io ti parlassi ogni mattina,
      e tu saresti qui sulla mia mano.

      Ora attendo soltanto
      le orde dei nomadi nemici
      feroci tagliatori di teste che verranno
      dalle steppe immense,
      cavalcando diabolici destrieri;
      e scaleranno i bastioni di difesa
      e irromperanno nella fertile pianura
      incendiando i campi di riso e la mia reggia.
      Ma più nulla m'importa e io non temo
      l'infausto mio destino e la morte atroce
      che inesorabilmente, a lunghi passi, si avvicina.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Paradisi perduti ora non ricordiamo il dolce
        tempo delle colombe
        e la felicità
        non si è posata più
        sui nostri cuori.

        No, non dite
        a noi stoltamente piangenti
        che gli orridi imbuti sono aperti,
        ora come sempre,
        e che l'angelo più bianco
        starnazza con ali di corvo!

        Ma nuovamente Satana che ride
        a noi grida la nostra solitudine
        mostrando i giardini deserti
        e la serpe annidata sotto i fiori.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Dalle fosse ardeatine, 31 Aprile 2001 buio, fosse, pietre recenti sul muro.
          Un grido, alto come il silenzio, fucili,
          rumori (bangbang)
          grida, fine.

          Vi sento con me, mi camminate
          al fianco mentre
          cammino sui vostri passi
          Vi sento con me, mi fate
          un sorriso invisible attraverso
          i vostri luoghi bui che sto
          guardando
          Vi sento con me, mi abbracciate
          con le vostre ossa mentre i
          miei occhi piangono lacrime
          di storia

          Luce, Prati verdi, alberi ricchi di frutti.
          Ecco dove siete ora, amici
          Perdonaste, oh quanto
          perdonaste.
          Ma un grido mi suona in gola:
          "Pagheranno quei bastardi
          per quel che han fatto! "
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Vorrei... Per me... Vorrei poter provare qualcosa di più
            che non sia questa semplice infatuazione canora,
            ma sia pura rinascita spirituale...
            Vorrei poter dirigermi verso quell'angolo
            di azzurro eterno e vedermi trasformare
            in qualcosa di dissolubile, così
            sarei certa di poter relamente capire
            qualcosa in più di me stessa e di quella parte di essere
            che mi si confonde dentro...
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Canto D'amore Mia amata
              ancora della salvezza,
              in te rimuovo
              il peso della mia coscienza.

              Sono solo, nudo
              vestito spesso dalle illusioni;
              sconosciuto questo tuo pianeta,
              eppure mi da pace
              e motivo di rivincita
              dalle mie tante sconfitte
              di uomo debole
              che di sogni si nutre
              nella precaria instabile esistenza.

              Mia amata
              ci si rinnova
              navigando attraverso
              il tuo mondo;
              si diventa forti amandoti:
              si trova ogni spiegazione
              anche se inutile o banale.

              Tenendoti per mano
              mi accorgo d'esser vivo:
              non c'è cosa più straordinaria.
              Ogni giorno è migliore
              di quello andato, perduto;
              ogni gesto quotidiano
              acquista peso, valore, sonorità
              in un solo ed unico
              canto d'amore.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Il piccolo viaggio del dr. Schmidt
                Nei calcoli, nelle medie,
                in un turbinio di dati,
                il dr. Schmidt è morto!
                Impossibile! Lui era
                il più preparato,
                previsioni esatte,
                calcoli millimetrici, eppure...
                Il dr. Schmidt è morto!
                Lo piangono le sue macchine,
                gli ingranaggi, i monitors,
                nessuno poteva immaginarselo.
                Il dr. Schmidt è morto,
                seppellito in un giardino di silicone,
                lo vegliano quattro cipressi sintetici,
                ed era un grand'uomo
                il dr. Schmidt...
                Morto suicida,
                senza saperlo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Anima

                  A volte sento di non appartenere a questo mondo;
                  l'anima mia vaga senza posa tra deserti vasti
                  e praterie.
                  Il tempo trascorre e vola via senza spazio
                  per i sogni,
                  e scorre sulle mie stagioni ingiallite
                  così come la mia mano su questi versi
                  inutili.
                  Di fronte a me la città illuminata a giorno,
                  nella notte.
                  Le infrastrutture d'acciaio,
                  le auto veloci e scintillanti, come dardi di fuoco,
                  nella notte.
                  Le insegne dei bar, la gente che passa nella sua gelida indifferenza
                  milioni di anime che passano lentamente
                  nella notte.
                  Ma i miei occhi vedono il passo furtivo di un gatto randagio.
                  Ed il mio cuore sente un fiore che sboccia in una piccola aiuola.
                  Forse per questo mi sembra d'essere
                  un poeta.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Odi che il bronzo rimbombando langue,
                    E l'ultimo momento
                    Morte si strappa, e sul tuo volto esangue
                    Stende le man:... sei spento.

                    Urlan le furie accapigliate, e intorno
                    Stanti con folta notte,
                    Chè alfine di putredine il soggiorno
                    Con gli abissi t'inghiotte.

                    O tu, folle! sperasti altro compenso
                    Dall'empietà che teco
                    Negra impresa di sangue, e volo immenso
                    Tentò eretta del cieco

                    Ardir su l'ali? accumulare i scempi
                    Dè tiranni piú rei,
                    Non re, sapesti; ma percoton gli empi
                    Non chimerici Dei.

                    Invan gloria sognasti, il grido invano
                    Tu dè secoli udisti,
                    Ch'or plausi turpi d'uno stuolo insano
                    A esecrazion van misti.

                    Vincesti? e invan; regnasti? e invan, superbo,
                    Chè con destra di possa
                    Dè giusti il Dio del tuo comando acerbo
                    La catena ha già scossa.

                    Veggio l'empio seder amplo in suo orgoglio
                    Qual di monte ombra in campo;
                    Sublime al par di cedro erge suo soglio;
                    Ma squarcia l'aer un lampo;

                    Tosto il veggio tremar, piombar, sotterra
                    Cacciarsi al divin foco;
                    Invan lo sguardo mio cercandol erra,
                    Nemmen conosco il loco.
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