Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

La verità

Sino al trono di Dio
anciò mio cor gli accenti,
Che in murmure tremendo
Rispondono i torrenti,
E dalla ferrea calma
Delle notti profonde
Palma battendo a palma
Ogni morto risponde.

D'entusïasmo ho l'anima
Albergo; e sol d'un Nume
Io son cantor: degli angeli
L'impenetrabil lume
Circonda il mio pensiero,
Ch'erto su lucid'ali,
Sprezza l'invito altero
Dè superbi mortali.

E coronar di laudi
Dovrò chi turpe e folle
Splendido sol per l'auro
Sa l'orgoglio s'estolle?
Che dir deggio di lui?
Pria di giustizia il brando
Sù forti bracci sui
Vada folgoreggiando;

E canterò. Nettarea
Da me non cerchi ei lode,
Se a lutulenta in braccio
Sorte tripudia e gode,
E tra un'immensa schiera
D'insania al carro avvinto
scioglie con sua man nera
A iniquitate il cinto.

E tu chi sei che il titolo
Santo d'amico usurpi?
E vile d'amicizia
L'aspetto almo deturpi?
Chi sei tu che m'inviti
Di gloria a spander raggio
E a sciòrre inni graditi
A chi in virtù è selvaggio?

Non sai che santuario
Al ver nell'alma alzai
E che io del vero antistite
Sempre d'esser giurai?
Non sai che mercar fama
Da tal canto non curo,
E più dolce m'è brama
Sul ver posarmi oscuro?

Vero suonò di Davide
Il pastoral concento,
E a Dio piacque il veridico
Suono, e tra cento e cento
L'unse à popoli ebrei
Rege di pace, e adorni
D'illustri eventi e bèi
Fè dell'uom giusto i giorni.

E immagine d'obbrobrio
Vuoi tu farmi, o profano?
Oh! quell'immonda faccia
Copriti con la mano
Lungi da me: chi fia
Cui faccian forza i detti
Ch'io l'alta cetra mia
Di ricca peste infetti!

Garrir fole non odemi
L'atrio di adulazione,
E in questa solitudine
Dall'aurata prigione
Fuggo; esecrando il folle
Che blandisce con mèle
Il grande; e in sen gli bolle
Rancor, invidia, e fiele.

Dunque chi vuol, d'encomio
Canti impudente intuoni
Per lo tuo eroe; ch'io cantici
Fra gli angelici suoni
Ergo al Solopossente,
Che dall'empirea sede
Gl'inni in letizia sente
Di verità e di fede.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    A Dante

    Alto rombano i secoli
    Su rapidissim'ali,
    E dall'aere giù vibrano
    Dritti infiammati strali
    Che additano agl'ingegni
    D'eterna gloria i segni:

    Ma qual nebbia! Qual livido
    Umor spargon dai vanni
    Che in fetida caligine
    Attomban nomi ed anni,
    E rodono quel serto
    Che ombreggia un tenue merto!

    O mio Poeta, o altissimo
    Signor del sommo canto,
    Che con sublime cetera
    Per la casa del pianto
    Girasti, e fra la gente,
    Che o gioisce, o si pente,

    Tu vivi eterno. - Gloria
    Di suo fulgor ti cinse,
    Tuonò sua voce; un fulmine
    Fu per chi ti dipinse
    Testor stentato, oscuro
    Di carmi e stile impuro.

    Pèra! La lingua sucida
    Costui nutra nel sangue,
    E per delfici lauri
    Gli accerchi invece un angue,
    Sanie stillante infesta,
    L'abbominevol testa.

    Dicesti: ed ecco stridono
    In suon ringhiante e forte
    Gli aspri tartarei cardini:
    Della cappa di morte
    Infino à più vestute
    Ecco l'Ombre perdute.

    Io già le ascolto: echeggiano
    Per l'aer senza stelle
    Batter di man, bestemmie,
    Orribili favelle,
    Voci alte e fioche, accenti
    D'ire in dolor furenti.

    O Padre! O Vate! Un giovane
    Cui l'estro ai cieli innalza,
    Che pel genio che l'agita
    Fervidamente sbalza
    A inerudita cetra
    Canti spargendo all'etra,

    A te si prostra: un'anima
    Che in sè ognor si ravvolge,
    Che in ermi boschi tacita
    Fugge dall'atre bolge
    Di cittadino tetto,
    Gl'irraggia l'intelletto.

    Di sapienza nettare
    Fra mie voglie delibo,
    E, meditante, ai spiriti
    Porgo l'augusto cibo
    Che questa etade impura,
    Famelica, non cura.

    Muta di luce eterea
    Alle peccata in grembo
    Fra cupo orror s'avvoltola
    L'Umanità: il suo lembo
    Spruzzi di sangue stilla,
    Ed ella va in favilla.

    Ma ira di giustizia
    Lui che può ciò che vuole
    Ruggisce in cielo, e scaglia
    Di spavento parole;
    Vennero i giorni alfine
    Di piaghe e di ruine.

    Vennero si; ma sorgere,
    Giganteggiando, i nostri
    Carmi vedransi, e liberi
    Calpestare què mostri
    Che tumidi d'orgoglio
    Siedono ingiusti in soglio.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La campagna

      O tu cantor di morbidi
      Pratei, di dolci rivi,
      Che i verdi poggi, e gli alberi
      Soavemente avvivi
      Con gli armonici versi
      Da fresche tinte aspersi,

      Odi un poeta giovane,
      Che il genio che l'ispira
      Devoto siegue, e libero
      Percote ardita lira,
      E cò suoi canti vola
      Al suo gentil Bertòla.

      Fra campestri delizie
      Tranquillo e lieto io vivo.
      E col pensier fantastico
      Tra me canto e descrivo
      Sì vaghi paeselli,
      Che ognor sembran novelli.

      Pingo; ma resto attonito
      Allor che su i tuoi fogli
      Veggo fiorire, e sorgere
      Pianto e marini scogli,
      Che sembrano invitarmi
      A sacrar loro i carmi.

      Da me s'invola subito
      Il mio picciol soggiorno,
      E sol veggo Posilipo
      E il mar che vanta intorno
      Di Mergellina il lido
      Ameno più che Gnido.

      Estatici contemplano
      Tuoi campi i cupid'occhi:
      O come allor nell'anima
      Sento beati tocchi,
      Che mi dicono ognora:
      Sì dolce vate onora.

      Salve, dunque, del tenero
      Gesnèr felice alunno!
      Il lor poeta adorino
      D'aprile e dell'autunno
      Le Grazie e i lindi Amori
      Coronati di fiori.

      Il lor poeta adorino
      Le serpeggianti linfe,
      E dai monti scherzevoli
      Scendan le gaje Ninfe,
      E alternin baci in fronte
      Al tòsco Anacreonte.

      Ed io tesso tra cantici
      Ghirlandetta odorosa
      Non d'orgogliosi lauri,
      Ma sol d'umida rosa,
      E il capo ombreggio al molle
      Abitator del colle.

      E in cor brillante io dico:
      Questa dona Natura
      Al suo più ingenuo amico,
      Ch'ella d'altro non cura:
      Da lui schietto-dipinta
      Di fior va anch'ella cinta.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Volta il cavallo, e ne la selva folta
        lo caccia per un aspro e stretto calle:
        e spesso il viso smorto a dietro volta;
        che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
        Fuggendo non avea fatto via molta,
        che scontrò un eremita in una valle,
        ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
        devoto e venerabile d'aspetto.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Forse era ver, ma non però credibile
          a chi del senso suo fosse signore;
          ma parve facilmente a lui possibile,
          ch'era perduto in via più grave errore.
          Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
          e l'invisibil fa vedere Amore.
          Questo creduto fu; che 'l miser suole
          dar facile credenza a quel che vuole.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
            alla sua donna, alla sua diva corse,
            che con le braccia al collo il tenne stretto,
            quel ch'al Catai non avria fatto forse.
            Al patrio regno, al suo natio ricetto,
            seco avendo costui, l'animo torse:
            subito in lei s'avviva la speranza
            di tosto riveder sua ricca stanza.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
              levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
              ch'avea per morto sospirato e pianto,
              poi che senza esso udì tornar le squadre;
              con quanto gaudio il Saracin, con quanto
              stupor l'alta presenza e le leggiadre
              maniere, e il vero angelico sembiante,
              improviso apparir si vide inante.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
                fa di sé bella ed improvvisa mostra,
                come di selva o fuor d'ombroso speco
                Diana in scena o Citerea si mostra;
                e dice all'apparir: - Pace sia teco;
                teco difenda Dio la fama nostra,
                e non comporti, contra ogni ragione,
                ch'abbi di me sì falsa opinione. -
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Ma non però disegna de l'affanno
                  che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
                  e ristorar d'ogni passato danno
                  con quel piacer ch'ogni amator più brama:
                  ma alcuna fizione, alcuno inganno
                  di tenerlo in speranza ordisce e trama;
                  tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
                  poi torni all'uso suo dura e proterva.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
                    le fa pensar di tor costui per guida;
                    che chi ne l'acqua sta fin alla gola
                    ben è ostinato se mercé non grida.
                    Se questa occasione or se l'invola,
                    non troverà mai più scorta sì fida;
                    ch'a lunga prova conosciuto inante
                    s'avea quel re fedel sopra ogni amante.
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