Un grande amico che sorga alto su me E tutto porti me nella sua luce, che largo rida ove io sorrida appena e forte ami ove io accenni a invaghirmi…
Ma volano gli anni, e solo calmo è l'occhio che antivede perdente al suo riapparire lo scafo che passava primo al ponte. Conosce i messaggeri della sorte, può chiamarli per nome. È il soldato presago. Non pareva il mattino nato ad altro? E l'ala dei tigli e l'erta che improvvisa in verde ombrìa si smarriva non portavano ad altro? Ma in terra di colpo nemica al punto atteso si arroventa la quota. Come lo scolaro attardato - né più dalla minaccia della porta sbarrata fiori e ali lo divagano – io lo seguo, sono nella sua ombra. Un disincantato soldato. Uno spaurito scolaro....
Sì, al di là della gente ti cerco. Non nel tuo nome, se lo dicono, non nella tua immagine, se la dipingono. Al di là, più in là, più oltre.
Al di là di te ti cerco Non nel tuo specchio e nella tua scrittura, nella tua anima nemmeno. Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre di me ti cerco. Non sei ciò che io sento di te. Non sei ciò che mi sta palpitando con sangue mio nelle vene, e non è me. Al di là, più oltre ti cerco.
E per trovarti, cessare di vivere in te, e in me, e negli altri. Vivere ormai di là da tutto, sull'altra sponda di tutto - per trovarti - come fosse morire..
Se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi. Io lascerei tutto, tutto io getterei: i prezzi, i cataloghi, l'azzurro dell'oceano sulle carte, i giorni e le loro notti, i telegrammi vecchi ed un amore. Tu, che non sei il mio amore, se mi chiamassi! E ancora attendo la tua voce: giù per i telescopi, dalla stella, attraverso specchi e gallerie ed anni bisestili può venire. Non so da dove. Dal prodigio, sempre. Perché se tu mi chiami - se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi - sarà da un miracolo, ignoto, senza vederlo.
Mai dalle labbra che ti bacio, mai dalla voce che dice: non te ne andare.
Ti sembra orribile che lussuria e furia Mi faccian scorta nella mia vecchiaia; Non erano tanto assillanti quand'ero giovane; Che altro mi resta per spronarmi a cantare?
Perdona grande nemica, Senza pensiero irato Abbiam portato l'albero, E qui e lì comprato Per adornare ogni ramo, E lei dal letto rimiri Cose graziose che rallegrino Una fantasiosa mente. Un po' di grazia donale Anche se un occhio ridente Ha spiato il tuo volto Che muore.
"Tògli quella maschera d'oro ardente Con gli occhi di smeraldo". "Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi, Benché non freddi".
"Volevo solo scoprire quel che c'è da scoprire, Amore o inganno". "Fu la maschera ad attrarre tua mente E poi a farti battere il cuore, Non quel che c'è dietro".
"Ma io debbo indagare per sapere Se tu mi sia nemica". Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo; Che importa, purché ci sia fuoco In te, in me?
Quadro e libro rimangono, Un campo d'erba verde Per prendere un po' d'aria, Ora che le forze del corpo se ne vanno; Mezzanotte, una vecchia casa In cui solo un topo si muove.
La mia tentazione è la quiete. Qui al termine della vita Né la sbrigliata immaginazione, Né la macina della mente Che ne consuma cenci e ossa, Riescono a render nota la verità.
Mi sia concessa la frenesia di un vecchio, Devo rifare me stesso Fino ad essere Timone o Lear O quel William Blake Che bussò sul muro Tanto che la Verità rispose al suo richiamo;
Una mente quale la conobbe Michelangelo Tale da penetrare le nuvole, O ispirata dalla frenesia Da scuotere i morti nei sudari; Del resto dimenticata dal genere umano: La mente d'aquila di un vecchio.
Il clamore d'un passero sulle grondaie, La luna brillante e tutto il latteo cielo, E tutta quella famosa armonia di foglie, Avean cancellato l'immagine dell'uomo ed il suo grido.
Una fanciulla sorse che aveva labbra rosse e dolenti E sembrava la grandezza del mondo in lacrime, Condannata come Odisseo e le navi travagliate E orgogliosa come Priamo assassinato con i suoi pari.
Sorse, e sull'istante le grondaie piene di clamore, Una luna che si arrampicava su un vuoto cielo, E tutto quel lamento delle foglie, Potevano soltanto comporre l'immagine dell'uomo e il suo grido.
L'uccello sospira per desiderio d'aria, Il pensiero per non so qual luogo, Per il grembo il seme sospira. Ora scende un medesimo riposo Sulla mente, sul nido, Sulle cosce sforzate.