Poesie di Nello Maruca

Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi, in Racconti e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Nello Maruca

L'alacrità

La mediocrità più non alligna
ché dipartita s'è la nuvolaglia
dacché Aliseo di sua impronta degna
in uno con costanza la sparpaglia.

Qual sol ch'improvviso levasi a levante
sgretola lesto quella cupa coltre
e manifesta sempre più saliente
la visuale che va in alto e oltre.

L'equanimità così tant'invocata
ch'eternamente si credea perduta
Essere d'intelletto ha riscovata
e di sua mano ognun l'ha riavuta.

In tal vivente sveglio, nobile e lesto
che di dolcezza colma ogni suo gesto
parmi vedere la rondinella mastra
che costruisce il nido da maestra.

Questi s'affanna, vola, becca, impasta
e d'architetto la casa costruisce.
Indi giace: Altra non ha conquista
giacché suo oprar'esperto lì finisce.

L'altro, il volitivo, nel fare sfonda
e pria ch'abbia conchiuso nuova n'inventa,
sagacemente in mente d'altri affonda
solerte il pensier suo ch'altrui diventa.
Nello Maruca
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    Scritta da: Nello Maruca

    La yena

    Una turpe figura, carca di lordura,
    da capo a piedi naviga nel fango.
    pelosa e brutta, verme di trattura
    Appartiene dei striscianti al tristo rango.

    Di corpo tozzo, dall'aspetto rozzo,
    da petto prospiciente a mò di vacca
    che par'essere tutt'uno al mento gozzo
    ch'accompagna lo stomaco in risacca.

    Pare un porcone, tanto ch'è cafone;
    solo sembianza ha d'umana gente,
    diventa yena accanto alle persone,
    per essa il male è il bene più fervente.

    Indegnamente siede in posto altrui,
    in loco non adatto a villania;
    qualcuno va piangendo: Ah! Dov'io fui:
    Quel posto l'ha ridotto ad osteria.

    Se, poi, parlar potessero i canneti,
    se dir potesse il loco detto Tonnara,
    se disquisir potessero gli abeti
    direbbero: Dei vermi è ancor men cara.

    Or ch'à raggiunto il sospirato trono
    l'hà reso lordo e pieno di vergogna
    perché le yene ch'anno l'oro in dono
    Gradiscono più d'esso le carogna.

    Poiché incapace in movimento
    vive la yena in circoscritto ambiente,
    raspa nel fango con il muso e il mento
    giacché di forza d'intelletto assente.

    La dignità per essa è cosa astrusa,
    per due lenticchie ha dato il corpo untuoso,
    donato l'ha come si dona cosa:
    Vergogna è di famiglia e dello sposo.
    Nello Maruca
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      Scritta da: Nello Maruca

      La Torre

      Solenne, alta s'ergea al centro Torre
      che d'onore ricopria queste sue terre;
      era rifugio di sciancati e stracchi,
      vanto d'ognuno era, giovani e vecchi.

      Tutti copriva col paterno manto.
      Mai turbativa fu, mai fu tormento,
      non discrimine mai, mai differenza;
      d'ogni seme traeva buona essenza.

      Forte s'udì, per l'aria, grande sussulto:
      Cadde tra nebbia il gran Gigante avvolto;
      Tremò la terra, le case furon scosse
      Piegò la testa, ahimè! E più non resse.

      Tra tanti ti scegliesti il miglior frutto,
      alla famiglia tu levasti tutto,
      per la sua gente fu immane sorte;
      perché non ti fermasti o crudel Morte?

      Fu il Ciel che mi richiese anima eletta,
      perciò falciai la troneggiante Vetta;
      Ma se or lo guardo volgi al firmamento
      sorrideti una Stella risplendente.
      Nello Maruca
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        Scritta da: Nello Maruca

        Lussuria

        Dapprima all'uomo Iddio donò la vita,
        del costato di lui donna formò ardita,
        d'ella ad Adamo regalò il sorriso
        assieme a regale casa in Paradiso.

        Nasce, così, il connubio umano
        ch'essendo buono diventa tosto strano
        tanto che pur di cristianità esser dottrina
        stringi una mano e presto sei in berlina.

        Finché il giorno arrivò del matrimonio
        giammai fu Adamo d'abominio a Dio.
        Sempre fedele fu agl'insegnamenti,
        mai il proibito toccò degl'alimenti.

        Ma quando ch'ebbe con egli la compagna
        lasciossi intenerire da sua lagna;
        a viso bello, in personaggio abietto,
        resistere non seppe, poveretto!

        Onde non essere ad ella in dispiacere
        fece quel ch'era d'ella il suo volere:
        Avido ingurgitò il frutto proibito
        che penzolava dall'albero lì sito.

        Subito preso fu da gran terrore
        e d'incontrare Iddio ebbe timore;
        paura aveva d'essere trovato
        ma fu scovato e lesto fu scacciato.

        Errabondo va l'uomo da quel dì
        per la scomunica ch'addosso gli finì,
        per colpa della donna maledetta
        l'umanità ridotta è alla distretta.

        Beato chi da sol vita conduce
        ché, d'essa a fine, finisce nella Luce.
        Il Maligno da sé ha distanziato
        giacché donna in vita ha mai amato.

        Per quel che sopra è detto, o uomo saggio,
        deserta il tristo tuo retaggio
        e da cattiva lonza stai in lontananza
        poiché lupo la veste perde, non l'usanza.
        Nello Maruca
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          Scritta da: Nello Maruca

          Preghiera

          Quell'essere cattivo, pestilente
          come canna al vento è fluttuante,
          alfine di ferire l'umanità
          passa dall'una all'altra malignità.
          Gode nel vedere dell'altrui le pene
          ché il male in petto tiene, non il bene;
          la dignità per esso è cosa insulsa,
          come l'umanità gli è di ripulsa.

          Ascolta! mio Signore, non far l'ingrato:
          trasportalo dov'è pace e sia "beato".
          Se posto più non è ch'è esaurito
          Fa che in inferno arda all'infinito.
          Nello Maruca
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            Scritta da: Nello Maruca

            Uguaglianza

            Sento da sempre dir con insistenza
            di somiglianza con altrui presenza;
            da tempo studio, io, ciascuna usanza
            e, incontrato mai ho l'uguaglianza.
            Quel che qui dico può sembrar non vero
            E senza scambiare il bianco per il nero
            Vagliamo bene assai la circostanza
            Ed alla cosa diamo giusta importanza.

            Consideriamo il dotto e lo sciancato:
            Il primo se la fa con l'avvocato
            l'altro con le persone abominate
            seguono, perciò, vie divaricate.
            Or l'umile guardiamo e l'orgoglioso:
            Il primo in un cantuccio resta pensoso
            l'altro, a testa alta, baldanzoso
            passeggia col suo fare spocchioso.

            Prendiamo ad esempio la marchesa,
            con chi, secondo voi, ha la sua intesa?
            Certo non con l'onest'uomo di paese
            ma col suo pari rango, nobile marchese.
            la nobildonna dai guantoni bianchi
            malaticcia, occhi cerchiati e stanchi
            porta il suo velo sia per eleganza
            quanto mostrare agli umili importanza.

            Di sul calesse dal mantice nero
            trainato da nobile destriero
            non un sorriso spento, non uno sguardo
            manco all'inchino di stanco vegliardo.
            Luminoso diviene il cereo viso
            e la sua bocca è tutta gran sorriso
            se solo scorge da lontano il ricco
            anche se nell'andare è smorto e fiacco.

            Il capufficio, poi, lo ben sapete
            mostrare preminenza ha grande sete.
            I dipendenti inchioda a scrivania
            a spregio e dell'amore e d'armonia.
            Ancor quando innocenza in aria affiora
            niuno accostamento vedo, poi, ancora,
            tra il magistrato e il malcapitato
            ché poco o tanto resta bacchettato.

            La pari dignità tanto cantata
            da quest'umanità già traviata,
            misconosciuta in ogni umano gesto
            solo giustifica è d'enorme guasto
            al fine che al finir di vita terrena
            sminuita possa essere la pena
            al cospetto del Giudice Divino
            come se a giudicar fosse un padrino.
            Nello Maruca
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              Scritta da: Nello Maruca

              Riconoscenza

              Negl'ingenui giochi fanciulleschi
              fummo inseparabili compagni. Erano
              I tempi in cui gl'atti furbeschi
              furon tanti e gli animi formavano.
              Puberi, insieme, ancora fummo
              a scorrazzare quando la sarmentosa liana,
              a mò di sigaretta, mandavamo in fumo
              stando sdraiati accanto alla fontana

              Giovinetti, ci trovammo ancor legati
              dai vincoli d'affetto primitivi
              che s'erano, nel tempo, rafforzati
              per i nostri giuochi semplici e furtivi.
              Ci perdemmo, però, nell'età verde
              che da necessità fu fatta avulsa
              e sballottati come legion che perde
              e dalla sua amata Terra viene espulsa.

              Poi, di nuovo, nella vita adulta,
              in loco di lavoro e di consulta,
              ci ritrovammo come ai vecchi
              tempi, d'esperienza e conoscenza ricchi:
              così crescemmo assieme per vent'anni,
              colleghi di lavoro e non di giuochi
              e, l'uno dell'altrui vide gl'affanni
              che furono tanti, quanto poco i giochi.

              Or che l'adulto cede al vecchio il posto,
              un po' ammosciato come morent'arbusto,
              non più la grinta del destriero di corsa
              in ansia, stretto dagl'anni, in dura morsa,
              col nero trasformato in bianca chioma
              dal lavoro ti togli, ahimè! La dolce soma.

              Pria che ti diparti dal tenuto per tempo
              Degno posto, dire ti voglio qual'importanza
              per noi tutti avesti. Fosti di vecchio stampo:
              Laborioso, intemerato e con pazienza
              sopportasti del lavoro i turbamenti,
              senza darti né a pene né a lamenti.

              Costanza avesti di formica infaticabile
              ch'onde stipare il formicaio schianta se stessa
              E, dopo aver del grano pulito ogni cortile
              Soltanto allora, la faticosa spola cessa.
              All'operosa ape, che la real sua casa
              d'abbondante polline e miele tiene pervasa,
              in tutto, somiglianza nel lavoro avesti
              che con la dolcezza del far lo raddolcisti.

              Per le doti che ho appena qui cantato,
              scarsa è di nobile metallo ogni medaglia
              perciò, altra d'altro metallo t'ho forgiato
              onde nessuna mai a essa sia d'uguaglio:
              RICONOSCENZA è quel che in cuore io veggo:
              per te, migliore altro metallo non posseggo.
              Nello Maruca
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                Scritta da: Nello Maruca

                L'onest'uomo

                Nel corso di sua vita un sentimento
                unico l'ha sempre accompagnato
                mai, in nessun tempo, nemmeno per un momento
                tal'alto sentimento l'havea abbandonato
                finché avvenne un dì scompiglio in mente
                sua che quale gran macigno schiacciavagli
                la coscienza e lo rendeva niente.
                Da energici e vitali flemmi

                i pensieri furo, tutto abbagliato
                vide e il male quale tarlo rodeva
                i buoni intenti e lo sbagliato
                al giusto s'imponeva e vile lo rendeva.
                Più pace mai s'avrà ché il sentimento
                se pur per poco lasso s'è dipartito
                altrove rendendolo sgomento
                talché triste morire non è ma desiato.
                Purità! Per tanti lunghi anni stata
                gli sei vicino, l'hai per man portato,
                l'hai sempre ben guidato: Eri appagata:
                Perché o purità lo hai abbandonato?
                Vero che in abituale tua dimora
                sei tornata ma il segno dell'assenza
                chi lo cancella mai? Quel ch'era allora
                più non sarà da ora. Più non è l'essenza.

                L'incerta fede che porta poco sollievo
                gli offre e chi, allora, più l'allieterà?
                Mai cercò onori, sempre ne fu schivo,
                e alla sua follia chi ora crederà?
                Fu la pazzia a travolgerlo, a fargli
                tanto male, soltanto in sette giorni
                sconvolsegli la vita come guerrieri in armi
                sconvolgono palazzi, rovesciano governi.

                Maligno maledetto! tutto gli togliesti:
                La sposa stanca e buona, i figli,
                i nipotini: Quanto cattivo fosti!
                Eri in agguato, colpisti con gli artigli.
                Dell'orto distrutto hai albero e frutto
                perciò desiderio della fine avverte
                così, Maligno, sei contento in tutto
                mentr'egli riposo avrà perché inerte.

                Vergogna nel guardare i figli porta,
                indegno d'abbracciare la sposa amata,
                non ha argomento no, nulla gl'importa,
                non ha coraggio a dire: O mia adorata.
                Il cuore t'ha trafitto o dolce donna
                per futile motivo e sciocco orgoglio;
                per lui sei stata portante colonna
                non piangere più di tanto la sua spoglia.

                Per lungo tempo di te pur degno fu,
                fu la pazzia a sviarlo da sentier verace
                e tu, soltanto tu, puoi sol saperlo tu
                che solo per te vorrebbe riaver pace.
                Al Creatore credeva ed al creato,
                mai prima aveva in sé alcun reato,
                dell'onestà teneva culto assai
                ma cadde in burrone profondo, ormai.

                La mente er'intontita e lui vagava,
                svaniva il sogno di restar coi suoi
                giacché il male per strada lo ghermiva
                e lo gettava infra immensi guai.
                Non fece, no, per nulla alcuna ruberia
                od offesa a qualunque esser vivente;
                giammai la mente sfiorò tal cattiveria
                ma di tal'azioni è meno che niente.

                Commise illecito che vergogna mena
                per quell'essere ch'è certo cristiano
                poiché irregolarità comporta pena
                di profonda ferita dentro l'animo.
                L'illegalità non fu contro persona
                e nemmanco ad essere vivente
                in generale, può parere strano
                ma il danno verso altri è inesistente.

                Il cruccio ch'à è d'essersi discosto
                da quant'imposto da Dio Salvatore
                perché, inopportunamente, con furbizia
                ha ricevuto ciò che lecito era
                in altro corretto modo, comunque, avere

                Da retta via dal diavolo distorto
                agli uomini non voleva esser di torto
                e preso da enorme orgoglio sciocco
                resta stordito in immenso fosso.
                Sol Dio può dare ristoro all'alma sua,
                ridare la serenità che prima aveva,
                chetar la pena che gli arde in petto
                giacché non volea mancargli di rispetto.
                Nello Maruca
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Redentore

                  Fredda era la notte ed innevata
                  e la Pia Donna di bontà infinita
                  di stanchezza e doglianza già stremata
                  Al Redentore del mondo dava vita.
                  Bussò Giuseppe a tutti i casolari
                  Onde dare a Maria caldo giaciglio
                  ma tutti gli occupanti furo avari
                  Disdicendo Chi portava Divin Figlio.
                  Aveva posto solo in una stalla,
                  per letto il fieno d'una mangiatoia,
                  al respiro del bue e l'asinella
                  tenea Maria della maternità la gioia.
                  Lui di tutto il creato possidente
                  luogo migliore per nascere non ebbe,
                  per l'ingordigia dell'umana gente
                  nacque in miseria ed in miseria crebbe.
                  Quel sembiante Umano, ch'era Divino,
                  da Castissima Donna concepito
                  al Dio Grande e Beato era l'affine
                  ma da bieca umanità non fu capito.
                  A Betlemme di Giudea resta la Grotta
                  Che il Vagito Divino prima intese;
                  luogo diviene di retta condotta
                  cui grazia rende il cristiano e rese.
                  Regnava, allora, nella Giudea Erode,
                  uomo protervo, essere triviale
                  d'ognuno paventava tranello e frode,
                  poiché l'istinto suo era carnale.
                  Seppe, dai Magi, di Gesù la nascita
                  che di Giudea predicavano Re,
                  decretò, quindi, togliere la vita
                  agl'innocenti sotto gli anni tre.

                  Al Puro putativo Padre Giuseppe
                  un Angelo veloce venne in sogno:
                  corri in Egitto, non badare a steppe
                  ch'Erode al Piccoletto porta sdegno.
                  Dell'Angelo a Maria dato l'avviso
                  lasciavano quel luogo benedetto,
                  in braccio Gesù dal casto bel sorriso
                  in cerca d'altro tetto e d'altro letto.
                  Quando l'Onnipotente al sonno eterno
                  gli occhi chiudeva al bruto re regnante
                  fu la Divina Famiglia di ritorno
                  alle mura paterne, alla sua gente.
                  A Nazareth di Galilea con i parenti
                  rimaneva Gesù fino ai trent'anni,
                  per essere battezzato tra le genti
                  incontravasi al Giordano con Giovanni.
                  Sconfiggeva Satana tra i monti;
                  poscia, in testa a moltitudine gaudente
                  cominciava gl'insegnamenti itineranti.
                  Or visitando questa or quella gente.
                  Seguito da Gerusalemme e da Giudea
                  sanava storpi, ciechi ed ammalati;
                  da riva al mar di Cafarnao in Galilea
                  tutti erano accolti, toccati, graziati.
                  Dai guarimenti dati al Suo passaggio
                  la Siria tutta n'ebbe conoscenza;
                  Ovunque dava del Padre il buon messaggio
                  mostrando la grandezza e la Sua scienza.

                  Moltiplicava i pesci e pure
                  il pane, le acque quietava, comandava
                  i venti, ai tormentati dava le Sue cure,
                  sui mari e sopra i laghi camminava.
                  Nemici farisei, scribi e sinedrio
                  da Giuda, Suo discepolo, tradito
                  ebbe Pilato giudice avversario
                  capo di crudel popolo inferocito.
                  Al posto di Barabba condannato
                  fu crocefisso in mezzo due ladroni;
                  Spirò, il cielo fu squarciato, fu boato,
                  tremò la terra, tremaro i sommi troni.
                  L'esanime Divin Corpo torturato,
                  avvolto nel lenzuolo di bianco lino
                  al suolo della tomba fu adagiato
                  d'uomo devoto, avverso di Caino.
                  Restava il Corpo esanime tre giorni,
                  indi in cielo accanto al Padreterno,
                  in terra, poscia, dai lochi Sempiterni
                  a recare agli Apostoli governo.
                  l'incredulo dei dodici Tommaso
                  le dita nelle piaghe mettere volle,
                  restò, ciò fatto, sgomento ma persuaso,
                  cadde in ginocchio nelle carni imbelle.
                  Ai Discepoli, Gesù, lascia la pace
                  indi s'invola al Divin Palagio
                  e, dal cospetto di Dio, dall'amor verace,
                  guida gli Apostoli al Divin Messaggio.
                  Nello Maruca
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Il fico

                    Ogn'anno al giungere dell'estate afosa
                    a noi che al fresco tuo ci si riposa
                    fico, che vecchio ti ricordo d'anni assai,
                    di frutto dolce non fosti avaro mai.

                    Delle cure avute, quasi a dispetto,
                    quest'anno di pregiati fichi fai difetto,
                    giacché confronto non è coi passat'anni
                    di pene mi riempi e tant'affanni.

                    Ma ora che ci penso, mi ricordo,
                    tutto mi torna in mente or che ti guardo:
                    Tu pure l'anno scorso fosti fermo
                    e prim'ancora ti mostrasti infermo.

                    Qui ti lasciò mio nonno al dipartirsi
                    e ancor prima il bisnonno vide aprirsi
                    la bella chioma che tale fu per anni
                    che, poi, curò mio padre per trent'anni.

                    A loro mai donasti alcun cordoglio
                    ma a me, che t'accarezzo come figlio,
                    dal dispiacere m'hai levato il sonno
                    come non mai a padre, nonno e bisnonno.

                    Io non ho forza più di tolleranza,
                    da me s'è dipartita la pazienza;
                    ora m'appari come fossi morto
                    perciò toglierti voglio dal mio orto.

                    Con quest'arnese ch'è d'acciaio puro
                    ti tolgo il fiato con un colpo duro,
                    levoti, così, dal mio cospetto
                    onde non far mai più alcun dispetto.

                    Molto frutto, per te, questo fusto tira
                    e nulla feci per muovere la tua ira;
                    bene mi comportai sempre finora
                    e riconoscoti mio padrone ognora.

                    Per te produco, nobile signore,
                    nella giornata, fresco, a tutte l'ore,
                    dei tuoi bimbi soggiaccio a frusta e grida
                    ferma la mano, non renderla omicida.

                    La frutta la produco in abbondanza.
                    son sempre pronto, in ogni circostanza,
                    son sempre qui che sono ad aspettarti
                    qual è lo sbaglio, forse il troppo amarti?

                    Osi essere sdegnoso ed arrogante?
                    Dimentichi che sono alto e importante?
                    Tosto ti sfratto dall'orto e dal cospetto
                    perché osi mancarmi di rispetto.

                    Con questa scura ch'è tagliente
                    più di quanto il tuo mordente dente
                    ti stendo lesto sulla nuda terra
                    giacché osasti dichiararmi guerra.

                    No! non toccarmi con quel ferro rozzo;
                    se morir debbo fa che sia in un pozzo:
                    Mi pare a questa fine esser più degno
                    che se pur vecchio, tenero è il mio legno.

                    Per l'affanno di padre, nonno e bisnonno
                    rimanda la mia fine al prossim'anno;
                    fallo pel fresco che ti stai godendo
                    e per il frutto ch'ivi oggi gustando.

                    Taci! Scampo per te alcun non è,
                    schiavo sei, io sono podestà e pure re
                    e fermare non posso l'omicida impulso
                    finché non t'ho da mia vista espulso.

                    Il dolore lasciommi senza fiato
                    giacché pugno violento avea sferrato
                    alla base del fico, della cui ombra
                    affidato avea in sonno le mie membra.
                    Nello Maruca
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