Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie vernacolari)
Sovrano come er popolo sovrano
che viceversa nun commanna mai.
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Sovrano come er popolo sovrano
che viceversa nun commanna mai.
Er bacio è er più ber fiore che nasce ner giardino dell'amore.
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.
O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.
Straniero, se passando m'incontri e desideri parlarmi,
perché non dovresti parlarmi?
E perché io non dovrei parlare a te?
Arriva per taluni un giorno, un'ora
in cui devono dire il grande Sì
o il grande No. Subito appare chi
ha pronto il Sì: lo dice e sale ancora
nella propria certezza e nella stima.
Chi negò non si pente. Ancora No,
se richiesto, direbbe. Eppure il No,
il giusto No, per sempre lo rovina.
Ideali amate voci
di coloro che sono morti o come i morti
sono per noi perduti.
A volte ci parlano in sogno
a volte esse vibrano dentro.
E con il suono, per un istante l'eco fa ritorno
della prima poesia di nostra vita -
come lontana nella notte una musica che dilegua.
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l'emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Nè Lestrigoni o Ciclopi
nè Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d'estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell'Egitto,
a imparare dai sapienti.
Ad ogni poco giura di cominciare una vita migliore.
Ma quando viene, coi consigli suoi, la notte,
e coi suoi compromessi e le lusinghe,
ma quando viene, con la sua forza, la notte
(il corpo anela e cerca), a quell'eguale
fatale gioia, ancora perso, va.
Per quanto sta in te
e se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Sarei stata grande come George Eliot
ma il destino non volle.
Guardate il ritratto che mi fece Penniwit,
col mento appoggiato alla mano e gli occhi fondi —
e grigi e indaganti lontano.
Ma c'era il vecchio, l'eterno problema:
celibato, matrimonio o impudicizia?
Venne il ricco esercente John Slack,
con la promessa che avrei potuto scrivere a mio agio,
e io lo sposai, misi al mondo otto figli,
e non ebbi più tempo per scrivere.
Per me, comunque, era tutto finito
quando l'ago mi trafisse la mano
mentre lavavo i panni del bambino,
e morii di tetano, un'ironica morte.
Anime ambiziose, ascoltate,
il sesso è la rovina della vita!