Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il testamento di un albero

Un Albero di un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
- Lascio i fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semi a voi.
A voi, poveri uccelli,
perché mi cantavate le canzoni
nella bella stagione.
E voglio che gli sterpi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.
Però vi avviso che sul mio tronco
c'è un ramo che dev'essere ricordato
alla bontà degli uomini e di Dio.
Perché quel ramo, semplice e modesto,
fu forte e generoso: e lo provò
il giorno che sostenne un uomo onesto
quando ci si impiccò - .
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    L'eroe al caffè

    È stato al fronte, sì, ma col pensiero,
    però ti dà le spiegazioni esatte
    delle battaglie che non ha mai fatte,
    come vi fosse stato per davvero.

    Dovresti vedere come combatte
    nelle trincee d'Aragno! Che guerriero!
    Tre sere fa, per prendere il Montenero,
    ha rovesciato il bricco del latte!

    Col suo sistema di combattimento
    trova ch'è tutto facile: va a Pola,
    entra a Trieste e ti bombarda Trento.

    Spiana i monti, sfonda, spara, ammazza...
    - Per me - borbotta - c'è una strada sola...
    E intinge i biscotti nella tazza.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La paura

      So' coraggioso e forte!
      - disse un cavallo ar Mulo - e vado ar campo
      pieno de fede, sverto come un lampo,
      tutto contento de sfidà la morte!
      Se arriva quarche palla che m'amazza
      sacrifico la vita volentieri
      pè la conservazione de la razza.
      - capisco, - disse er Mulo -
      ma, su per giù, pur'io
      che davanti ar pericolo rinculo,
      nun conservo la razza a modo mio?
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        A chi tanto e a chi gnente!

        Da quanno che dà segni de pazzia,
        povero Meo! Fa pena! È diventato
        pallido, secco secco, allampanato,
        robba che se lo vedi scappi via!
        Er dottore m'ha detto: - È 'na mania
        che nun se pô guarì: lui s'è affissato
        d'esse un poeta, d'esse un letterato,
        ch'è la cosa più peggio che ce sia! -
        Dice ch'er gran talento è stato quello
        che j'ha scombussolato un po' la mente
        pè via de lo sviluppo der cervello...
        Povero Meo! Se invece d'esse matto
        fosse rimasto scemo solamente,
        chi sa che nome se sarebbe fatto!
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La poesia

          Appena se ne va l'urtima stella
          e diventa più pallida la luna
          c'è un Merlo che me becca una per una
          tutte le rose de la finestrella:
          s'agguatta fra li rami de la pianta,
          sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta.

          L'antra matina scesi giù dar letto
          cò l'idea de vedello da vicino,
          e er Merlo furbo che capì el latino
          spalancò l'ale e se n'annò sur tetto.
          -- Scemo! -- je dissi -- Nun t'acchiappo mica... --
          E je buttai dù pezzi de mollica.

          -- Nun è -- rispose er Merlo -- che nun ciabbia
          fiducia in te, ché invece me ne fido:
          lo so che nu m'infili in uno spido,
          lo so che nun me chiudi in una gabbia:
          ma sei poeta, e la paura mia
          è che me schiaffi in una poesia.

          È un pezzo che ce scocci cò li trilli!
          Per te, l'ucelli, fanno solo questo:
          chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onesto
          de facce fa la parte d'imbecilli
          senza capì nemmanco una parola
          de quello che ce sorte da la gola?

          Nove vorte su dieci er cinguettio
          che te consola e t'arillegra er core
          nun è pè gnente er canto de l'amore
          o l'inno ar sole, o la preghiera a Dio:
          ma solamente la soddisfazzione
          d'avè fatto una bona diggestione.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Comizio

            "E in questo triste sguardo d'intesa,
            per la prima volta, dall'inverno
            in cui la sua ventura fu appresa,
            e mai creduta, mio fratello mi sorride,
            mi è vicino. Ha dolorosa accesa,

            nel sorriso, la luce con cui vide,
            oscuro partigiano, non ventenne
            ancora, come era da decidere

            con vera dignità, con furia indenne
            d'odio, la nuova storia: e un'ombra,
            in quei poveri occhi, umiliante e solenne...

            Egli chiede pietà, con quel suo modesto,
            tremendo sguardo, non per il suo destino,
            ma per il nostro... Ed è lui, il troppo onesto,

            il troppo puro, che deva andare a capo chino?
            Mendicare un po' di luce per questo
            mondo rinato in un oscuro mattino? "
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Una Valentina

              È scritta questa rima per colei i cui occhi
              lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
              troveranno il suo stesso dolce nome annidato
              sulla pagina, celato ad ogni lettore.
              Osservate i versi attentamente! Vi è in essi
              un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
              che si deve portare sul cuore. Osservate poi
              il metro - le parole - le sillabe!
              Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica!
              E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano
              che senza una spada non potreste disciogliere,
              se solo n'afferraste il soggetto.
              Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
              in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute,
              tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
              da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome.
              Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente,
              come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
              sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
              Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Enigma

                "Di rado troviamo", dice Salomone Allocco,
                "una mezza idea nel più profondo sonetto.
                Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo
                agevolmente, come in un berretto di Napoli -
                ciarpame! Robaccia! - come può portarlo una signora?
                E più pesa, però, della vostra stoffa petrarchesca -
                piumate assordità che un lieve soffio disperde
                e ammucchia in cartaccie sol che l'esaminiate".
                E Salomome ha invero ragione.
                I soliti versi tuchermaniani sono bubbole
                notorie - effimere e così trasparenti -
                ma questa mia, ora - potete esserne certa -
                è solida, nitida, immortale - e tutto questo
                a causa dei cari nomi che vi sono celati.
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