Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all'ombra d'un pajar o vedo un porco e je dico: - Addio, majale! - vedo un ciuccio e je dico: - Addio, somaro! -
Forse 'ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de poté dì le cose come stanno senza paura de finì in priggione.
Un Albero di un bosco chiamò gli uccelli e fece testamento: - Lascio i fiori al mare, lascio le foglie al vento, i frutti al sole e poi tutti i semi a voi. A voi, poveri uccelli, perché mi cantavate le canzoni nella bella stagione. E voglio che gli sterpi, quando saranno secchi, facciano il fuoco per i poverelli. Però vi avviso che sul mio tronco c'è un ramo che dev'essere ricordato alla bontà degli uomini e di Dio. Perché quel ramo, semplice e modesto, fu forte e generoso: e lo provò il giorno che sostenne un uomo onesto quando ci si impiccò - .
So' coraggioso e forte! - disse un cavallo ar Mulo - e vado ar campo pieno de fede, sverto come un lampo, tutto contento de sfidà la morte! Se arriva quarche palla che m'amazza sacrifico la vita volentieri pè la conservazione de la razza. - capisco, - disse er Mulo - ma, su per giù, pur'io che davanti ar pericolo rinculo, nun conservo la razza a modo mio?
Da quanno che dà segni de pazzia, povero Meo! Fa pena! È diventato pallido, secco secco, allampanato, robba che se lo vedi scappi via! Er dottore m'ha detto: - È 'na mania che nun se pô guarì: lui s'è affissato d'esse un poeta, d'esse un letterato, ch'è la cosa più peggio che ce sia! - Dice ch'er gran talento è stato quello che j'ha scombussolato un po' la mente pè via de lo sviluppo der cervello... Povero Meo! Se invece d'esse matto fosse rimasto scemo solamente, chi sa che nome se sarebbe fatto!
Appena se ne va l'urtima stella e diventa più pallida la luna c'è un Merlo che me becca una per una tutte le rose de la finestrella: s'agguatta fra li rami de la pianta, sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta.
L'antra matina scesi giù dar letto cò l'idea de vedello da vicino, e er Merlo furbo che capì el latino spalancò l'ale e se n'annò sur tetto. -- Scemo! -- je dissi -- Nun t'acchiappo mica... -- E je buttai dù pezzi de mollica.
-- Nun è -- rispose er Merlo -- che nun ciabbia fiducia in te, ché invece me ne fido: lo so che nu m'infili in uno spido, lo so che nun me chiudi in una gabbia: ma sei poeta, e la paura mia è che me schiaffi in una poesia.
È un pezzo che ce scocci cò li trilli! Per te, l'ucelli, fanno solo questo: chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onesto de facce fa la parte d'imbecilli senza capì nemmanco una parola de quello che ce sorte da la gola?
Nove vorte su dieci er cinguettio che te consola e t'arillegra er core nun è pè gnente er canto de l'amore o l'inno ar sole, o la preghiera a Dio: ma solamente la soddisfazzione d'avè fatto una bona diggestione.
"E in questo triste sguardo d'intesa, per la prima volta, dall'inverno in cui la sua ventura fu appresa, e mai creduta, mio fratello mi sorride, mi è vicino. Ha dolorosa accesa,
nel sorriso, la luce con cui vide, oscuro partigiano, non ventenne ancora, come era da decidere
con vera dignità, con furia indenne d'odio, la nuova storia: e un'ombra, in quei poveri occhi, umiliante e solenne...
Egli chiede pietà, con quel suo modesto, tremendo sguardo, non per il suo destino, ma per il nostro... Ed è lui, il troppo onesto,
il troppo puro, che deva andare a capo chino? Mendicare un po' di luce per questo mondo rinato in un oscuro mattino? "
Vorresti essere amata? E tu fa' che il tuo cuore non si discosti dal sentiero di ora! Essendo ogni cosa che ora tu sei, non esser mai altro che non sei. Così i tuoi cortesi modi di vita, la tua grazia, la tua più che bellezza saranno un tema d'elogio senza fine, e l'amore - non altro che un puro dovere.
È scritta questa rima per colei i cui occhi lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda, troveranno il suo stesso dolce nome annidato sulla pagina, celato ad ogni lettore. Osservate i versi attentamente! Vi è in essi un tesoro divino - un talismano - un amuleto - che si deve portare sul cuore. Osservate poi il metro - le parole - le sillabe! Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica! E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano che senza una spada non potreste disciogliere, se solo n'afferraste il soggetto. Tracciate sul foglio, scrutate da occhi in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute, tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome. Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente, come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando - sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta! Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
"Di rado troviamo", dice Salomone Allocco, "una mezza idea nel più profondo sonetto. Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo agevolmente, come in un berretto di Napoli - ciarpame! Robaccia! - come può portarlo una signora? E più pesa, però, della vostra stoffa petrarchesca - piumate assordità che un lieve soffio disperde e ammucchia in cartaccie sol che l'esaminiate". E Salomome ha invero ragione. I soliti versi tuchermaniani sono bubbole notorie - effimere e così trasparenti - ma questa mia, ora - potete esserne certa - è solida, nitida, immortale - e tutto questo a causa dei cari nomi che vi sono celati.