Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Il bel, che fuor per gli occhi appare, e 'l vago
del mio signor e del suo dolce viso,
è tanto e tal, che fa restar conquiso
ognun che 'l mira, di gran lunga, e pago.
Ma, se qual è un cervier occhio e mago,
potesse altri mirar intento e fiso
quel che fuor non si mostra, un paradiso
di meraviglie vi vedrebbe, un lago.
E le donne non pur, ma gli animali,
l'erbe, le piante, l'onde, i venti e i sassi
farian arder d'amor gli occhi fatali.
Quest'una grazia agli occhi miei sol dassi
in guiderdon di tanti e tanti mali,
per onde a tanto ben poggiando vassi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Dura è la stella mia, maggior durezza
    è quella del mio conte: egli mi fugge,
    ì seguo lui; altri per me si strugge,
    ì non posso mirar altra bellezza.
    Odio chi m'ama, ed amo chi mi sprezza:
    verso chi m'è umìle il mio cor rugge,
    e son umìl con chi mia speme adugge;
    a così stranio cibo ho l'alma avezza.
    Egli ognor dà cagione a novo sdegno,
    essi mi cercan dar conforto e pace;
    ì lasso questi, ed a quell'un m'attegno.
    Così ne la tua scola, Amor, si face
    sempre il contrario di quel ch'egli è degno:
    l'umìl si sprezza, e l'empio si compiace.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Quando fu prima il mio signor concetto,
      tutti i pianeti in ciel, tutte le stelle
      gli dier le grazie, e queste doti e quelle,
      perch'ei fosse tra noi solo perfetto.
      Saturno diègli altezza d'intelletto;
      Giove il cercar le cose degne e belle;
      Marte appo lui fece ogn'altr'uomo imbelle;
      Febo gli empì di stile e senno il petto;
      Vener gli dié bellezza e leggiadria;
      eloquenza Mercurio; ma la luna
      lo fè gelato più ch'io non vorria.
      Di queste tante e rare grazie ognuna
      m'infiammò de la chiara fiamma mia,
      e per agghiacciar lui restò quell'una.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Voi, ch'ascoltate in queste meste rime,
        in questi mesti, in questi oscuri accenti
        il suon degli amorosi miei lamenti
        e de le pene mie tra l'altre prime,
        ove fia chi valor apprezzi e stime,
        gloria, non che perdon, dè miei lamenti
        spero trovar fra le ben nate genti,
        poi che la lor cagione è sì sublime.
        E spero ancor che debba dir qualcuna:
        - Felicissima lei, da che sostenne
        per sì chiara cagion danno sì chiaro!
        Deh, perché tant'amor, tanta fortuna
        per sì nobil signor a me non venne,
        ch'anch'io n'andrei con tanta donna a paro?
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Era vicino il dì che 'l Creatore,
          che ne l'altezza sua potea restarsi,
          in forma umana venne a dimostrarsi,
          dal ventre virginal uscendo fore,
          quando degnò l'illustre mio signore,
          per cui ho tanti poi lamenti sparsi,
          potendo in luogo più alto annidarsi,
          farsi nido e ricetto del mio core.
          Ond'io sì rara e sì alta ventura
          accolsi lieta; e duolmi sol che tardi
          mi fè degna di lei l'eterna cura.
          Da indi in qua pensieri e speme e sguardi
          volsi a lui tutti, fuor d'ogni misura
          chiaro e gentil, quanto 'l sol giri e guardi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Sì come provo ognor novi diletti,
            ne l'amor mio, e gioie non usate,
            e veggio in quell'angelica beltate
            sempre novi miracoli ed effetti,
            così vorrei aver concetti e detti
            e parole a tant'opra appropriate,
            sì che fosser da me scritte e cantate,
            e fatte cónte a mille alti intelletti.
            Et udissero l'altre che verranno
            con quanta invidia lor sia gita altera
            de l'amoroso mio felice danno;
            e vedesse anche la mia gloria vera
            quanta i begli occhi luce e forza hanno
            di far beata altrui, benché si pèra.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Ventaglio

              Quasi usando per sua parola
              Null'altro che un battito al cielo,
              Il futuro verso s'invola
              Dall'avorio che in sé lo cela.
              Ala piano corra all'orecchio
              Questo ventaglio se esso è
              Quello per cui qualche specchio
              Risplendette dietro di te
              Chiaro (dove ritorna a scendere
              Inseguita in ogni frammento
              Un po' d'invisibile cenere
              Unica a rendermi lamento)
              Ed appaia uguale domani
              Tra quelle tue agili mani.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Il pagliaccio punito

                Occhi, laghi alla sola mia ebbrezza di rinascere
                Altro dall'istrione che col gesto ridesta
                Come piuma di lampade ignobili la cenere,
                Ho bucato nel muro di tela una finestra.

                Nuotando traditore con gambe e braccia sciolte,
                A molteplici balzi, rinnegando nell'onda
                Il falso Amleto! È come se mille e mille volte
                Per vergine sparirvi innovassi una tomba.

                Ilare oro di cembalo che una mano irritò
                Il sole tocca a un tratto la pura nudità
                Che dalla mia freschezza di perla io esalai,

                Rancida nera pelle quando su me è passata,
                Ch'era tutto il mio crisma io ignorato, ingrato!,
                Quel trucco dentro l'acqua perfida dei ghiacciai.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Sonetto

                  Il verginale, il bello e il vivace presente
                  Con un colpo dell'ala ebbra ecco ci spezza
                  Il duro lago obliato chiuso dal trasparente
                  Ghiacciaio di quei voli che mai seppero altezza!

                  Un cigno d'altri giorni se stesso a ricordare
                  S'abbandona magnifico, ma ormai senza rimedio
                  Per non aver cantato la plaga ove migrare
                  Quando già dello sterile inverno splenda il tedio.

                  Questa bianca agonia inflitta nello spazio
                  Al collo che lo nega lo scuoterà di strazio,
                  Ma non l'orror del suolo dove sta prigioniero.

                  Forma che dona ai luoghi il suo candor di giglio,
                  Il Cigno senza moto nell'inutile esilio
                  Si veste del disprezzo d'un gelido pensiero.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Elemosina

                    Prendi questa borsa, Mendicante!
                    Tu non l'hai carezzata
                    vecchio poppante a una mammella avara
                    per distillarne soldo a soldo il tuo
                    rintocco funebre.

                    Ma cava dall'amato
                    metallo qualche estroso
                    peccato e vasto come noi, quando a manciate
                    lo baciamo, e soffia, che si torca!
                    Un'ardente fanfara.

                    Tutte chiese
                    velate dall'incenso queste case
                    quando ai muri cullando una bluastra
                    fosforescente tacito il tabacco
                    svolge orazioni,
                    e l'oppio strapotente
                    sbaraglia i farmachi! Anche tu,
                    stracci e pelle, vuoi forse lacerare
                    la sete e bere con la tua saliva
                    un'inerzia felice,
                    nei caffè
                    principeschi attendere il mattino?

                    Soffitti sovraccarichi di ninfe
                    e veli; si getta al mendicante
                    oltre i vetri un festino.

                    E quando esci
                    vecchio dio, tremando nel tuo sacco
                    d'imballaggio, l'aurora è come un lago
                    di vino d'oro e tu giuri d'avere
                    le stelle in gola!

                    Invece di contare
                    il luccicante tuo tesoro, almeno
                    potrai pavoneggiarti di una piuma,
                    accendere a completa al santo in cui
                    ancora credi, un certo.

                    Non pensate che io
                    dica follie: vecchi la terra s'apre
                    a chi crepa di fame. Odio un'altra
                    elemosina e voglio che mi scordi.

                    Soprattutto, fratello, non andare
                    a comprarti del pane.
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