Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Canto il se stesso

Canto il se stesso, la semplice singola persona,
tuttavia pronuncio la parola Democratico, la parola In-Massa.

L'organismo da capo a piedi io canto,
nè la fisionomia nè il cervello sono degni da soli della Musa,
io dico che la forma completa è di gran lunga più degna,
e la Femmina canto come il Maschio.

Canto la vita immensa nella sua passione, impulso e forza,
felice per le azioni più libere sotto le leggi divine,
canto l'Uomo Moderno.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Continuità

    Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto,
    nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo,
    né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
    l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello.
    Vasti sono il tempo e lo spazio - vasti i campi della Natura.
    Il corpo lento, invecchiato, freddo - le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
    la luce degli occhi divenuta tenue, tornerà puntualmente a risplendere;
    il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
    alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
    con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La grande città di Priamo

      ... La grande città di Priamo
      Dardanide, ricca e famosa, distrussero,
      partiti da Argo,
      per volere del grande Zeus;
      e per la bellezza della bionda Elena
      sostennero una lotta molto celebrata,
      in una guerra luttuosa;
      e la sventura salì su Pergamo misera
      a causa di Cipride chioma dorata.
      Ma non desidero ora cantare
      né Paride ingannatore degli ospiti,
      né Cassandra caviglie sottili,
      né gli altri figli di Priamo,
      né il giorno inglorioso della conquista
      di Troia dalle alte porte; né...
      la virtù superba
      degli eroi che navi
      concave dai molti chiodi trasportarono
      - sciagura per Troia -, nobili eroi.
      Agamennone potente li comandava,
      il re discendente da Plistene, condottiero di uomini,
      figlio del nobile Atreo.
      Queste gesta solo le Muse Eliconie
      esperte potrebbero rievocare nel canto;
      un uomo mortale, vivente,
      non saprebbe narrare i singoli casi:
      il gran numero delle navi che da Aulide
      attraverso il mare Egeo vennero
      da Argo a Troia
      che nutre cavalli; e in esse gli eroi
      dagli scudi di bronzo, figli degli Achei,
      tra i quali, il più valente nella lancia,
      Achille veloce nei piedi,
      e il grande, valoroso Aiace Telamonio.
      ...
      (E venne anche colui) che Hyllis
      dalla cintura d'oro generò:
      e a lui Troiani e Danai
      ritenevano simile Troilo
      nell'aspetto amabile, come oro
      tre volte cotto all'oricalco.
      Insieme a loro, avrai anche tu,
      Policrate, una fama indistruttibile di bellezza
      per quanto sta al mio canto e alla mia fama.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        In primavera, i meli cidoni

        In primavera, i meli cidoni
        irrorati dalle correnti dei fiumi,
        là dov'è il giardino incontaminato
        delle Vergini - e i fiori della vite,
        che crescono sotto i tralci ombrosi,
        ricchi di gemme, germogliano. Per me Eros
        in nessuna stagione si posa:
        ma come il tracio Borea,
        avvampante di folgore,
        balza dal fianco di Cipride con brucianti
        follie e tenebroso, intrepido,
        custodisce con forza, saldamente,
        il mio cuore.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il pugno

          Il pugno stretto intorno al mio cuore
          si allenta un poco, e io respiro ansioso
          luce; ma già preme di nuovo.
          Quando mai non ho amato
          la pena d'amore? Ma questa si è spinta

          oltre l'amore fino alla mania. Questa
          ha la forte stretta del demente, questa
          si aggrappa alla cornice della non-ragione, prima
          di sprofondare urlando nell'abisso.

          Tieni duro allora, cuore; così almeno vivi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'aspro sapore del mare

            Quella vela piegata dalla luce,
            stanca d'isole,
            una goletta che batte il Mar dei Caraibi

            per ritornare, potrebbe essere Odisseo
            diretto a casa attraverso l'Egeo:
            quel desiderio di padre e di marito,

            sotto l'aspro livore della vecchiezza,
            è come l'adultero che sente il nome di Nausicaa
            in ogni grido di gabbiano.

            E questo non assicura la pace. L'antica guerra
            tra ossessione e responsabilità
            non può finire ed è la stessa

            per il naufrago e per chi sul lido
            ora infila i piedi nei sandali per rientrare
            da quando Troia ha spirato l'ultima fiamma

            e il macigno del cieco ciclope ha alzato le acque
            dalle cui ondate i grandiosi esametri giungono
            alle conclusioni dell'esausta risacca.

            I classici possono consolare. Ma non abbastanza.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Parabola

              Il bimbo guarda fra le dieci dita
              la bella mela che vi tiene stretta;
              e indugia - tanto è lucida e perfetta -
              a dar coi denti quella gran ferita.

              Ma dato il morso primo ecco s'affretta:
              e quel che morde par cosa scipita
              per l'occhio intento al morso che l'aspetta...
              E già la mela è per metà finita.

              Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso
              sempre è lo sguardo che precede il dente -
              fin che s'arresta al torso che già tocca.

              "Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! "
              Pensa il bambino... Le pupille intente
              ogni piacere tolsero alla bocca.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Il filo

                Ma questo filo... tutto questo filo!...
                In pensieri non dolci e non amari
                il Vecchio stava chino sulli alari
                con le molle, così, come uno stilo.

                "Scrivi? Bruci? Miei versi? I sillabari?
                Il nome dell'Amata e dell'Asilo! "
                (nel Vecchio riconobbi il mio profilo)
                "Lettere? Buste? Annunzi funerari?

                Un nome, un nome! Quello della Mamma! "
                E caddi singhiozzando sulli alari.
                Il Vecchio tacque. M'additò la fiamma.

                "Da trent'anni?! Perdute le più tenere
                mani! Ma resta il sogno! I sogni cari... "
                Il Vecchio tacque. M'additò la cenere.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  La via del rifugio

                  Trenta quaranta,
                  tutto il Mondo canta
                  canta lo gallo
                  risponde la gallina...

                  Socchiusi gli occhi, sto
                  supino nel trifoglio,
                  e vedo un quatrifoglio
                  che non raccoglierò.

                  Madama Colombina
                  s'affaccia alla finestra
                  con tre colombe in testa:
                  passan tre fanti...

                  Belle come la bella
                  vostra mammina, come
                  il vostro caro nome,
                  bimbe di mia sorella!

                  ... su tre cavalli bianchi:
                  bianca la sella
                  bianca la donzella
                  bianco il palafreno...

                  Ne fare il giro a tondo
                  estraggono le sorti.
                  (I bei capelli corti
                  come caschetto biondo

                  rifulgono nel sole. )
                  Estraggono a chi tocca
                  la sorte, in filastrocca
                  segnado le parole.

                  Socchiudo gli occhi, estranio
                  ai casi della vita.
                  Sento fra le mie dita
                  la forma del mio cranio...

                  Ma dunque esisto! O Strano!
                  Vive tra il Tutto e il Niente
                  questa cosa vivente
                  detta guidogozzano!

                  Resupino sull'erba
                  (ho detto che non voglio
                  raccorti, o quatrifoglio)
                  non penso a che mi serba

                  la Vita. Oh la carezza
                  dell'erba! Non agogno
                  cha la virtù del sogno:
                  l'inconsapevolezza.

                  Bimbe di mia sorella,
                  e voi, senza sapere
                  cantate al mio piacere
                  la sua favola bella.

                  Sognare! Oh quella dolce
                  Madama Colombina
                  protesa alla finestra
                  con tre colombe in testa!

                  Sognare. Oh quei tre fanti
                  su tre cavalli bianchi:
                  bianca la sella,
                  bianca la donzella!

                  Chi fu l'anima sazia
                  che tolse da un affresco
                  o da un missale il fresco
                  sogno di tanta grazia?

                  A quanti bimbi morti
                  passò di bocca in bocca
                  la bella filastrocca
                  signora delle sorti?

                  Da trecent'anni, forse,
                  da quattrocento e più
                  si canta questo canto
                  al gioco del cucù.

                  Socchiusi gli occhi, sto
                  supino nel trifoglio,
                  e vedo un quatrifoglio
                  che non raccoglierò.

                  L'aruspice mi segue
                  con l'occhio d'una donna...
                  Ancora si prosegue
                  il canto che m'assonna.

                  Colomba colombita
                  Madama non resiste,
                  discende giù seguita
                  da venti cameriste,

                  fior d'aglio e fior d'aliso,
                  chi tocca e chi non tocca...
                  La bella filastrocca
                  si spezza d'improvviso.

                  "Una farfalla! " "Dài!
                  Dài! " - Scendon pel sentiere
                  le tre bimbe leggere
                  come paggetti gai.

                  Una Vanessa Io
                  nera come il carbone
                  aleggia in larghe rote
                  sul prato solatio,

                  ed ebra par che vada.
                  Poi - ecco - si risolve
                  e ratta sulla polvere
                  si posa della strada.

                  Sandra, Simona, Pina
                  silenziose a lato
                  mettonsile in agguato
                  lungh'essa la cortina.

                  Belle come la bella
                  vostra mammina, come
                  il vostro caro nome
                  bimbe di mia sorella!

                  Or la Vanessa aperta
                  indugia e abbassa l'ali
                  volgendo le sue frali
                  piccole antenne all'erta.

                  Ma prima la Simona
                  avanza, ed il cappello
                  toglie ed il braccio snello
                  protende e la persona.

                  Poi con pupille intente
                  il colpo che non falla
                  cala sulla farfalla
                  rapidissimamente.

                  "Presa! " Ecco lo squillo
                  della vittoria. "Aiuto!
                  È tutta di velluto:
                  Oh datemi uno spillo! "

                  "Che non ti sfugga, zitta! "
                  S'adempie la condanna
                  terribile; s'affanna
                  la vittima trafitta.

                  Bellissima. D'inchiostro
                  l'ali, senza rintocchi,
                  avvivate dagli occhi
                  d'un favoloso mostro.

                  "Non vuol morire! " "Lesta!
                  Ché soffre ed ho rimorso!
                  Trapassale la testa!
                  Ripungila sul dorso! "

                  Non vuol morire! Oh strazio
                  d'insetto! Oh mole immensa
                  di dolore che addensa
                  il Tempo nello Spazio!

                  A che destino ignoto
                  si soffre? Va dispersa
                  la lacrima che versa
                  l'Umanità nel vuoto?

                  Colombina colombita
                  Madama non resiste:
                  discende giù seguita
                  da venti cameriste...

                  Sognare! Il sogno allenta
                  la mente che prosegue:
                  s'adagia nelle tregue
                  l'anima sonnolenta,

                  siccome quell'antico
                  brahamino del Pattarsy
                  che per racconsolarsi
                  si fissa l'umbilico.

                  Socchiudo gli occhi, estranio
                  ai casi della vita;
                  sento fra le mie dita
                  la forma del mio cranio.

                  Verrà da sé la cosa
                  vera chiamata Morte:
                  che giova ansimar forte
                  per l'erta faticosa?

                  Trenta quaranta
                  tutto il Mondo canta
                  canta lo gallo
                  canta la gallina...

                  La Vita? Un gioco affatto
                  degno di vituperio,
                  se si mantenga intatto
                  un qualche desiderio.

                  Un desiderio? Sto
                  supino nel trifoglio
                  e vedo un quatrifoglio
                  che non raccoglierò.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    La Befana

                    Discesi dal lettino
                    son là presso il camino,
                    grandi occhi estasiati,
                    i bimbi affaccendati

                    a metter la scarpetta
                    che invita la Vecchietta
                    a portar chicche e doni
                    per tutti i bimbi buoni.

                    Ognun, chiudendo gli occhi,
                    sogna dolci e balocchi;
                    e Dori, il più piccino,
                    accosta il suo visino

                    alla grande vetrata,
                    per veder la sfilata
                    dei Magi, su nel cielo,
                    nella notte di gelo.

                    Quelli passano intanto
                    nel lor gemmato manto,
                    e li guida una stella
                    nel cielo, la più bella.

                    Che visione incantata
                    nella notte stellata!
                    E la vedono i bimbi,
                    come vedono i nimbi

                    degli angeli festanti
                    nè lor candidi ammanti.
                    Bambini! Gioia e vita
                    son la vision sentita

                    nel loro piccolo cuore
                    ignaro del dolore.
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