Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Quelle labbra che Amor creò con le sue mani (Sonetto 145)

Quelle labbra che Amor creò con le sue mani
bisbigliarono un suono che diceva "Io odio"
a me, che per amor suo languivo:
ma quando ella avvertì il mio penoso stato,
subito nel suo cuore scese la pietà
a rimproverar la lingua che sempre dolce
soleva esprimersi nel dar miti condanne;
e le insegnò a parlarmi in altro modo,
"Io odio" ella emendò con un finale,
che le seguì come un sereno giorno
segue la notte che, simile a un demonio,
dal cielo azzurro sprofonda nell'inferno.
Dalle parole "Io odio" ella scacciò ogni odio
e mi salvò la vita dicendomi "non te".
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Pianefforte 'e notte

    Nu pianefforte 'e notte
    sona luntanamente,
    e 'a museca se sente
    pe ll'aria suspirà.

    È ll'una: dorme 'o vico
    ncopp'a nonna nonna
    'e nu mutivo antico
    'e tanto tiempo fa.

    Dio, quanta stelle 'n cielo!
    Che luna! E c'aria doce!
    Quanto na della voce
    vurria sentì cantà!
    Ma sulitario e lento
    more 'o mutivo antico;
    se fa cchiù cupo 'o vico
    dint'a ll'oscurità...

    Ll'anema mia surtanto
    rummane a sta fenesta.
    Aspetta ancora. E resta,
    ncantannese, a pensà.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Cacciatori della domenica

      Vanno a sparare alle beccacce,
      il contenuto
      lo portano dentro sacchetti scoloriti,
      dentro sacchetti, si capisce,
      e lento s'unge di grasso.

      Musone, così si chiama il cane,
      ma non risponde a tal nome.
      Perché ora la beccaccia,
      beccata nel suo contenuto,
      è pure lei musona e tutta unta?

      Scolorita musona la beccaccia.
      Musone il cane, che si chiama così
      ma non risponde a tal nome...
      Musone! Gridano musoni.
      Sono andati a sparare alle beccacce.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Varo

        Se è questo che il gabbiano vuole,
        costruirò una nave,
        sarò felice
        durante il varo,
        porterò una camicia sgargiante,
        piangerò sciampagna, forse,
        o secernerò sapone molle,
        senza cui nulla può andare.

        Chi sarà a tenere il discorso?
        Chi leggerà dal foglio di carta senza diventar cieco?
        Il Presidente?
        Con quale nome ti dovrò battezzare?
        Dovrò chiamare il tuo naufragio anna
        oppure colombo?
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Ma puoi ch'ella mi vide

          Ma puoi ch'ella mi vide,
          la sua cera che ride
          inver'di me si volse,
          e puoi a sé m'acolse
          molto covertamente,
          e disse immantenente:
          "Io sono la Natura,
          e sono una fattura
          de lo sovran Fattore.
          Elli è mio creatore:
          io son da Lui creata
          e fui incominciata;
          ma la Sua gran possanza
          fue sanza comincianza.
          È non fina né more;
          ma tutto mio labore,
          quanto che io l'alumi,
          convien che si consumi.
          Esso è onipotente;
          ma io non pos'neente
          se non quanto concede.
          Esso tanto provede
          e è in ogne lato
          e sa ciò ch'è passato
          e 'l futuro e 'l presente;
          ma io non son saccente
          se non di quel che vuole:
          mostrami, come suole,
          quello che vuol ch'ì faccia
          e che vol ch'io disfaccia,
          ond'io son Sua ovrera
          di ciò ch'Esso m'impera.
          Così in terra e in aria
          m'ha fatta sua vicaria:
          Esso dispose il mondo,
          e io poscia secondo
          lo Suo comandamento
          lo guido a Suo talento.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Eri tu schivo, Gesù Bambino

            Eri tu schivo, Gesù Bambino,
            un giorno, e come me piccino?
            E che sentivi a vivere
            fuori dei Cieli, e proprio come io vivo?
            Pensavi mai le cose di lassù,
            dove fossero gli angeli chiedevi?
            Io al tuo posto avrei pianto
            Per la mia casa fatta di cielo;
            io cercherei dintorno a me, nell'aria:
            "gli angeli dove sono? ", chiederei
            e destandomi mi dispererei
            che non vi fosse un angelo a vestirmi!
            Anche tu possedevi dei balocchi,
            come li abbiamo noi, bimbe e bambini?
            E giocavi nei Cieli con tutti
            gli angeli non troppo alti,
            con le stelle a piastrella? Si giocava
            a rimpiattino, dietro le loro ali?
            Tua Madre ti lasciava sciupare le tue vesti
            Sul nostro suol giocando?
            Come bello serbarle sempre nuove,
            per i Cieli d'azzurro sempre tersi!
            T'inginocchiavi, a notte, per pregare,
            e le tue mani, come noi, giungevi?
            E a volte erano stanche, le manine,
            e assai lunga sembrava la preghiera?
            E ti piace così, che noi giungiamo
            Le nostre mani per pregare a te?
            A me sembrava, avanti io lo sapessi,
            che la preghiera solo così vale.
            E tua Madre, la sera, ti baciava,
            i tuoi panni piegandoti con cura?
            Non ti sentivi proprio buono, a letto,
            baciato e quieto, dette le orazioni?

            A tuo Padre la mia preghiera mostra
            (Egli la guarderà, sei così bello! ),
            e digli "O Padre, io, io il Figlio tuo,
            ti reco la preghiera di un bambino".
            Sorriderà, che la lingua dei bimbi
            Sia la stessa di quando eri tu un bimbo!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Per Senocrate di Agrigento, voncitore del carro

              Udite: il campo di Afrodite
              occhi vivaci o delle Grazie
              noi ariamo, muovendo al tempio
              ombelico della terra altitonante;
              qui, agli Emmenidi felici, alla fluviale Agrigento
              e a Senocrate, per la vittoria pitica,
              è costruito, nella valle ricca d'oro
              di Apollonia, un tesoro di inni,
              che mai la pioggia invernale - esercito
              irruento e spietato
              di nuvola risonante - né il vento con detriti
              confusi percuotendolo sospingeranno
              negli abissi del mare. Nella luce pura, la sua fronte
              annuncerà nei discorsi dei mortali,
              o Trasibulo, la vittoria illustre, comune a tuo padre e alla stirpe,
              riportata col carro nelle valli di Crisa.
              Nella mano destra serbandolo, tu guidi
              dritto il precetto
              che una volta - narrano - sui monti
              il figlio di Filira impartì al Pelide,
              separato dai suoi genitori: tra gli dèi, onorare
              soprattutto il figlio di Crono, dalla voce grave, signore
              dei lampi e dei fulmini; e non privare mai di questo onore
              i genitori per la vita che loro è destinata.
              In altro tempo, sentimenti simili nutriva
              il forte Antiloco,
              che morì per il padre, affrontando
              Memnone sterminatore, re
              degli Etiopi. Colpito da frecce di Paride,
              bloccava un cavallo il carro di Nestore. Protese
              Memnone la lancia possente. Turbata, la mente
              del vecchio Messenio gridò il nome del figlio.
              A terra non cadde la sua parola. Lì
              resistendo, l'uomo divino
              comprò con la sua morte la vita del padre;
              e compiuta l'impresa immane, egli parve
              ai più giovani della stirpe antica
              il più grande per virtù verso i genitori.
              Ma questo è passato. Dei giovani di ora, più di tutti
              Trasibulo procede secondo la norma paterna
              e segue lo zio in ogni splendore.
              Con senno egli usa la ricchezza,
              e coglie una giovinezza non ingiusta né tracotante;
              ma negli antri delle Pieridi coltiva la poesia
              e a te, Scuotitore della terra, che governi le gare dei cavalli, o Poseidone,
              si dedica, con animo fervente.
              Dolce anche nei rapporti conviviali, la sua indole
              supera l'opera traforata delle api.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Per Teosseno di Tenedo

                Al momento opportuno dovevi, animo mio,
                coglier l'amore, in giovinezza.
                Ma guardando i raggi
                che dagli occhi di Teosseno balenano,
                chi non trabocca di desiderio, ha il cuore nero
                temprato nell'acciaio o nel ferro
                con gelida fiamma. Disprezzato
                da Afrodite pupille vivaci,
                o soffre pene violente per ottenere guadagni,
                o, servo di tracotanza femminile,
                freddo percorre ogni sentiero.
                Ma io, a causa di lei, come la cera delle api sacre
                morsa dal calore, mi consumo, quando guardo
                la giovinezza degli adolescenti dalle membra floride.
                In Tenedo, certo,
                Peito e Grazia abitano
                nel figlio di Agesilas.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Morte di Clorinda

                  Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
                  che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
                  Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
                  che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
                  e la veste, che d'or vago trapunta
                  le mammelle stringea tenera e leve,
                  l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
                  morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

                  Segue egli la vittoria, e la trafitta
                  vergine minacciando incalza e preme.
                  Ella, mentre cadea, la voce afflitta
                  movendo, disse le parole estreme;
                  parole ch'a lei novo un spirto ditta,
                  spirto di fé, di carità, di speme:
                  virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
                  in vita fu, la vuole in morte ancella.

                  - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
                  tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
                  a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
                  battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
                  In queste voci languide risuona
                  un non so che di flebile e soave
                  ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
                  e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

                  Poco quindi lontan nel sen del monte
                  scaturia mormorando un picciol rio.
                  Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
                  e tornò mesto al grande ufficio e pio.
                  Tremar sentì la man, mentre la fronte
                  non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
                  La vide, la conobbe, e restò senza
                  e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

                  Non morì già, ché sue virtuti accolse
                  tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
                  e premendo il suo affanno a dar si volse
                  vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
                  Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
                  colei di gioia trasmutossi, e rise;
                  e in atto di morir lieto e vivace,
                  dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "

                  D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
                  come à gigli sarian miste viole,
                  e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
                  sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
                  e la man nuda e fredda alzando verso
                  il cavaliero in vece di parole
                  gli dà pegno di pace. In questa forma
                  passa la bella donna, e par che dorma.
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