Scritta da: Bernardo Panzeca
in Poesie (Poesie d'amore)
Desideri
S'io fossi un cuore
vorrei essere
quel cuore mio
che diventò tuo
in una notte,
per caso.
Composta domenica 21 ottobre 2018
S'io fossi un cuore
vorrei essere
quel cuore mio
che diventò tuo
in una notte,
per caso.
Solo avendo amato
sarò grato
a ciò che la vita
mi ha dato.
Solo avendo amato
potrò morire
da soldato
Innamorato.
Sul tuo divano resta una carezza
un soffio lieve, un'eco di dolcezza.
Tra quelle pieghe abita il ricordo,
che il cuore serba e mai lascia nel bordo
La casa è silenzio profondo,
come un pozzo che inghiotte il suo mondo.
Ogni stanza conserva un respiro,
ogni angolo il tuo dolce giro.
Ti cercai nella luce del giorno,
nel mattino che sorgeva attorno,
nelle cose che t'erano care,
in quel pane diviso a cenare.
Ma non trovo che ombra e dolore,
un'assenza che spegne il mio cuore.
Eppure, nel frullo d'un'ala,
sento l'anima tua ch'esala.
Forse il cielo t'ha presa per mano,
ti conduce per il suo piano.
La Vergine Santa ti guida lassù,
e nel buio rimani anche tu.
Non ti vedo, ma a volte t'ascolto,
tra i ricordi che tengo raccolto.
E se piango, una voce mi dice:
"Non temere, la vita è felice."
Così porto la croce che resta,
e la speranza diventa la festa:
quando il giorno verrà di incontrarti,
nel silenzio potrò riabbracciarti.
Di quel bacio
ricordo il silenzio
del mio cuore
dinnanzi l'aurora.
È cosa brutta il dolore.
Lo è nel silenzio
e anche nel rumore.
Quando lo vedi arrivare
l'animo non può
che tremare.
Ma nel buio più assoluto
c'è sempre chi viene in aiuto.
È la preghiera!
che invocando Maria
in qualche modo
tutti i guai porta via.
Non so parlarne
del cuor mio
e del suo amor.
Posso solo dire
che di notte
era sempre insonne
e di giorno freddo
con tutte quante
le belle donne.
Non era mai
di gran parole,
e alla vista
di occhi color del mare
penava
quasi come questa terra
avesse
da lì a poco lasciare.
Non so parlarne
del cuor mio
e del suo amor.
Forse negli addietro
si era talmente innamorato
che del presente
non vedeva altro
che il passato.
Forse aveva provato
un così grande amore
che quei minuti
adesso gli sembravan ore.
Non so parlarne
del cuor mio
e del suo amor.
E anche quando
riuscissi a catturar qualcosa
non parlerei
per rispetto
di quella meravigliosa
storia amorosa.
Era quell'albero il mio calendario
Lo piantai da piccolo in giardino
e di volta in volta lo osservavo.
Silenzioso, imponente e retto
mai alcun foglio aveva maledetto.
Non chiedeva mai nulla
Mi avvertiva con una foglia
a volte con dell'ombra
e con dei fiori delicati
di tanto in tanto mi svegliava.
Erano profumati quei fiori
Sapevano di zagara
il profumo di mamma
Una vecchia fragranza
con i ricordi ancora sul viso.
A voler descrivere
la vita
non occorre
né biro
e neanche dita.
Basta una rondine
in marzo
con il suo volo
tanto pazzo
I suoi nidi
Tra grondaie
Balconi
E caldaie
Per narrare
Ciò che alla fine
Vuol dir campare:
Camminare
Ricordare
Sperare
Pregare
Desiderare
E soprattutto
Amare.
Quant'era bello
quel Santo vecchiarello,
col suo bastone
proteggeva chiunque
in ogni occasione,
Gesù Bambino
tra le braccia teneva
e tutta quanta la natura
al suo arrivo rideva.
Tante rondini
garrivano nel cielo
e tanti fiori
uscivano dallo stelo.
Viole e nuvole
si scambiavano
Nebbia e sole
si alternavano.
Era un Santo
tanto Paterno,
Temuto assai
anche dall'inferno.
Era un gran bravo
falegname,
Tramutava in cuore
ogni rottame.
San Giuseppe
si chiamava
Non vi era gente
che non lo amava.
Non vi è notte
più pacifica
e neanche giorno
più silenzioso
Quando un padre
ha nel pensiero
Il cuore più prezioso.
È il cuore del figliolo
che veglia attento
dal calar del sole
allo svegliar della luce,
Vigile come un duce
Premuroso ed ansioso
Incurante d'ogni riposo.
Quel cuore tanto amato
Fa sì che la sua vita
di colpo abbia cambiato,
L'ha resa assai celeste
e poco importa
se povera è la sua veste,
Ciò che conta realmente
E che quel figliolo
possa avere la sua lente.