Poi ch'Amor mi ferì di crude ponte, vostra mercé, qual sète vivo e vero, v'ho scolpito nel fronte e nel pensiero, sì che nessun sembiante più s'affronte. Il viso stesso, il proprio stesso fronte, il proprio ciglio umilemente altero, gli occhi stessi, i due sol de l'emisfero, le stesse grazie e le fattezze conte; in questo il mio ritratto è dissimìle: ché, qual mi sète, vi mostra alteretto, là dove sète a tutti gli altri umìle. Ora, per far ch'anch'io v'abbia perfetto, per far ch'anch'io pur v'abbia a voi simìle, emendate anche meco un tal difetto.
Chi non sa come dolce il cor si fura, come dolce s'oblia ogni martìre, come dolce s'acqueta ogni desire, sì che di nulla più l'alma si cura, venga, per sua rarissima ventura, una sol volta voi, conte, ad udire, quando solete cantando addolcire la terra e 'l cielo e ciò che fè natura. Al suon vedrà degli amorosi accenti farsi l'aere sereno ed arrestare l'orgoglio l'acque, le tempeste e i venti. E, visto poi quel che potete fare, crederà ben che tigri orsi e serpenti arrestasse anche Orfeo col suo cantare.
Quando innanti ai begli occhi almi e lucenti, per mia rara ventura al mondo, ì vegno, lo stil, la lingua, l'ardire e l'ingegno, i pensieri, i concetti e i sentimenti o restan tutti oppressi o tutti spenti, e quasi muta e stupida divegno; o sia la riverenza, in che li tegno, o sia che sono in quel bel lume intenti. Basta ch'io non so mai formar parola, sì quel fatale e mio divino aspetto la forza insieme e l'anima m'invola. O mirabil d'Amore e raro effetto, ch'una sol cosa, una bellezza sola mi dia la vita, e tolga l'intelletto!
Io assimiglio il mio signor al cielo meco sovente. Il suo bel viso è 'l sole; gli occhi, le stelle, e 'l suon de le parole è l'armonia, che fa 'l signor di Delo. Le tempeste, le piogge, i tuoni e 'l gelo son i suoi sdegni, quando irar si suole; le bonacce e 'l sereno è quando vuole squarciar de l'ire sue benigno il velo. La primavera e 'l germogliar dè fiori è quando ei fa fiorir la mia speranza, promettendo tenermi in questo stato. L'orrido verno è poi, quando cangiato minaccia di mutar pensieri e stanza, spogliata me dè miei più ricchi onori.
Se di rozzo pastor di gregge e folle il giogo ascreo fè diventar poeta lui, che poi salse a sì lodata meta, che quasi a tutti gli altri fama tolle, che meraviglia fia s'alza ed estolle me bassa e vile a scriver tanta pièta quel che può più che studio e che pianeta, il mio verde, pregiato ed alto colle? La cui sacra, onorata e fatal ombra dal mio cor, quasi sùbita tempesta, ogni ignoranza, ogni bassezza sgombra. Questa da basso luogo m'erge, e questa mi rinnova lo stil, la vena adombra; tanta virtù nell'alma ognor mi desta!
Fra quell'illustre e nobil compagnia di grazie, che vi fan, conte, immortale, s'erge più d'altra e vaga stende l'ale del canto la dolcissima armonia. Quella in noi ogni acerba cura e ria può render dolce, e far lieve ogni male; quella, quand'Euro più fiero l'assale, può render queto il mar turbato pria. Il giuoco, il riso, Venere e gli Amori si veggon l'aere far sereno intorno, ovunque suoni il dolce accento fuori. Ed io, potendo far con voi soggiorno, a l'armonia di quei celesti cori poco mi curerei di far ritorno.
E tanto gli occupò la fantasia il nativo odio, il dubbio e la paura, ch'inavedutamente uscì di via: e ritrovossi in una selva oscura, che nel mezzo avea un monte che finia la nuda cima in una pietra dura; e la figlia del duca di Dordona gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.
Tra casa di Maganza e di Chiarmonte era odio antico e inimicizia intensa; e più volte s'avean rotta la fronte, e sparso di lor sangue copia immensa: e però nel suo cor l'iniquo conte tradir l'incauta giovane si pensa; o, come prima commodo gli accada, lasciarla sola, e trovar altra strada.
Così dice egli, e torna al suo destriero, e di quella animosa si fa guida, che si mette a periglio per Ruggiero, che la pigli quel mago o che la ancida. In questo, ecco alle spalle il messaggero, ch': - Aspetta, aspetta! - a tutta voce grida, il messagger da chi il Circasso intese che costei fu ch'all'erba lo distese.
E poi ch'al fin le parve esserne chiara, gli disse: - Cavallier, datti riposo, che ben può la mia giunta esserti cara, parerti questo giorno aventuroso. Andiam pur tosto a quella stanza avara, che sì ricco tesor ci tiene ascoso; né spesa sarà invan questa fatica, se fortuna non m'è troppo nemica. -