Grigio
[...] Serbali tu com'erano, memoria.
E più che puoi, memoria, di quell'amore mio
recami ancora, più che puoi, stasera.
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[...] Serbali tu com'erano, memoria.
E più che puoi, memoria, di quell'amore mio
recami ancora, più che puoi, stasera.
Voci del dubbio,
di paesi persi.
La luna è lontana.
Le mani protese, verso questo cielo,
le stelle contese, da mille desideri.
Voci d'innocenti,
saliti come ombre,
brillano, come stelle cadenti,
ancora gementi, inghiottiti dall'onde,
bugiarde, come la speranza,
uccisi in guerre senza onori.
Voci pentite,
di donne represse,
ingannate da finte promesse,
coperte da un velo e dalla paura,
voce silente,
di bambini senza lacrime,
che non hanno forza,
non sentono dolore,
senza dignità né amore.
Voci dell'anima,
che non conviene sentire,
mentre loro vanno a morire.
Siamo donne,
passione, ossessione,
mine vaganti, fiori profumati,
farfalle variopinte.
Segrete amanti, amiche,
malinconici rimpianti.
Sole, sale della vita,
ingenue e bugiarde, maliarde.
Pronte a carpirti il cuore,
per poi buttarlo a mare.
Ruffiane quanto basta,
pensi di conquistarle,
ma loro già hanno scelto
e sei tu a capitolare.
Calcolatrice e grande stratega,
donna strega, finta dolcezza,
mortale carezza.
Morbido desiderio carnale,
torbido e sensuale,
donne e amore.
Guardami...
dimmi che sei mio,
vivimi tutta con l'anima,
senza ragione,
respira il mio respiro
fino a morire,
confusi tra il profumo
dei nostri corpi
in un disperato abbraccio.
Stringimi ancora,
dimmi che sei mio...
Il mio pentimento
di un vecchio tormento,
l'ho gridato al vento
che voce non ha.
Però ho confessato
vi prego ho espiato,
a lungo ho pregato
Confesso... ho peccato.
La vita fugge, et non s'arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora;
e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora,
or quinci or quindi, sì che 'n veritate,
se non ch'ì ò di me stesso pietate,
ì sarei già di questi penser'fòra.
Tornami avanti, s'alcun dolce mai
ebbe 'l cor tristo; et poi da l'altra parte
veggio al mio navigar turbati i vènti;
veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.
L'amore,
non ha voglia di pensare,
gioca d'istinto,
gli viene naturale,
non vede giusto
e a volte si fa male.
Sai bene che niente è per sempre,
e allora... lascia fare.
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'ì sono,
del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me mesdesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Tormentata la mente dai ricordi
non si abbandona ad alcun perdono
lacero il cuore sanguina
impetuosi torrenti di parole si riversano
nella visione di immagini passate
che non si cancellano
dal presente si dileguano
speranze di tenerezze sognate
all'apparire di incomprensioni
che disperdono come vento del deserto
la sabbia dei riferimenti certi
raccolta per indicare il cammino
nella clessidra del tempo rimasto.
Nella ricerca di Lui consumai
La mia forza.
Una notte ripiegai
Il mio dito puntato:
Mai più una luna così.