Poesie d'Autore


Scritta da: Anna De Santis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Silenzi

Ho bisogno di questi momenti,
silenzi
ho bisogno di riferimenti,
ritrovare gocce di ricordi,
amori e sentimenti.
Silenzi
dove pensare, lasciarsi andare
liberare l'anima, sognare.
Silenzi,
che riempiono la vita,
che corre e pietà non sente,
ed io che chiedo ancora,
per fermarmi a guardare,
tornare sui miei passi senza più sbagliare.
Ormai non c'è più tempo,
inesorabilmente accelera la corsa,
la mia vita, non l'ho vissuta appieno,
dimenticando forse il meglio,
un collage che non torna,
voglio silenzi...
Per poter ricordare.
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    Scritta da: Anna De Santis
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Chi sei

    La testa ed il cuore,
    non hanno controllo,
    tu sei
    unico desiderio, unico sogno,
    che manca alle mie mani
    alle mie carezze,
    alla mia bocca,
    alla mia vita.
    Chi seì
    M'ami quando vuoi,
    senza promesse, senza certezze,
    scaldi la mia pelle e poi vai via,
    lasciando a metà le mie parole,
    e l'amore,
    che non finisco mai di dire, di fare
    ma tu non vuoi sentire,
    chi sei?
    Che prometti e non mantieni,
    ed io quì ad aspettare
    i tuoi tempi non concessi.
    Forse avrò modo per dirtelo,
    ma quando?
    E gli anni passeranno, aspettandoti.
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      Scritta da: Anna De Santis
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Semplicemente amore

      Quante notti passate ad aspettarmi,
      ed io incosciente, rientrando a notte fonda,
      camminavo piano,
      per non farmi sentire,
      mentre facevi finta di dormire.
      Sempre guardavi l'ora,
      e ti chiedevi quando
      e lo chiedevi ancora.
      Mia cara, dolce, semplicemente amore
      Quanto dovrò rimpiangerti,
      quando mi mancherai.
      Da me sarai lontana,
      ma sempre nel mio cuore,
      semplicemente amore,
      mi raggiungerai con lettere e telefonate,
      ma non avrò carezze,
      né baci sul mio viso,
      mia cara dolce, mi mancherà il sorriso
      che mi svegliava al mattino
      non dimenticherò mai,
      il tuo dolce semplicemente amore.
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        Scritta da: Anna De Santis
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La mia vita

        Per orgoglio,
        allora mi sembrava giusto,
        ho imboccato una via tutta in piano,
        senza pensare,
        la mia era un'altra canzone,
        un'altra favola,
        un'altra emozione.
        Son rimasta frenata, fin dentro al cuore,
        ancora,
        dalla troppa fretta.
        Ora in me c'è un vulcano pronto a scoppiare.
        Sto pensando...
        per inerzia sono andata avanti,
        mi è sembrato normale,
        ma dentro mi sentivo morire.
        Non è quello che desideravo,
        e non potevo ammetterlo,
        mi sono seduta, ho pensato...
        mi riprendo la mia vita,
        questa volta la voglio in salita,
        o in caduta libera.
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          Scritta da: Anna De Santis
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          L'amore non ha fretta

          L'amore non è un seme,
          che al tiepido sole germoglia,
          e fatto foglia svanisce,
          in una sola stagione.
          Non è una farfalla,
          che nasce in un giorno d'aprile,
          e a sera va a morire.
          L'amore,
          supera tempo e stagioni,
          supera l'intera vita, le ragioni,
          le nostre prigioni,
          e non lo puoi fermare,
          come fiume deve correre al mare,
          ricongiungersi con lui,
          che tanto aspetta
          e torna e ritorna l'onda in foce,
          senza fretta,
          a chiamarlo con una sola voce.
          Il tempo proverà che questo è vero,
          è amore
          e suoneranno dolci melodie,
          quando verrò da te,
          non importa dove e quando,
          ma sarà armonia che dopo sorti avverse,
          riunirà per la stessa via,
          le nostre anime perse.
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            Scritta da: Anna De Santis
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Terra di conquista

            Diventerò terra di conquista,
            dopo le delusioni,
            i sogni svaniti, gli schiaffi presi,
            ancora son ferite in fondo al cuore,
            non c'è più amore,
            non avrò remore,
            ognuno pianterà la sua bandiera,
            non ne andrò fiera,
            a tutti prometterò parte del mio suolo,
            diventerò arlecchino,
            e metterò i confini, d'ogni colore
            per ogni conquista fatta,
            senza cuore.

            Un passaggio veloce

            Non c'è più memoria,
            della nostra vita,
            non abbiamo storia,
            un passaggio veloce,
            senza lasciare traccia,
            solo echi di voce.
            Malinconie e pentimenti,
            per quello che non è stato fatto,
            voglia di sentimenti,
            non ampiamente goduti,
            ricordi vaghi di emozioni
            e di giorni perduti.

            L'ultima goccia

            Ho asciugato il tuo pianto,
            consolato l'anima,
            ho rimesso su un fantasma
            la veste nuova,
            fango e dolore
            ho lavato con lacrime
            e con stracci di cuore.
            Un giorno sei andato via,
            senza spiegazioni,
            sei tornato, con le delusioni,
            ed io di nuovo ho raccolto
            quell'ultima goccia,
            quell'ultima lacrima,
            per quanto ancora amore,
            potrò sopportare
            tutto quello che mi è stato tolto?
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              Scritta da: Pierluigi Camilli
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Lo Stivale

              Io non son della solita vacchetta,
              né sono uno stival da contadino;
              e se pajo tagliato coll'accetta,
              chi lavorò non era un ciabattino:
              mi fece a doppie suola e alla scudiera,
              e per servir da bosco e da riviera.

              Dalla coscia giù giù sino al tallone
              sempre all'umido sto senza marcire;
              son buono a caccia e per menar di sprone,
              e molti ciuchi ve lo posson dire:
              tacconato di solida impuntura,
              ho l'orlo in cima, e in mezzo la costura.

              Ma l'infilarmi poi non è sì facile,
              né portar mi potrebbe ogni arfasatto;
              anzi affatico e stroppio un piede gracile,
              e alla gamba dei più son disadatto;
              portarmi molto non poté nessuno,
              m'hanno sempre portato a un po' per uno.

              Io qui non vi farò la litania
              di quei che fur di me desiderosi;
              ma così qua e là per bizzarria
              ne citerò soltanto i più famosi,
              narrando come fui messo a soqquadro,
              e poi come passai di ladro in ladro.

              Parrà cosa incredibile: una volta,
              non so come, da me presi il galoppo,
              e corsi tutto il mondo a briglia sciolta;
              ma camminar volendo un poco troppo,
              l'equilibrio perduto, il proprio peso
              in terra mi portò lungo e disteso.

              Allora vi successe un parapiglia;
              e gente d'ogni risma e d'ogni conio
              pioveano di lontan le mille miglia,
              per consiglio d'un Prete o del Demonio:
              chi mi prese al gambale e chi alla fiocca,
              gridandosi tra lor: bazza a chi tocca.
              Volle il Prete, a dispetto della fede,
              calzarmi coll'ajuto e da sé solo;
              poi sentì che non fui fatto al suo piede,
              e allora qua e là mi dette a nolo:
              ora alle mani del primo occupante
              mi lascia, e per lo più fa da tirante.

              Tacca col Prete a picca e le calcagna
              volea piantarci un bravazzon tedesco,
              ma più volte scappare in Alemagna
              lo vidi sul caval di San Francesco:
              in seguito tornò; ci s'è spedato,
              ma tutto fin a qui non m'ha infilato.

              Per un secolo e più rimasto vuoto,
              cinsi la gamba a un semplice mercante;
              mi riunse costui, mi tenne in moto,
              e seco mi portò fino in Levante, -
              ruvido sì, ma non mancava un ette,
              e di chiodi ferrato e di bullette.

              Il mercante arricchì, credè decoro
              darmi un po' più di garbo e d'apparenza:
              ebbi lo sprone, ebbi la nappa d'oro,
              ma un tanto scapitai di consistenza;
              e gira gira, veggo in conclusione
              che le prime bullette eran più buone.

              In me non si vedea grinza né spacco,
              quando giù di ponente un birichino
              ea una galera mi saltò sul tacco,
              e si provò a ficcare anco il zampino;
              ma largo largo non vi stette mai,
              anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.

              Fra gli altri dilettanti oltramontani,
              per infilarmi un certo re di picche
              ci si messe cò piedi e colle mani;
              ma poi rimase lì come berlicche,
              quando un cappon, geloso del pollajo,
              gli minacciò di fare il campanajo.

              Da bottega a compir la mia rovina
              saltò fuori in quel tempo, o giù di lì,
              un certo professor di medicina,
              che per camparmi sulla buccia, ordì
              una tela di cabale e d'inganni
              che fu tessuta poi per trecent'anni.

              Mi lisciò, mi coprì di bagattelle,
              e a forza d'ammollienti e d'impostura
              tanto raspò, che mi strappò la pelle;
              e chi dopo di lui mi prese in cura,
              mi concia tuttavia colla ricetta
              di quella scuola iniqua e maledetta.

              Ballottato così di mano in mano,
              da una fitta d'arpìe preso di mira,
              ebbi a soffrire un Gallo e un Catalano
              che si messero a fare a tira tira:
              alfin fu Don Chisciotte il fortunato,
              ma gli rimasi rotto e sbertucciato.

              Chi m'ha veduto in piede a lui, mi dice
              che lo Spagnolo mi portò malissimo:
              m'insafardò di morchia e di vernice,
              chiarissimo fui detto ed illustrissimo;
              ma di sottecche adoperò la lima,
              e mi lasciò più sbrendoli di prima.

              A mezza gamba, di color vermiglio,
              per segno di grandezza e per memoria,
              m'era rimasto solamente un Giglio:
              ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria,
              ai Barbari lo diè, con questo patto
              di farne una corona a un suo mulatto.

              Da quel momento, ognuno in santa pace
              la lesina menando e la tanaglia,
              cascai dalla padella nella brace:
              vicerè, birri, e simile canaglia
              mi fecero angherie di nuova idea,
              et diviserunt vestimenta, mea.

              Così passato d'una in altra zampa
              d'animalacci zotici e sversati,
              venne a mancare in me la vecchia stampa
              di quei piedi diritti e ben piantati,
              cò quali, senza andar mai di traverso,
              il gran giro compiei dell'universo.

              Oh povero stivale! Ora confesso
              che m'ha gabbato questa matta idea:
              quand'era tempo d'andar da me stesso,
              colle gambe degli altri andar volea;
              ed oltre a ciò, la smania inopportuna
              di mutar piede per mutar fortuna.

              Lo sento e lo confesso; e nondimeno
              mi trovo così tutto in isconquasso,
              che par che sotto mi manchi il terreno
              se mi provo ogni tanto a fare un passo;
              ché a forza di lasciarmi malmenare,
              ho persa l'abitudine d'andare.

              Ma il più gran male me l'han fatto i Preti,
              razza maligna e senza discrezione;
              e l'ho con certi grulli di poeti,
              che in oggi si son dati al bacchettone:
              non c'è Cristo che tenga, i Decretali
              vietano ai Preti di portar stivali.

              E intanto eccomi qui roso e negletto,
              sbrancicato da tutti, e tutto mota;
              e qualche gamba da gran tempo aspetto
              che mi levi di grinze e che mi scuota;
              non tedesca, s'intende, né francese,
              ma una gamba vorrei del mio paese.

              Una già n'assaggiai d'un certo Sere,
              che se non mi faceva il vagabondo,
              in me potea vantar di possedere
              il più forte stival del Mappamondo:
              ah! Una nevata in quelle corse strambe
              a mezza strada gli gelò le gambe.

              Rifatto allora sulle vecchie forme
              e riportato allo scorticatojo,
              se fui di peso e di valore enorme,
              mi resta a mala pena il primo cuojo;
              e per tapparmi i buchi nuovi e vecchi
              ci vuol altro che spago e piantastecchi.

              La spesa è forte, e lunga è la fatica:
              bisogna ricucir brano per brano;
              ripulir le pillacchere; all'antica
              piantar chiodi e bullette, e poi pian piano
              ringambalar la polpa ed il tomajo:
              ma per pietà badate al calzolaio!

              E poi vedete un po': qua son turchino,
              là rosso e bianco, e quassù giallo e nero;
              insomma a toppe come un arlecchino;
              se volete rimettermi davvero,
              fatemi, con prudenza e con amore,
              tutto d'un pezzo e tutto d'un colore.

              Scavizzolate all'ultimo se v'è
              un uomo purché sia, fuorché poltrone;
              e se quando a costui mi trovo in piè,
              si figurasse qualche buon padrone
              di far con meco il solito mestiere,
              lo piglieremo a calci nel sedere.
              (Giuseppe Giusti)


              La chiosa di Pierluigi

              Seguendo il tuo consiglio l'hanno fatto:
              han provato per centosettant'anni
              a cercar di scoprire il piede adatto;
              con alti e bassi han fatto altri danni;
              ai Preti ora noi dobbiam sommare
              chi d'Oltremare ci viene a provare!

              E or caro Giuseppe, mio Maestro,
              hanno la gamba pensato di trovare:
              hanno creduto che col piede destro
              di nuovo lui potesse camminare!
              Il guaio è che nessuno ha mai badato
              per quale piede l'hanno fabbricato!
              (Pierluigi Camilli)
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                Scritta da: Marianna Mansueto
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Donna

                Donna, non sei soltanto l'opera di Dio,
                ma anche degli uomini, che sempre
                ti fanno bella con i loro cuori.
                I poeti ti tessono una rete
                con fili di dorate fantasie;
                i pittori danno alla tua forma
                sempre nuova immortatlità.
                Il mare dona le sue perle;
                le miniere il loro oro,
                i giardini d'estate i loro fiori
                per adornarti, per coprirti,
                per renderti sempre più preziosa.
                Il desiderio del cuore degli uomini
                ha steso la sua gloria
                sulla tua giovinezza.
                Per metà sei donna,
                e per metà sei sogno.
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                  Scritta da: Anna De Santis
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Bambini del mondo

                  Mosche sui volti scarniti,
                  mani scheletriche scavano
                  insetti e radici.
                  Bevono in acque putride,
                  e noi a guardare....
                  Muoiono a migliaia,
                  non saranno mai adulti.
                  Non conoscono niente,
                  e per loro è normale
                  e noi a quardare....
                  Sono nudi sudici e cadono,
                  ma la loro pelle arsa dal sole è dura
                  e non si fanno male
                  e noi a guardare....
                  Bambini figli del mondo
                  Che non sentono dolore,
                  vittime dell'indifferenza,
                  cartoline sui giornali
                  e noi a guardare...
                  forse sognano come noi,
                  ma non hanno niente da sognare,
                  forse un po' d'amore
                  e qualche mano tesa.
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                    Scritta da: Anna De Santis
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Dov'eri

                    Dov'eri
                    quando il mondo ha spostato i confini,
                    ha creato dei nuovi assassini,
                    ha mandato a morire bambini.
                    Dov'eri
                    quando le urla dei tuoi figli,
                    non sono state sentite,
                    dal vento e dalla pioggia attutite,
                    da bombe e da forni bruciate.
                    Dov'eri
                    quando l'alba segnata da lutti,
                    quanti morti inghiottiti dai flutti,
                    e da mari in tempesta, terribili notti.
                    Dov'eri
                    Dalle nuvole forse vedevi offuscato,
                    qui c'è un mondo malato
                    su disgrazie sai, piove bagnato
                    dov'eri
                    Quando ho cercato il tuo aiuto,
                    quando ho pregato muto,
                    accanto al dolore di un vecchio malato.
                    C'è un vuoto da riempire,
                    c'è l'ingiustizia da capire,
                    c'è l'indifferenza da spazzare,
                    c'è la coerenza da tenere,
                    c'è la pazienza da recuperare,
                    c'è una voglia infinita di te, di pace e amore,
                    Dove sei che ti vengo a cercare?

                    Infinitamenta donna

                    C'è un letto disfatto, ancor caldo,
                    accarezzo con mano tremante,
                    non ci sei, ma hai lasciato l'odore,
                    ti stringo al mio seno,
                    il cuscino diventa il mio amante.
                    Come è dolce, poi senza parlare,
                    rimanere a pensare,
                    e m'invento di te,
                    quello che potrei fare,
                    per farti piacere.
                    Ormai il gioco va avanti,
                    e continuo a sognare,
                    le tue mani il tuo viso,
                    su tutta la pelle.
                    È soltanto il tuo umore,
                    ma io vedo le stelle.
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