Poesie d'Autore


Scritta da: Anna De Santis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Semplicemente amore

Quante notti passate ad aspettarmi,
ed io incosciente, rientrando a notte fonda,
camminavo piano,
per non farmi sentire,
mentre facevi finta di dormire.
Sempre guardavi l'ora,
e ti chiedevi quando
e lo chiedevi ancora.
Mia cara, dolce, semplicemente amore
Quanto dovrò rimpiangerti,
quando mi mancherai.
Da me sarai lontana,
ma sempre nel mio cuore,
semplicemente amore,
mi raggiungerai con lettere e telefonate,
ma non avrò carezze,
né baci sul mio viso,
mia cara dolce, mi mancherà il sorriso
che mi svegliava al mattino
non dimenticherò mai,
il tuo dolce semplicemente amore.
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    Scritta da: Anna De Santis
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La mia vita

    Per orgoglio,
    allora mi sembrava giusto,
    ho imboccato una via tutta in piano,
    senza pensare,
    la mia era un'altra canzone,
    un'altra favola,
    un'altra emozione.
    Son rimasta frenata, fin dentro al cuore,
    ancora,
    dalla troppa fretta.
    Ora in me c'è un vulcano pronto a scoppiare.
    Sto pensando...
    per inerzia sono andata avanti,
    mi è sembrato normale,
    ma dentro mi sentivo morire.
    Non è quello che desideravo,
    e non potevo ammetterlo,
    mi sono seduta, ho pensato...
    mi riprendo la mia vita,
    questa volta la voglio in salita,
    o in caduta libera.
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      Scritta da: Anna De Santis
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      L'amore non ha fretta

      L'amore non è un seme,
      che al tiepido sole germoglia,
      e fatto foglia svanisce,
      in una sola stagione.
      Non è una farfalla,
      che nasce in un giorno d'aprile,
      e a sera va a morire.
      L'amore,
      supera tempo e stagioni,
      supera l'intera vita, le ragioni,
      le nostre prigioni,
      e non lo puoi fermare,
      come fiume deve correre al mare,
      ricongiungersi con lui,
      che tanto aspetta
      e torna e ritorna l'onda in foce,
      senza fretta,
      a chiamarlo con una sola voce.
      Il tempo proverà che questo è vero,
      è amore
      e suoneranno dolci melodie,
      quando verrò da te,
      non importa dove e quando,
      ma sarà armonia che dopo sorti avverse,
      riunirà per la stessa via,
      le nostre anime perse.
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        Scritta da: Anna De Santis
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Terra di conquista

        Diventerò terra di conquista,
        dopo le delusioni,
        i sogni svaniti, gli schiaffi presi,
        ancora son ferite in fondo al cuore,
        non c'è più amore,
        non avrò remore,
        ognuno pianterà la sua bandiera,
        non ne andrò fiera,
        a tutti prometterò parte del mio suolo,
        diventerò arlecchino,
        e metterò i confini, d'ogni colore
        per ogni conquista fatta,
        senza cuore.

        Un passaggio veloce

        Non c'è più memoria,
        della nostra vita,
        non abbiamo storia,
        un passaggio veloce,
        senza lasciare traccia,
        solo echi di voce.
        Malinconie e pentimenti,
        per quello che non è stato fatto,
        voglia di sentimenti,
        non ampiamente goduti,
        ricordi vaghi di emozioni
        e di giorni perduti.

        L'ultima goccia

        Ho asciugato il tuo pianto,
        consolato l'anima,
        ho rimesso su un fantasma
        la veste nuova,
        fango e dolore
        ho lavato con lacrime
        e con stracci di cuore.
        Un giorno sei andato via,
        senza spiegazioni,
        sei tornato, con le delusioni,
        ed io di nuovo ho raccolto
        quell'ultima goccia,
        quell'ultima lacrima,
        per quanto ancora amore,
        potrò sopportare
        tutto quello che mi è stato tolto?
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          Scritta da: Pierluigi Camilli
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Lo Stivale

          Io non son della solita vacchetta,
          né sono uno stival da contadino;
          e se pajo tagliato coll'accetta,
          chi lavorò non era un ciabattino:
          mi fece a doppie suola e alla scudiera,
          e per servir da bosco e da riviera.

          Dalla coscia giù giù sino al tallone
          sempre all'umido sto senza marcire;
          son buono a caccia e per menar di sprone,
          e molti ciuchi ve lo posson dire:
          tacconato di solida impuntura,
          ho l'orlo in cima, e in mezzo la costura.

          Ma l'infilarmi poi non è sì facile,
          né portar mi potrebbe ogni arfasatto;
          anzi affatico e stroppio un piede gracile,
          e alla gamba dei più son disadatto;
          portarmi molto non poté nessuno,
          m'hanno sempre portato a un po' per uno.

          Io qui non vi farò la litania
          di quei che fur di me desiderosi;
          ma così qua e là per bizzarria
          ne citerò soltanto i più famosi,
          narrando come fui messo a soqquadro,
          e poi come passai di ladro in ladro.

          Parrà cosa incredibile: una volta,
          non so come, da me presi il galoppo,
          e corsi tutto il mondo a briglia sciolta;
          ma camminar volendo un poco troppo,
          l'equilibrio perduto, il proprio peso
          in terra mi portò lungo e disteso.

          Allora vi successe un parapiglia;
          e gente d'ogni risma e d'ogni conio
          pioveano di lontan le mille miglia,
          per consiglio d'un Prete o del Demonio:
          chi mi prese al gambale e chi alla fiocca,
          gridandosi tra lor: bazza a chi tocca.
          Volle il Prete, a dispetto della fede,
          calzarmi coll'ajuto e da sé solo;
          poi sentì che non fui fatto al suo piede,
          e allora qua e là mi dette a nolo:
          ora alle mani del primo occupante
          mi lascia, e per lo più fa da tirante.

          Tacca col Prete a picca e le calcagna
          volea piantarci un bravazzon tedesco,
          ma più volte scappare in Alemagna
          lo vidi sul caval di San Francesco:
          in seguito tornò; ci s'è spedato,
          ma tutto fin a qui non m'ha infilato.

          Per un secolo e più rimasto vuoto,
          cinsi la gamba a un semplice mercante;
          mi riunse costui, mi tenne in moto,
          e seco mi portò fino in Levante, -
          ruvido sì, ma non mancava un ette,
          e di chiodi ferrato e di bullette.

          Il mercante arricchì, credè decoro
          darmi un po' più di garbo e d'apparenza:
          ebbi lo sprone, ebbi la nappa d'oro,
          ma un tanto scapitai di consistenza;
          e gira gira, veggo in conclusione
          che le prime bullette eran più buone.

          In me non si vedea grinza né spacco,
          quando giù di ponente un birichino
          ea una galera mi saltò sul tacco,
          e si provò a ficcare anco il zampino;
          ma largo largo non vi stette mai,
          anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.

          Fra gli altri dilettanti oltramontani,
          per infilarmi un certo re di picche
          ci si messe cò piedi e colle mani;
          ma poi rimase lì come berlicche,
          quando un cappon, geloso del pollajo,
          gli minacciò di fare il campanajo.

          Da bottega a compir la mia rovina
          saltò fuori in quel tempo, o giù di lì,
          un certo professor di medicina,
          che per camparmi sulla buccia, ordì
          una tela di cabale e d'inganni
          che fu tessuta poi per trecent'anni.

          Mi lisciò, mi coprì di bagattelle,
          e a forza d'ammollienti e d'impostura
          tanto raspò, che mi strappò la pelle;
          e chi dopo di lui mi prese in cura,
          mi concia tuttavia colla ricetta
          di quella scuola iniqua e maledetta.

          Ballottato così di mano in mano,
          da una fitta d'arpìe preso di mira,
          ebbi a soffrire un Gallo e un Catalano
          che si messero a fare a tira tira:
          alfin fu Don Chisciotte il fortunato,
          ma gli rimasi rotto e sbertucciato.

          Chi m'ha veduto in piede a lui, mi dice
          che lo Spagnolo mi portò malissimo:
          m'insafardò di morchia e di vernice,
          chiarissimo fui detto ed illustrissimo;
          ma di sottecche adoperò la lima,
          e mi lasciò più sbrendoli di prima.

          A mezza gamba, di color vermiglio,
          per segno di grandezza e per memoria,
          m'era rimasto solamente un Giglio:
          ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria,
          ai Barbari lo diè, con questo patto
          di farne una corona a un suo mulatto.

          Da quel momento, ognuno in santa pace
          la lesina menando e la tanaglia,
          cascai dalla padella nella brace:
          vicerè, birri, e simile canaglia
          mi fecero angherie di nuova idea,
          et diviserunt vestimenta, mea.

          Così passato d'una in altra zampa
          d'animalacci zotici e sversati,
          venne a mancare in me la vecchia stampa
          di quei piedi diritti e ben piantati,
          cò quali, senza andar mai di traverso,
          il gran giro compiei dell'universo.

          Oh povero stivale! Ora confesso
          che m'ha gabbato questa matta idea:
          quand'era tempo d'andar da me stesso,
          colle gambe degli altri andar volea;
          ed oltre a ciò, la smania inopportuna
          di mutar piede per mutar fortuna.

          Lo sento e lo confesso; e nondimeno
          mi trovo così tutto in isconquasso,
          che par che sotto mi manchi il terreno
          se mi provo ogni tanto a fare un passo;
          ché a forza di lasciarmi malmenare,
          ho persa l'abitudine d'andare.

          Ma il più gran male me l'han fatto i Preti,
          razza maligna e senza discrezione;
          e l'ho con certi grulli di poeti,
          che in oggi si son dati al bacchettone:
          non c'è Cristo che tenga, i Decretali
          vietano ai Preti di portar stivali.

          E intanto eccomi qui roso e negletto,
          sbrancicato da tutti, e tutto mota;
          e qualche gamba da gran tempo aspetto
          che mi levi di grinze e che mi scuota;
          non tedesca, s'intende, né francese,
          ma una gamba vorrei del mio paese.

          Una già n'assaggiai d'un certo Sere,
          che se non mi faceva il vagabondo,
          in me potea vantar di possedere
          il più forte stival del Mappamondo:
          ah! Una nevata in quelle corse strambe
          a mezza strada gli gelò le gambe.

          Rifatto allora sulle vecchie forme
          e riportato allo scorticatojo,
          se fui di peso e di valore enorme,
          mi resta a mala pena il primo cuojo;
          e per tapparmi i buchi nuovi e vecchi
          ci vuol altro che spago e piantastecchi.

          La spesa è forte, e lunga è la fatica:
          bisogna ricucir brano per brano;
          ripulir le pillacchere; all'antica
          piantar chiodi e bullette, e poi pian piano
          ringambalar la polpa ed il tomajo:
          ma per pietà badate al calzolaio!

          E poi vedete un po': qua son turchino,
          là rosso e bianco, e quassù giallo e nero;
          insomma a toppe come un arlecchino;
          se volete rimettermi davvero,
          fatemi, con prudenza e con amore,
          tutto d'un pezzo e tutto d'un colore.

          Scavizzolate all'ultimo se v'è
          un uomo purché sia, fuorché poltrone;
          e se quando a costui mi trovo in piè,
          si figurasse qualche buon padrone
          di far con meco il solito mestiere,
          lo piglieremo a calci nel sedere.
          (Giuseppe Giusti)


          La chiosa di Pierluigi

          Seguendo il tuo consiglio l'hanno fatto:
          han provato per centosettant'anni
          a cercar di scoprire il piede adatto;
          con alti e bassi han fatto altri danni;
          ai Preti ora noi dobbiam sommare
          chi d'Oltremare ci viene a provare!

          E or caro Giuseppe, mio Maestro,
          hanno la gamba pensato di trovare:
          hanno creduto che col piede destro
          di nuovo lui potesse camminare!
          Il guaio è che nessuno ha mai badato
          per quale piede l'hanno fabbricato!
          (Pierluigi Camilli)
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            Scritta da: Marianna Mansueto
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Donna

            Donna, non sei soltanto l'opera di Dio,
            ma anche degli uomini, che sempre
            ti fanno bella con i loro cuori.
            I poeti ti tessono una rete
            con fili di dorate fantasie;
            i pittori danno alla tua forma
            sempre nuova immortatlità.
            Il mare dona le sue perle;
            le miniere il loro oro,
            i giardini d'estate i loro fiori
            per adornarti, per coprirti,
            per renderti sempre più preziosa.
            Il desiderio del cuore degli uomini
            ha steso la sua gloria
            sulla tua giovinezza.
            Per metà sei donna,
            e per metà sei sogno.
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              Scritta da: Anna De Santis
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Bambini del mondo

              Mosche sui volti scarniti,
              mani scheletriche scavano
              insetti e radici.
              Bevono in acque putride,
              e noi a guardare....
              Muoiono a migliaia,
              non saranno mai adulti.
              Non conoscono niente,
              e per loro è normale
              e noi a quardare....
              Sono nudi sudici e cadono,
              ma la loro pelle arsa dal sole è dura
              e non si fanno male
              e noi a guardare....
              Bambini figli del mondo
              Che non sentono dolore,
              vittime dell'indifferenza,
              cartoline sui giornali
              e noi a guardare...
              forse sognano come noi,
              ma non hanno niente da sognare,
              forse un po' d'amore
              e qualche mano tesa.
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                Scritta da: Anna De Santis
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Dov'eri

                Dov'eri
                quando il mondo ha spostato i confini,
                ha creato dei nuovi assassini,
                ha mandato a morire bambini.
                Dov'eri
                quando le urla dei tuoi figli,
                non sono state sentite,
                dal vento e dalla pioggia attutite,
                da bombe e da forni bruciate.
                Dov'eri
                quando l'alba segnata da lutti,
                quanti morti inghiottiti dai flutti,
                e da mari in tempesta, terribili notti.
                Dov'eri
                Dalle nuvole forse vedevi offuscato,
                qui c'è un mondo malato
                su disgrazie sai, piove bagnato
                dov'eri
                Quando ho cercato il tuo aiuto,
                quando ho pregato muto,
                accanto al dolore di un vecchio malato.
                C'è un vuoto da riempire,
                c'è l'ingiustizia da capire,
                c'è l'indifferenza da spazzare,
                c'è la coerenza da tenere,
                c'è la pazienza da recuperare,
                c'è una voglia infinita di te, di pace e amore,
                Dove sei che ti vengo a cercare?

                Infinitamenta donna

                C'è un letto disfatto, ancor caldo,
                accarezzo con mano tremante,
                non ci sei, ma hai lasciato l'odore,
                ti stringo al mio seno,
                il cuscino diventa il mio amante.
                Come è dolce, poi senza parlare,
                rimanere a pensare,
                e m'invento di te,
                quello che potrei fare,
                per farti piacere.
                Ormai il gioco va avanti,
                e continuo a sognare,
                le tue mani il tuo viso,
                su tutta la pelle.
                È soltanto il tuo umore,
                ma io vedo le stelle.
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                  Scritta da: Anna De Santis
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Indissolubilmente

                  È più giusto che ti dica t'amo
                  tra le pagine di un libro
                  dedicato a te.
                  Son fiori colorati, son carezze,
                  son lacrime sparse, son certezze,
                  son baci e turbamenti,
                  tutta la mia vita
                  con i suoi momenti.
                  Sei stato un sogno, l'unico,
                  quello che ti prende il cuore,
                  e mai non ci sarà
                  un altro a cui pensare,
                  nonostante gli schiaffi,
                  le notti di solitudine
                  e quella moltitudine
                  di donne che hai avuto.
                  Dentro mi sei entrato
                  e mi hai trovata pronta,
                  c'era un vuoto incolmabile,
                  ma tra maledetti forse,
                  e amore possibilmente,
                  sono anni ormai che...
                  indissolubilmente...
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                    Scritta da: Anna De Santis
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    A processione

                    Ogni anno, come a sempre
                    Da na terra luntana
                    È turnata a madunnina.
                    Na statuetta piccolina,
                    che raccoglie tutt'intorno
                    tutta gente a lei devota.
                    Dalla chiesa illuminata
                    esce con la croce in mano
                    il Priore e il sacrestano
                    e po tutto o baldacchino
                    con in trono la statuetta.
                    Pare proprio na Regina.
                    Quattro uommn fursuti
                    se trascinano l'altare
                    dò stà posta a Madunnina.
                    C'e la folla co e cannele,
                    ca se struiono pe via,
                    segue tutta a processione
                    a cantà la litania.
                    Quanta gente agli balcuni
                    co e coperte in bella mostra
                    tutte quante appese fori,.
                    E creature coi cestini
                    spargon petali di fiori.
                    Quann'è bella a madunnella,
                    giusto dietro a chella folla,
                    s'entravede na nennella,
                    stretta, stretta la manina,
                    attaccata alla gonnella,
                    de na femmena annascosa,
                    pe la pena e la vergogna,,
                    che pe cancellà un c'è cosa
                    quante lacreme scennevano,
                    da chigli uocchi tristi e belli, I.
                    "Chella È figlia D'O peccato"
                    Se sentiva mormorà.
                    Se fa avanti n'omo intisto
                    e cu l'uocchi alluciditi,.
                    Na carezza n'goppa a o capo,
                    gliè fa a chella vagliuncella, :
                    sissignori song o pate,
                    ne finitela cummari!
                    Nun è figlia d'o peccato:.
                    Perdonate oi madunnè!
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