Divani. La domenica. Intrisi di solitudine, chi per scelta, chi no. Terga affondano nel morbido, a volte è davvero dura. Troppo grasso, troppo magro, troppo serio, troppo no. Un film che non viene visto, una partita goduta appieno. Solitudini, tanto parallele e così vicine da non incontrarsi mai, nemmeno all'infinito semmai esista davvero. Domenica. Giorno agognato per sognare qualcosa che poi...
Cerchi all'esterno ciò che non vuoi trovare in te. E ti dici infelice, felice di farlo sapere a tutti. Ecco che quindi resti tale. Così è, se vi pare.
C'era un quasi assoluto silenzio quel primo pomeriggio.
Assolato e caldo, al contrario del giorno prima.
Eravamo una decina di persone al di fuori del supermercato, mascherine, guanti e distanza.
Tutto chiuso, alcune attività per quarantena, altre per sempre.
Ma se il giorno prima sembrava impossibile tornasse repentinamente la bella giornata, così io assaporavo quella quiete raramente sentita...
Se in tempo di mascherine sappiamo toglierci la maschera e finalmente leggerci negli occhi,
ognuno nei suoi, guardando ciò che siamo
in questi giorni nefasti, amando la preziosità di ogni istante, a volte perso solo per propria vanità o solo imbecillità.
E oggi, che tutto sembra negato e lontano,
prendimi la mano, coi guanti o senza,
virtualmente vicini. Puri come bambini.
Sai chi sono, so chi...
Sospesa!
Come su una ragnatela tesa, fra passato e presente, una casa assente. Emozioni sopite, l'amore assente.
Un sol raggio di sole, pallido fulgore, nel gelo d'inverno fuggendo l'inferno.
Tornerà primavera a scaldare la sera? Rifiorirà quella bimba ormai troppo donna?
Vuole autonomia, fugge la follia d'un mondo troppo nero, colori a tinta zero.
Poesia dell'inverno grigio, del poeta vecio...