Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il Pesco

Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
di vecchi morti; ove a dormir con essi
niuno più scende; sempre chiuso; nero
d'alti cipressi.
Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
di là dell'erto muro e delle porte
ch'hanno obliato i cardini, si crede
morta la Morte,
anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
vivo, dal muro sporgere un sottile
ramo di pesco.
Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
Ed ora invidii i mandorli che indora
l'alba negli orti?
Od i cipressi, gracile e selvaggio,
dimenticàti, col tuo riso allieti,
tu trovatello in un eremitaggio
d'anacoreti?
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Lavandare

    Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
    resta un aratro senza buoi, che pare
    dimenticato, tra il vapor leggero.
    E cadenzato dalla gora viene
    lo sciabordare delle lavandare
    con tonfi spessi e lunghe cantilene:
    Il vento soffia e nevica la frasca,
    e tu non torni ancora al tuo paese!
    Quando partisti, come son rimasta!
    Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Viole d'inverno

      - Donde, o vecchina, queste violette
      serene come un lontanar di monti
      nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
      tutte le fonti;
      il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
      ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
      - Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
      geme una polla.
      Là noi sciacquiamo il candido bucato
      nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
      e il poggio è pieno di viole, e il prato
      di pratelline. -
      Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
      tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
      Non è la polla, calda nell'oblio
      freddo del cielo?
      Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
      se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
      spunta, al tepor dell'anima tua pura,
      qualche viola.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il Bosco

        O vecchio bosco pieno d'albatrelli,
        che sai di funghi e spiri la malìa,
        cui tutto io già scampanellare udìa
        di cicale invisibili e d'uccelli:
        in te vivono i fauni ridarelli
        ch'hanno le sussurranti aure in balìa;
        vive la ninfa, e i passi lenti spia,
        bionda tra le interrotte ombre i capelli.
        Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
        or sì or no, che se il desìo le vinca,
        l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.
        Dileguano; e pur viva è la boscaglia,
        viva sempre nè fior della pervinca
        e nelle grandi ciocche dell'acacia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Alba

          Odoravano i fior di vitalba
          per via, le ginestre nel greto;
          aliavano prima dell'alba
          le rondini nell'uliveto.
          Aliavano mute con volo
          nero, agile, di pipistrello;
          e tuttora gemea l'assiolo,
          che già spincionava il fringuello.
          Tra i pinastri era l'alba che i rivi
          mirava discendere giù:
          guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
          virb... disse una rondine; e fu
          giorno: un giorno di pace e lavoro,
          che l'uomo mieteva il suo grano,
          e per tutto nel cielo sonoro
          saliva un cantare lontano.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Benedizione

            È la sera: piano piano
            passa il prete paziente,
            salutando della mano
            ciò che vede e ciò che sente.
            Tutti e tutto il buon piovano
            benedice santamente:
            anche il loglio, là, nel grano;
            qua, nè fiori, anche il serpente.
            Ogni ramo, ogni uccellino
            sì del bosco e sì del tetto,
            nel passare ha benedetto:
            anche il falco, anche il falchetto
            nero in mezzo al ciel turchino,
            anche il corvo, anche il becchino,
            poverino,
            che lassù nel cimitero
            raspa raspa il giorno intiero.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              In viaggio

              Si ferma, e già fischia, ed insieme,
              tra il ferreo strepito del treno,
              si sente una squilla che geme,
              là da un paesello sereno,
              paesello lungo la via:
              Ave Maria...
              Un poco, tra l'ansia crescente
              della nera vaporiera,
              l'addio della sera si sente
              seguire come una preghiera,
              seguire il treno che s'avvia:
              Ave Maria...
              E, come se voglia e non voglia,
              il treno nel partir vacilla:
              quel suono ci chiama alla soglia
              e alla lampada che brilla,
              nella casa, ch'è una badia:
              Ave Maria...
              Il padre a quel suono rincasa
              facendo un passo ad ogni tocco;
              e subito all'uscio di casa
              trova il visino del suo cocco,
              del più piccino che ci sia...
              Ave Maria...
              Si chiude, la casa; e s'appanna
              d'un tratto il vocerìo che c'è;
              si chiude, ristringe, accapanna,
              per parlare tra sé e sé;
              e saluta la compagnia...
              Ave Maria...
              O, tinta d'un lieve rossore,
              casina che sorridi al sole!
              Per noi c'è la notte con l'ore
              lunghe lunghe, con l'ore sole,
              con l'ore di malinconia...
              Ave Maria...
              Il treno già vola e ci porta
              sbuffando l'alito di fuoco;
              e ancora nell'aria più smorta
              ci giunge quell'addio più fioco,
              dal paese che fugge via:
              Ave Maria...
              E cessa. Ma uno che vuole
              velar gli occhi, pensar lontano,
              tra gemiti e strilli e parole,
              tra il frastuono or tremolo or piano,
              ode il suono che non s'oblia:
              Ave Maria...
              Con l'uomo che va nella notte,
              tra gli aspri urli, i lunghi racconti
              del treno che corre per grotte
              di monti, sopra lenti ponti,
              vien nell'ombrìa la voce pia:
              Ave Maria...
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Il Cane

                Noi mentre il mondo va per la sua strada,
                noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
                e perché vada, e perché lento vada.
                Tal, quando passa il grave carro avanti
                del casolare, che il rozzon normanno
                stampa il suolo con zoccoli sonanti,
                sbuca il can dalla fratta, come il vento;
                lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
                Il carro è dilungato lento lento.
                Il cane torna sternutando all'aia.
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