Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Tra il dolore e la gioia

Vidi il mio sogno sopra il monte in cima;
era una striscia pallida, cò suoi
Boschi d'un verde quale mai né prima
vidi né poi.
Prima, il sonante nembo coi velari,
tutto ascondeva, delle nubi nere:
poi, tutto il sole disvelò del pari
bello a vedere.
Ma quel mio sogno al raggio d'un'aurora
nuova m'apparve e sparve in un baleno,
che il ciel non era torbo più né ancora
tutto sereno.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Le Ciaramelle

    Udii tra il sonno le ciaramelle,
    ho udito un suono di ninne nanne.
    Ci sono in cielo tutte le stelle,
    ci sono i lumi nelle capanne.
    Sono venute dai monti oscuri
    le ciaramelle senza dir niente;
    hanno destata nè suoi tuguri
    tutta la buona povera gente.
    Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
    accende il lume sotto la trave;
    sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
    di cauti passi, di voce grave.
    Le pie lucerne brillano intorno,
    là nella casa, qua su la siepe:
    sembra la terra, prima di giorno,
    un piccoletto grande presepe.
    Nel cielo azzurro tutte le stelle
    paion restare come in attesa;
    ed ecco alzare le ciaramelle
    il loro dolce suono di chiesa;
    suono di chiesa, suono di chiostro,
    suono di casa, suono di culla,
    suono di mamma, suono del nostro
    dolce e passato pianger di nulla.
    O ciaramelle degli anni primi,
    d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
    or che le stelle son là sublimi,
    conscie del nostro breve mistero;
    che non ancora si pensa al pane,
    che non ancora s'accende il fuoco;
    prima del grido delle campane
    fateci dunque piangere un poco.
    Non più di nulla, sì di qualcosa,
    di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
    quel pianto grande che poi riposa,
    quel gran dolore che poi non duole;
    sopra le nuove pene sue vere
    vuol quei singulti senza ragione:
    sul suo martòro, sul suo piacere,
    vuol quelle antiche lagrime buone!
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      L'or di notte

      Nelle case, dove ancora
      si ragiona coi vicini
      presso al fuoco, e già la nuora
      porta a nanna i suoi bambini,
      uno in collo e due per mano;
      pel camino nero il vento,
      tra lo scoppiettar dei ciocchi,
      porta un suono lungo e lento,
      tre, poi cinque, sette tocchi,
      da un paese assai lontano:
      tre, poi cinque e sette voci,
      lente e languide, di gente:
      voci dal borgo alle croci,
      gente che non ha più niente:
      - Fate piano! Piano! Piano!
      Non vogliamo saper nulla:
      notte? Giorno? Verno? State?
      Piano, voi, con quella culla!
      Che non pianga il bimbo... Fate
      piano! Piano! Piano! Piano!
      Non vogliamo ricordare
      vino e grano, monte e piano,
      la capanna, il focolare,
      mamma, bimbi... Fate piano!
      Piano! Piano! Piano! Piano!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Dopo l'acquazzone (Myricae)

        Passò strosciando e sibilando il nero
        nembo: or la chiesa squilla; il tetto, rosso,
        luccica; un fresco odor dal cimitero
        viene, di bosso.
        Presso la chiesa; mentre la sua voce
        tintinna, canta, a onde lunghe romba;
        ruzza uno stuolo, ed alla grande croce
        tornano a bomba.
        Un vel di pioggia vela l'orizzonte;
        ma il cimitero, sotto il ciel sereno,
        placido olezza: va da monte a monte
        l'arcobaleno.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          I due girovaghi

          Siamo soli. Bianca l'aria
          vola come in un mulino.
          Nella terra solitaria
          siamo in due, sempre in cammino.
          Soli i miei, soli i tuoi stracci
          per le vie. Non altro suono
          che due gridi:
          - Oggi ci sono
          e doman me ne vo...
          - Stacci!
          Stacci! Stacci!
          Io di qua, battendo i denti,
          tu di là, pestando i piedi:
          non ti vedo e tu mi senti;
          io ti sento, e non mi vedi.
          Noi gettiamo i nostri urlacci,
          come cani in abbandono
          fuor dell'uscio:
          - Oggi ci sono
          e doman me ne vo...
          - Stacci!
          Stacci! Stacci!
          Questa terra ha certe porte,
          che ci s'entra e non se n'esce.
          È il castello della morte.
          S'ode qui l'erba che cresce:
          crescer l'erba e i rosolacci
          qui, di notte, al tempo buono:
          ma nient'altro...
          - Oggi ci sono
          e doman me ne vo...
          - Stacci!
          Stacci! Stacci!
          C'incontriamo... Io ti derido?!
          No, compagno nello stento!
          No, fratello! È un vano grido
          che gettiamo al freddo vento.
          Né c'è un viso che s'affacci
          per dire, Eh! Spazzacamino!...
          per dire, Oh! Quel vecchiettino
          degli stacci...
          degli stacci!...
          - stacci! Stacci!
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Pioggia

            Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
            E gracidò nel bosco la cornacchia:
            il sole si mostrava a finestrelle.
            Il sol dorò la nebbia della macchia,
            poi si nascose; e piovve a catinelle.
            Poi fra il cantare delle raganelle
            guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
            Stupìano i rondinotti dell'estate
            di quel sottile scendere di spille:
            era un brusìo con languide sorsate
            e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
            poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
            di stille d'oro in coppe di cristallo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Morii per la Bellezza, e non appena

              Morii per la Bellezza, e non appena
              mi ebbero accomodata nella tomba
              un uomo morto per la Verità
              venne deposto nella stanza attigua.
              Mi chiese piano perché fossi morta.
              "Per la Bellezza", gli risposti pronta,
              "Io per la Verità", soggiunse lui.
              "Sono una cosa sola, siam fratelli".
              Come parenti incontratisi una notte,
              conversammo da una stanza all'altra,
              finché il muschio ci raggiunse le labbra,
              ricoprendo per sempre i nostri nomi.
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