Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

L'uccellino del freddo

Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Anniversario (1890)

    Sappi - e forse lo sai, nel camposanto -
    la bimba dalle lunghe anella d'oro,
    e l'altra che fu l'ultimo tuo pianto,
    sappi ch'io le raccolsi e che le adoro.
    Per lor ripresi il mio coraggio affranto,
    e mi detersi l'anima per loro:
    hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto:
    e l'amor mio le nutre e il mio lavoro.
    Non son felici, sappi, ma serene:
    il lor sorriso ha una tristezza pia:
    io le guardo - o mia sola erma famiglia! -
    e sempre a gli occhi sento che mi viene
    quella che ti bagnò nell'agonia
    non terminata lagrima le ciglia.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Nel giardino

      Nel mio giardino, là nel canto oscuro
      dove ora il pettirosso tintinnìa,
      col gelsomino rampicante al muro,
      c'è la gaggìa;
      e or che ottobre dentro la vermiglia
      foresta il marzo rende morto al suolo,
      e sembra marzo, come rassomiglia
      bacca a bocciuolo,
      alba a tramonto; nelle tenui trine
      l'una si stringe, al roseo vespro, quando
      l'altro i suoi fiori, candide stelline,
      apre, alitando;
      ed al sospiro dell'avemaria,
      quando nel bosco dalle cime nude
      il dì s'esala, il cuore in una pia
      ombra si chiude;
      e l'anima in quell'ombra di ricordi
      apre corolle che imbocciar non vide;
      e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
      spina sorride.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Anniversario (1891)

        Già li vedevo gli occhi tuoi, soavi
        seguirmi sempre per il mio cammino,
        chinarsi mesti sul mio capo chino,
        volgersi, al mio dubbiar, dubbiosi e gravi.
        Come col dolor tuo mi consolavi,
        come, o cuore vivente oltre il destino!
        Come al tuo collo ti tornai bambino
        piangendo il pianto che su me versavi!
        Or che rivivo alfine, or che trovai
        ah! Le due parti del tuo cuore infranto,
        ora quell'occhio più che mai materno...
        No: tu con gli altri, al freddo, all'acqua, stai,
        con gli altri solitari in camposanto,
        in questa sera torbida d'inverno.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Arano

          Al campo, dove roggio nel filare
          qualche pampano brilla, e dalle fratte
          sembra la nebbia mattinal fumare,
          arano: a lente grida, uno le lente
          vacche spinge; altri semina; un ribatte
          le porche con sua marra paziente;
          ché il passero saputo in cor già gode,
          e il tutto spia dai rami irti del moro;
          e il pettirosso: nelle siepi s'ode
          il suo sottil tintinnio come d'oro.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'assiuolo

            Dov'era la luna? Ché il cielo
            notava in un'alba di perla,
            ed ergersi il mandorlo e il melo
            parevano a meglio vederla.
            Venivano soffi di lampi
            da un nero di nubi laggiù:
            veniva una voce dai campi:
            chiù...
            Le stelle lucevano rare
            tra mezzo alla nebbia di latte:
            sentivo il cullare del mare,
            sentivo un fru fru tra le fratte;
            sentivo nel cuore un sussulto,
            com'eco d'un grido che fu.
            Sonava lontano il singulto:
            chiù...
            Su tutte le lucide vette
            tremava un sospiro di vento;
            squassavano le cavallette
            finissimi sistri d'argento
            (tintinni a invisibili porte
            che forse non s'aprono più?... );
            e c'era quel pianto di morte...
            chiù...
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il sole e la lucerna

              In mezzo ad uno scampanare fioco
              sorse e batté su taciturne case
              il sole, e trasse d'ogni vetro il fuoco.
              C'era ad un vetro tuttavia, rossastro
              un lumicino. Ed ecco il sol lo invase,
              lo travolse in un gran folgorìo d'astro.
              E disse, il sole: - Atomo fumido! Io
              guardo, e tu fosti. - A lui l'umile fiamma:
              - Ma questa notte tu non c'eri, o dio;
              e un malatino vide la sua mamma
              alla mia luce, fin che tu sei sorto.
              Oh! grande sei, ma non ti vede: è morto! -
              E poi, guizzando appena:
              - Chiedeva te! Che tosse!
              Voleva te! Che pena!
              Tu ricordavi al cuore
              suo le farfalle rosse
              su le ginestre in fiore!
              Io stavo lì da parte...
              gli rammentavo sere
              lunghe di veglia e carte
              piene di righe nere!
              Stavo velata e trista,
              per fargli il ben non vista. -.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Patria

                Sogno d'un dì d'estate.
                Quanto scampanellare
                tremulo di cicale!
                Stridule pel filare
                moveva il maestrale
                le foglie accartocciate.
                Scendea tra gli olmi il sole
                in fascie polverose;
                erano in ciel due sole
                nuvole, tenui, róse:
                due bianche spennellate
                in tutto il ciel turchino.
                Siepi di melograno,
                fratte di tamerice,
                il palpito lontano
                d'una trebbiatrice,
                l'angelus argentino...
                dov'ero? Le campane
                mi dissero dov'ero,
                piangendo, mentre un cane
                latrava al forestiero,
                che andava a capo chino.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Il Cavallino

                  O bel clivo fiorito Cavallino
                  ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera
                  al mio bel tempo; chi sa dir se l'era
                  d'olmo la tua parlante ombra o di pino?
                  Era busso ricciuto o biancospino,
                  da cui dorata trasparia la sera?
                  C'è un campanile tra una selva nera,
                  che canta, bianco, l'inno mattutino?
                  Non so: ché quando a te s'appressa il vano
                  desìo, per entro il cielo fuggitivo
                  te vedo incerta vision fluire.
                  So ch'or sembri il paese allor lontano
                  lontano, che dal tuo fiorito clivo
                  io rimirai nel limpido avvenire.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Alba festiva

                    Che hanno le campane,
                    che squillano vicine,
                    che ronzano lontane?
                    È un inno senza fine,
                    or d'oro, ora d'argento,
                    nell'ombre mattutine.
                    Con un dondolìo lento
                    implori, o voce d'oro,
                    nel cielo sonnolento.
                    Tra il cantico sonoro
                    il tuo tintinno squilla,
                    voce argentina - Adoro,
                    adoro - Dilla, dilla,
                    la nota d'oro - L'onda
                    pende dal ciel, tranquilla.
                    Ma voce più profonda
                    sotto l'amor rimbomba,
                    par che al desìo risponda:
                    la voce della tomba.
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