Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

I giorni son sempre più brevi

I giorni son sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perché hai tardato tanto?

Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?

Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senz'essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il mattino

    Ti svegli.
    Dove sei?
    A casa.
    Non hai potuto ancora abituarti:
    al tuo risveglio
    trovarti a casa.
    Ecco quel che ti lasciano
    tredici anni di carcere.

    Chi c'è nel letto, accanto a te?
    Non è la solitudine, è tua moglie.
    Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.
    Le dona, essere incinta.
    Che ore sono?
    Le otto.
    Possiamo dunque star tranquilli
    fino a sera.
    È l'uso,
    la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Prima che bruci Parigi

      Finché ancora tempo, mio amore
      e prima che bruci Parigi
      finché ancora tempo, mio amore
      finché il mio cuore è sul suo ramo
      vorrei una notte di maggio
      una di queste notti
      sul lungosenna Voltaire
      baciarti sulla bocca
      e andando poi a Notre-Dame
      contempleremmo il suo rosone
      e a un tratto serrandoti a me
      di gioia paura stupore
      piangeresti silenziosamente
      e le stelle piangerebbero
      mischiate alla pioggia fine.

      Finché ancora tempo, mio amore
      e prima che bruci Parigi
      finché ancora tempo, mio amore
      finché il mio cuore è sul suo ramo
      in questa notte di maggio sul lungosenna
      sotto i salici, mia rosa, con te
      sotto i salici piangenti molli di pioggia
      ti direi due parole le più ripetute a Parigi
      le più ripetute, le più sincere
      scoppierei di felicità
      fischietterei una canzone
      e crederemmo negli uomini.

      In alto, le case di pietra
      senza incavi né gobbe
      appiccicate
      coi loro muri al chiar di luna
      e le loro finestre diritte che dormono in piedi
      e sulla riva di fronte il Louvre
      illuminato dai proiettori
      illuminato da noi due
      il nostro splendido palazzo
      di cristallo.

      Finché ancora tempo, mio amore
      e prima che bruci Parigi
      finché ancora tempo, mio amore
      finché il mio cuore è sul suo ramo
      in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
      ci siederemmo sui barili rossi
      di fronte al fiume scuro nella notte
      per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
      - verso il Belgio o verso l'Olanda? -
      davanti alla cabina una donna
      con un grembiule bianco
      sorride dolcemente.

      Finché ancora tempo, mio amore
      e prima che bruci Parigi
      finché ancora tempo, mio amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Della morte

        Entrate, amici miei, accomodatevi
        siate i benvenuti
        mi date molta gioia.
        Lo so, siete entrati per la finestra della mia cella
        mentre dormivo.
        Non avete rovesciato la brocca
        nè la scatola rossa delle medicine.
        I visi nella luce delle stelle
        state mano in mano al mio capezzale.

        Com'è strano
        vi credevo morti
        e siccome non credo nè in Dio nè all'aldilà
        mi rammaricavo di non aver potuto
        offrirvi ancora un pizzico di tabacco.

        Com'è strano
        vi credevo morti
        e voi siete venuti per la finestra della mia cella
        entrate, amici miei, sedetevi
        siate i benvenuti
        mi date molta gioia.

        Hascìm, figlio di Osmàn,
        perché mi guardi a quel modo?
        Hascìm figlio di Osmàn
        è strano
        non eri morto, fratello,
        a Istanbul, nel porto
        caricando il carbone su una nave straniera?
        Eri caduto col secchio in fondo alla stiva
        la gru ti ha tirato su
        e prima di andare a riposare
        definitivamente
        il tuo sangue rosso aveva lavato
        la tua testa nera.
        Chi sa quanto avevi sofferto.

        Non restate in piedi, sedetevi.
        Vi credevo morti.
        Siete entrati per la finestra della mia cella
        i visi nella luce delle stelle
        siate i benvenuti
        mi date molta gioia.

        Yakùp, del villaggio di Kayalar
        salve, caro compagno,
        non eri morto anche tu?
        Non eri andato nel cimitero senz'alberi
        lasciando ai tuoi bambini la malaria e la fame?
        Faceva terribilmente caldo, quel giorno
        e allora, non eri morto?

        E tu, Ahmet Gemìl, lo scrittore?
        Ho visto coi miei occhi
        la tua bara scendere nella fossa.
        Credo anche di ricordarmi
        che la tua bara fosse un po' corta per la tua statura.

        Lascia stare, Gemìl
        vedo che ce l'hai sempre, la vecchia abitudine
        ma è una bottiglia di medicina, non di rakì.
        Ne bevevi tanto
        per poter guadagnare cinquanta piastre al giorno
        e dimenticare il mondo nella tua solitudine.

        Vi credevo morti, amici miei
        state al mio capezzale la mano in mano
        sedete, amici miei, accomodatevi.
        Benvenuti, mi date molta gioia.

        La morte è giusta, dice un poeta persiano,
        ha la stessa maestà colpendo il povero e lo scià.
        Hascìm, perché ti stupisci?
        Non hai mai sentito parlare di uno scià
        morto in una stiva con un secchio di carbone?
        La morte è giusta, dice un poeta persiano.

        Yakùp
        mi piaci quando ridi, caro compagno
        non ti ho mai visto ridere così
        quando eri vivo ...
        Ma lasciatemi finire
        la morte è giusta dice un poeta persiano ...

        Lascia quella bottiglia, Ahmer Gemìl,
        non t'arrabbiare, so quel che vuol dire
        affinché la morte sia giusta
        bisogna che la vita sia giusta.

        Il poeta persiano ...
        Amici miei, perché mi lasciate solo?

        Dove andate?
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Nelle mie braccia tutta nuda

          Nelle mie braccia tutta nuda
          la città la sera e tu
          il tuo chiarore l'odore dei tuoi capelli
          si riflettono sul mio viso.

          Di chi è questo cuore che batte
          più forte delle voci e dell'ansito?
          È tuo è della città è della notte
          o forse è il mio cuore che batte forte?

          Dove finisce la notte
          dove comincia la città?
          Dove finisce la città dove cominci tu?
          Dove comincio e finisco io stesso?
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La notte

            Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo
            e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi
            stanno i nostri libri.
            Sono un prigioniero, madre mia,
            che ritorna al paese
            da una fortezza nemica.
            È l'una di notte
            la lampada è ancora accesa.
            Al mio fianco è coricata mia moglie
            mia moglie
            incinta di cinque mesi.
            Quando la mia carne tocca la sua
            quando le poso la mano sul ventre
            il bimbo si muove un poco.
            Sul ramo la foglia
            nell'acqua il pesce
            nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo.
            La camiciola di lana rosa
            per il mio bambino
            l'ha sferruzata sua madre
            è grande come la mia mano
            con le maniche appena così.
            Mio piccolo.
            Se sarà femmina
            voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,
            s'è maschio, che sia della mia statura.
            S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato
            s'è maschio, azzurri.
            Mio piccolo.
            Non voglio che a vent'anni t'ammazzino
            se sei maschio, al fronte
            se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.
            Mio piccolo.
            Femmina o maschio
            a qualsiasi età
            non voglio che tu conosca il carcere
            per essere stato dalla parte del giusto
            del bello, della pace.
            Ma so bene
            figlia mia
            o figlio mio
            che se il sole tarderà molto a sorgere
            dalle acque
            dovrai combattere e anche...
            Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere
            essere padre.

            È l'una di notte.
            La lampada non l'abbiamo ancora spenta.
            Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino
            la mia casa conoscerà
            ancora un'altra irruzione della polizia
            e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro.
            I questurini della politica
            mi prenderanno in mezzo
            e io mi volterò indietro a guardare:
            mia moglie sarà sulla soglia
            davanti alla porta
            il vento del mattino
            gonfierà la sua gonna
            e nel suo ventre pesante
            il bambino si muoverà un poco.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Strontium 90

              Che strano tempo fa:
              ora la neve, ora il sole,
              ora la pioggia.

              Lo Strontium 90 si posa
              sull'erba,
              sulla carne,
              sulla segale.
              Sulla speranza
              e sulla libertà
              e sul grande sogno,
              alla cui porta bussiamo...

              Siamo in gara con noi stessi, o mia rosa,
              o noi porteremo la vita
              sulle stelle morte
              o la morte
              calerà sul nostro mondo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                La petite promenade du poète

                Me ne vado per le strade
                strette oscure e misteriose
                vedo dietro le vetrate
                affacciarsi Gemme e Rose.
                Dalle scale misteriose
                c'è chi scende brancolando
                dietro i vetri rilucenti
                stan le ciane commentando.
                ...
                ...
                La stradina è solitaria
                non c'è un cane; qualche stella
                nella notte sopra i tetti:
                e la notte mi par bella.
                E cammino poveretto
                nella notte fantasiosa
                pur mi sento nella bocca
                la saliva disgustosa. Via dal tanfo
                via dal tanfo e per le strade
                e cammina e via cammina,
                già le case son più rade.
                Trovo l'erba: mi ci stendo
                a conciarmi come un cane:
                Da lontano un ubriaco
                canta amore alle persiane.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Le cose

                  Le monete, il bastone, il portachiavi,
                  la pronta serratura, i tardi appunti
                  che non potranno leggere i miei scarsi
                  giorni, le carte da giunco e gli scacchi,
                  un libro e tra le pagine appassita
                  la viola, monumento d'una sera
                  di certo inobliabile e obliata,
                  il rosso specchio a occidente in cui arde
                  illusoria un'aurora. Quante cose,
                  atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
                  ci servono come taciti schiavi,
                  senza sguardo, stranamente segrete!
                  Dureranno piú in là del nostro oblio;
                  non sapran mai che ce ne siamo andati.
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