Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Lazzaro e il ricco Epulone III

È una fine giornata
come tutti ne abbiamo conosciute:
le cose sono al loro posto, il mondo
potrebbe rovesciarsi, il quadro,
il soggetto,
niente cambierebbe aspetto – a meno che,
come qui,
il figlio di Jacopo, il pittore,
non scivoli tra la scena e il pennello
e non se ne resti là, con gli occhi grandi
aperti
sull'angolo più scuro, questa sorda follia
che non può accettare né rifiutare:
l'indifferenza dei vivi
per i vivi – e se interroga il vuoto,
è come se cercasse di che riempire
la notte e gli occhi di Lazzaro
al tempo stesso.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Lazzaro e il ricco Epulone I

    Sono in tre attorno alla tavola, l'uno tiene
    distrattamente una viola sulle ginocchia
    ma non suona, l'altro con il piatto vuoto
    sulla tovaglia logora, il terzo
    è una donna dal corpo bianchissimo,
    i seni
    offerti alla luce di questa fine giornata
    in cui ciascuno aspetta
    qualche cosa in più
    che si nega, ostinatamente si nega.
    Sono in tre attorno alla tavola
    e tu sei il quarto nell'angolo
    perso della tela, a raccogliere le briciole
    sotto la firma illeggibile.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      I bambini che s'insinuano tra le nostre
      parole
      come un punto e virgola, sanno tutto
      e si ricordano della nostra fatica
      di dire la vita che passa e di come
      l'amore
      è difficile. Insinuano cantando un dito
      leggero
      nella scollatura del mondo che ci copre
      poi si fermano con la guancia contro
      l'orecchio del gatto
      con un viso grave e chiuso così in fretta
      da farci perdere l'equilibrio, gettarci
      fuori dal tempo,
      d'un tratto muti come accanto a un pozzo
      colmo di parole
      mentre si arrotonda, vera dei nostri
      giorni,
      delle nostre vane parole, la pupilla
      del gatto.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Cornice IV

        Non illuderti, ne restano tracce.
        Un cristallo del desiderio un filo
        di quel miele. Qui dentro fosti amato,
        qui amasti e non in sogno.
        Prenderanno
        in custodia la stanza vuota – reti
        e pinze e cartasughe sensitive
        fibra a fibra l’amore ripescando.
        Quei gelidi seguaci di Lussuria
        a perlustrare la vita.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La cicala

          Appare volontà quel che fu caso,
          un eterno momento,
          ma l'occhio il naso suggellò veloce
          e la bocca nel vento
          ambigua errò per voce
          che sempre può parlare.

          Questo il ritratto e questo è il mare,
          un rudere che striscia
          nel suo vecchio calore.

          Così dall'ombra mosse
          una piccola biscia
          fuggendo il suo colore.
          Apparvero le fosse
          dei morti, il grigioverde
          dei topi e dei soldati.

          Ha i minuti contati
          la morte che perde
          e moltiplica i piedi.
          Nel sole che vedi
          è il sole che langue,
          il formicaio del sangue.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Traccerò cerchi con ossidiana,
            segno per segno, seguendo il buio dei
            verbi
            quando il giorno sarà l'ultimo giorno
            in mezzo a bestie golose
            che con artigli lunari
            vorranno amare la vita di un solo verso
            beneficio di bussole indenni
            sotto colonne d'edera rannuvolate.
            Sarà così che non trascriveremo il corso
            di fiumi vivissimi.
            Resterò nei cerchi sotto nevi avverse
            e abolirò il mare che m'incendia
            la matita desolata di questi abissi.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Isola

              Padre, io a te
              io inchiodato a te su questo scoglio
              divino che conosci la tua alba
              e allacci la tua potenza al fulmine
              da questo culmine di spasimo
              io vinto mando a te
              vincitore di padri
              la prora disorientata delle mie parole.
              Concedi a coloro che erano ciechi
              e a dismisura adesso vedono,
              rotto il sigillo della fiamma,
              l'ustione della carezza, il fragore
              del pugno, ora che sanno
              il tossico del palmo e delle nocche
              ed è notte, profonda notte
              a occidente di ogni immaginare
              ora che le iridi conoscono
              le costellazioni del dolore e del piacere;
              concedi loro di sopportare
              per ogni ciglio sospeso alle tenebre
              al tramonto di ogni palpebra sfinita
              la pronuncia dell'alba e del crepuscolo
              e il rombo immenso, che sale dall'uomo.
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