Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Aprile, parco giochi

D'aprile, da piccolo
gli alberi mettevano mitrie
alzavano le teste in lunghe
lunghe liturgie
e tempio era il silenzio
luminoso delle nuvole;
oggi
un mezzo aprile di tanti anni fa
per tutto questo silenzio
nessuno nasconde la testa nelle mani
seduto, metto le tempie nella chiarìa
di un cielo
che li vorrebbe amati
amati tutti, ognuno da qualcuno;
ciascuno invece scuote la sua cenere
e vedo ombre che passano vivendo
in festa come fossero vissute
orfano di tutti i moventi
la primavera è guardarne il riflesso
sulla peluria degli avambracci al sole.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Gerico

    È raro sentire cantare in strada
    molto più raro sentire fischiare
    o fischiettare
    se qualcuno lo fa
    l'aria sembra fargli spazio
    ti sembra che un refolo muova
    la flora dei tuoi pensieri
    ti metta dove prima non eri;
    ma come passa chi fischia
    la noia stende le vertebre al sole
    e tu rientri dov'eri
    dietro il douglas dei serramenti
    dentro il livore
    degli appartamenti
    al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
    da quali trombe scosse
    scrollate le mura
    per quali brecce potremo vedere
    – fresca –
    come un sogno appena sbucciato
    la terra che calpesteremo, allegri.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Verrà la morte

      Verrà la morte e mi coglierà di sorpresa.
      Questa morte che mi accompagna
      dalla mattina alla sera.
      Si nasconde tra i miei vestiti, tra i miei
      capelli.
      Spunta come un'improvvisa macchia sulla
      camicia.
      S'incolla come una mollica sul palato.
      O come un lieve brivido si sposta sulla
      pelle.

      Tu dormirai senza sospetto. Ma i tuoi seni
      staranno spaventati nel buio.
      Si sentiranno i passi sui gradini.
      Il cigolío della porta. Guarderanno
      le ombre sulle finestre per tutta la notte.

      Non avrò finito neppure questi versi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Ode barbara XIII

        Miei vecchi amori. Ore visibili
        di un secolo che non vuole spirare.
        Lune intorno a me si spezzano
        di continuo.
        La luce che mi illumina sarà certo
        di stelle spente.

        Per tutta la notte sradico sentimenti
        dal mio petto che rimane sempre verde.
        Erba secca con radici di eternità.
        Mi confonde il rumore del tempo.
        Scendo.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          A cosa serve indugiare, rimanere
          dietro la tendina che si annerisce,
          guardare il miraggio in faccia,
          quando la malforme primavera fa scorrere
          la sua sciabica nell'isolato dei single:
          un balenio di nafta nel cervello,
          il ventilatore sfiletta il fumo,
          e nel nido di un palchetto sul retro
          gracchia una vecchia comédienne.

          Già il tuo profumo mi ferì.
          Quando ti scottasti le dita,
          sentii un bruciore in mano.
          Ma il periodo di grazia è passato,
          è tempo, finalmente, che finisca
          ciò che un tempo era eterno:
          l'accendino fiammeggia, tira via
          il miraggio dal volto,
          batto il pugno sul gioco, distruggo
          un'altra nave aliena.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Come quel coltello del suo desiderio di
            fanciullo,
            dalle lame spiegate e dal bel manico rosso,
            con il nome inciso. Ha trascorso anni
            a inseguirlo tra i sogni: sottili frecce di
            faggio
            o intagli di animali in legno di noce,
            il nodo antico di un cedro, il sangue di
            un primo corpo.
            Da grande, ne affila il taglio, conquistato
            nella memoria
            in cui abbatte le angosce che celano
            i ricordi.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Radici

              Sono nato ai bordi di uno stagno tra
              i canneti,
              ho ancora addosso il sapore del germoglio
              e il freddo del vento che soffia tra
              le foglie;
              sono nato sotto la ragnatela e il nido
              del passero
              e ho visto luccicare il luccio quando
              veniva il temporale,
              e certi barconi avvicinarsi alla mia casa
              di canne
              come per prendermi con la loro civiltà
              e le loro regole,
              mi nascondevo tra i rami più folti, ero
              come una lucertola
              o un topo di campagna, ho sempre avuto
              un rifugio
              dove nascondermi agli uomini,
              sono invecchiato
              e conosco molto bene lo stagno, le canne,
              l'umido
              ma non so quasi niente di loro, miei simili.
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