Poesie personali


Scritta da: Iris Vignola
in Poesie (Poesie personali)

Grembo di terra

Lo sguardo del cielo assiste allo scempio di morti innocenti,
sterminio di vite concepisce piaghe nell'animo di chiunque rimanga,
nel grembo di Terra nativa che langue,
piangendo le perse esistenze per mano del limbo insensato del niente.
Terrore protratto da stolte pedine ubbidienti al truce comando di morti viventi;
in lode a sfrenati interessi, cospargono l'odio pel Verbo diverso.
Manovrano all'ombra le sorti del mondo.
Danaro e oro nero, ricchezza e potere, son fame ch'ambiscon a soddisfare.
Pertanto, s'evince ch'assai tristemente il grembo di Terra s'impreme di linfa vitale;
si compion misfatti sui campi di Marte e spianano armi, guerrieri incoerenti,
poiché ancor virgulti dagli occhi sognanti,
ch'intravedon se stessi negli occhi smarriti di altri.
E piangon, le madri, i resti dei militi ignoti,
tra i tanti sfregiati nel corpo marchiato da guerre insensate e inconcluse,
nel lungimirare saccente di pochi.
Rimane soltanto lo spreco del sangue a marchiare l'impronta vitale sul suolo,
nel ventre d'un mondo deluso.
Quel sangue versato richiama vendetta, contando sui replay di lotta perpetua.
Bistrattata, la Storia, insigne maestra imparziale,
rinnegata la guerra, or lacrima sale e dolore,
sotto un cielo velato d'indubbia impotenza,
inadatto al disgrego di scelte inumane, analoghe gesta, sentimenti ricolmi d'infamia.
Confuso, il cinereo sguardo svilito, ombrato dal crescente sentore di vivida rabbia,
ricerca motivi pel senso d'una sì atroce svolta
dell'umana specie, ch'ha nulla d'umano al momento.
Ben cosciente che niente giustifichi il niente, indi getta la spugna,
nell'assurdo, inconsulto freno di sé sì avvilente,
incosciente d'un ritorno al pensiero assennato della razza terrestre.
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    Scritta da: Iris Vignola
    in Poesie (Poesie personali)

    Ei giunse

    Ei giunse,
    pel concetto d'esistenza veritiera,
    da un tempo non più suo,
    in quel luogo che n'è privo;
    laddove il sole, inibendo la sua luce,
    non s'insinua
    e tradisce il marmoreo volto della luna,
    che s'oscura,
    incapace di tralucer il suo pallido chiarore translucente,
    nel turchese dello sguardo trasparente,
    sotto il velo trascendente;
    di colui che era, un dì;
    dove stelle ipotizzate dai mortali
    non s'inoltran a gemmar splendente manto
    del mirabil firmamento immateriale,
    concepito dal brillio incommensurabile,
    che si nutre sol da luce inesauribile
    emanata dal Creatore d'universo.
    Il rumor, ammutolito,
    giace immerso nell'ovatta del silenzio,
    che, imperando, l'interezza sa annientare:
    non più suoni, non più voci, neppur echi roboanti,
    nulla sibila dall'ugole impotenti;
    tal sussurro nasce e muore,
    sulle labbra inconsistenti,
    destinato a che niuno possa udirlo.
    Sol lo sbigottito sguardo,
    pur avendo partorito esasperati quesiti inascoltati,
    nel contempo in cui ha fesso l'esordio tenebroso,
    scortante al preludio esistenziale d'altro tipo,
    non s'è arreso;
    plausibilmente, s'è rasserenato,
    nell'istante dell'inatteso squarcio innaturale,
    allorquando, dissolvendo il buio,
    esso l'ha attratto nell'immane varco accecante,
    in cui, quell'Angelo giungente, Messaggero alato,
    sfiorandolo con l'imponenti ali immacolate,
    accolto ha il suo infinito spirito confuso.
    Presumendo la sorpresa sul suo viso,
    poscia un'espressione fattasi fidente,
    anelando il suo sorriso scaturito,
    rammento
    che mai fu cotanto radioso espressamente,
    tutt'altro...
    Fors'anch'egli ne avrà testè ricordo,
    insito nello spazio senza tempo,
    immaginario,
    nel principio del risveglio
    posteriore a dipartita,
    in rinascita desiata e benedetta.
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      Scritta da: Iris Vignola
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      Pensiero filosofico

      Celati son a noi misteri esistenziali,
      origini dell'innate paure insormontabili,
      inconsulte reazioni, smarrimenti e aberrazioni.
      L'oscurità riconduce alla fonte dei disagi,
      la solitudine s'occulta nei silenzi prolungati
      e ci asseconda mestamente,
      inequivocabilmente, fedelissima amante.

      Ci arrampichiam su specchi,
      onde palesarci degni ad altrui occhi,
      bensì nella matrice siam confusi,
      perennemente in cerca di noi stessi,
      dell'io che s'ostina a non svelarsi,
      a non aprirci gli occhi foderati
      alfin di dissipar dubbi circuenti le menti.

      Stolti, peregriniam alla rinfusa,
      alla ricerca di qualcosa lungi dalla coscienza;
      ci aggrappiam alle radici,
      onde evitar d'esser estirpati e perder sì memoria d'esser nati.
      In ragione della moderazione, abdichiamo gl'istinti naturali,
      tuttavia viviam nella gravosa incognita
      d'ignorar realtà, attinente al pensiero filosofico,
      sul chi siamo, donde veniamo e dove andiamo.

      E maggiormente... per qual motivo esistiamo?
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        Scritta da: Iris Vignola
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        Perpetui passi

        Quant'acqua è corsa sotto i ponti,
        quanta pioggia s'è versata sopra i passi di bambina,
        inabissate impronte infaticabili
        divenute vane nel pensiero dei ricordi,
        ch'han scordato di stiparle nelle stanze di memoria.

        Mi chiedo quanti n'abbia vergati senza senso,
        su declivi in salita e in discesa,
        esulando dal conoscere l'approdo,
        forse circoscritto allo stesso luogo,
        forse lungo i margini del mondo.

        Perpetui passi tra le grinze d'un percorso rampicante,
        quando i minuti desideri
        s'accontentavano di molto poco,
        d'un gioco, d'un giocattolo ogni tanto, d'un bacio,
        proporzionati alla tenera età e alla sua speme.

        Le crespe solcate dai miei passi divenuti grandi
        si son mutate in differenziati anfratti,
        dove s'alternava la luce con il buio
        e rose su steli inoffensivi,
        su cui all'improvviso spuntavano le spine, a fare male.

        Impronte inasprite su pieghe sconnesse,
        sprofondan nel fango, talvolta
        e altrettante san sfiorar il suolo,
        tentando d'alzarsi a un metro dal cielo,
        per carpir l'effluvio dell'apogeo d'arcobaleno.

        Dove viaggia il desio d'una bambina
        nel pensier d'una coscienza fattasi adulta.
        Alter ego, riflesso nell'attuale specchio.
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          Scritta da: Iris Vignola
          in Poesie (Poesie personali)

          Stranito sogno sibillino

          Stranito sogno sibillino
          sfoggiava l'essenza sorprendente,
          insolita irrealtà dell'univoca fusione
          della divina coesistenza degl'immutabili elementi.

          Cangiando le sue quadrupli figure,
          il fuoco s'infiammò per la feconda terra,
          d'inimitabile natura intrisa,
          di cui percepiva l'ammaliante sensazione.

          Contemplando l'incontaminato volto matriarcale,
          nei cui occhi s'affacciavan i tre regni naturali,
          l'orizzonte rispecchiava il suo serafico splendore,
          nei capelli entrava il sole,
          sulle mani sue poggiava la sostanza materiale;
          si struggeva per amore...

          Furioso alquanto
          per la coscienza di rispecchiar se stesso,
          smaniava di dolore,
          quel singolare essere bruciante,
          ch'ardeva per l'assurdo, sconvolgente ardore.

          L'eterea aria ossigenante
          e la scrosciante acqua sorgente
          sembianze alternative,
          ammutolite, subivan l'insensato malumore
          della cosmica entità, forgiata di filosofico concetto,
          implorante corrispondenza dell'inusuale sentimento.

          Ribollente di passione,
          le sue lingue incendiarie lambivan pericolosamente
          tal sacral generatrice di materia primordiale,
          quella parte da lui amata follemente,
          incosciente ch'essa fosse il suo grembo naturale,
          la sua madre originaria, nutriente il suo calore, il suo fulgore.

          Preso atto del reale,
          si dovette rassegnare ad amarla in tale veste.
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            Scritta da: Iris Vignola
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            Un angelo bianco

            La notte sì greve non porta ristoro,
            con eco rombante di tuono
            e dardi di fuoco che schiantano al suolo,
            con luce accecante,
            schiarente due ombre
            stagliatesi ai vetri, tra l'oscure fauci
            che gocciolan pianto dal cielo,
            similmente a saliva,
            di angeli neri, espulsi dal tempio del Padre,
            dall'atavico tempo del Verbo iniziale.

            Essenze di demoni oscuri,
            avvolti da tetra clausura,
            intridon la stanza silente;
            negli occhi, divampa la fiamma infernale,
            scrutando quel viso dormiente
            del piccolo essere a palpebre chiuse,
            meticcio d'angelica e umana natura,
            ch'ha ali argentate, sì chiuse a riposo,
            tra riccioli d'oro,
            dispersi sul tenero corpo di bimba innocente.

            Un Angelo bianco, tessuto d'amore,
            racchiude il mistero d'un angelo nero,
            esplicito ai demoni, effigi del male,
            ch'attendono il giusto momento
            del vile misfatto,
            nel fulcro del bieco baratto,
            sancente il riscatto del nero sul bianco,
            del buio imperioso, su fulgida luce irradiante,
            artefatto da artigli bestiali,
            abiurando il destino prescritto da dita sacrali.

            Qual fato risulterà indi avvallato?
            Soccombente alla spira del vile serpente
            o aderente alla progenie dell'imperituro bene,
            ancestrale genesi universale?
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              Scritta da: Iris Vignola
              in Poesie (Poesie personali)

              Laudato sii o mio signore

              Laudato sii o mio Signore,
              nel Cantico di Francesco,
              rivolto al sommo artefice di tutte le creature,
              per le chiare stelle donate,
              la luna, il sole...

              Laudato per l'Amore generato,
              fattosi martire,
              umiliato e agonizzante,
              poi trucidato,
              barattato col misfatto del peccato.

              Eterogenia d'incalzanti sentimenti,
              emananti emozioni ridondanti,
              discioltesi in lacrimali stille sulle guance,
              fin da epoca remota,
              a suffragar sublime perfezione,
              palesemente trasudante la fede sottintesa,
              latente, dell'artista,
              espressa nel consacrar il volto della Madre,
              nonché del divin Figlio,
              scolpiti nel marmoreo blocco inanimato,
              arresosi alla ferrea volontà del Buonarroti,
              ai suoi sapienti tocchi di scalpello,
              atti a raffigurar l'apoteosi dell'amor materno,
              conclamante Pietà e Misericordia,
              che s'animò di vita,
              sancendo avverato l'infausto presagio,
              avvallante sospirata speme di rinascita.

              Coniugazione di sembianze immacolate,
              intrise di strazio e d'afflizione,
              sul giovin viso di Maria;
              di sonno eterno, su quello di suo Figlio,
              il Nazareno,
              mirabili,
              nel di lei atto di regger sulle gambe
              l'adorato corpo dell'Eletto ad Amore universale
              a lei sottratto,
              arresosi a un profetico disegno prefissato;
              di cingerlo, nell'inespresso abbraccio astratto;
              nel di lui riverso viso esangue,
              addormentato tra mortali grinfie fatiscenti
              e adornato da riccioli fluenti,
              sparsi sul braccio di colei che fu prescelta;
              abbandonate, le discinte, sacre membra,
              l'affusolate mani e i piedi, trafitti e dissacrati.

              Ha inteso d'esser immortale, il genio,
              velando, del mistero dell'attesa designata,
              tal istante immaginato,
              susseguente, del Cristo destinato, dall'origine del tempo,
              a essere immolato, similmente a un agnello.

              Vergin Maria,
              a palpebre socchiuse,
              muta, nel suo dolore immane,
              quel palmo della mano verso il cielo,
              par implorare Dio, nel suo pensiero:

              "Ecco, tutto ciò che hai comandato or s'è compiuto.
              Con dolore, rimetto a Te il Figlio amato, martoriato e ucciso,
              Tua trascendente Essenza,
              con speranza di riaverlo fra le braccia, per l'eternità del tempo.
              E così sia."
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                Scritta da: Iris Vignola
                in Poesie (Poesie personali)

                Poesia, eclettica dama, sempiterna castellana

                Contesto ambito,
                osannato in memorie antiche,
                l'armonia di chiacchiere e di vino,
                tra sinfonia di musicali note.
                Soave melodia di liriche parole,
                in scritti liberi o rimati,
                forgia Bacco a singolar cultore,
                ch'elegge i presenti esimi Poeti,
                spronati mai da vanità,
                e da mancanza d'umiltà,
                bensì da ciò ch'esula da questo.
                L'amor di quel ch'è un immortale canto
                trascritto in versi trasudanti sentimenti,
                suffraganti sensazioni, emozioni,
                circuenti menti, volenti o nolenti,
                decreta noi tutti vittime o artefici
                d'ispirazioni letterarie.
                Dalla profondità dell'animo,
                cacciando sentimenti ostili,
                differenze, discrepanze,
                tra sprazzi d'ispirazioni e scaglie di sapori,
                indossiam ali di farfalle,
                alfin di sconfinar nell'irreale,
                dal reale, rinnegato sì sovente,
                da cui sappiamo ben fuggire.
                Splendor di rilucenti stelle
                testimonia risa e fraterni abbracci,
                tra lo scorrer del rosso delle botti,
                del bianco, sprizzante bollicine,
                in gaudenti coppe, mai annacquate,
                giusto da poterne ampiamente assaporare
                l'inebriante gusto.
                Versatile aroma, sorseggiato tra esilaranti fumi,
                caccianti remore ai pensieri,
                che si fan fluidi,
                aprendo cuori allo scambio d'opinioni,
                nell'amicizie sublimate
                nel nome di Poesia,
                eclettica Dama, sempiterna Castellana,
                predominante, nello scemar dell'ore,
                dentro 'l sospiro d'una notte in amore.
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                  Scritta da: Iris Vignola
                  in Poesie (Poesie personali)

                  Si bea alfin di poesia

                  Pendii, ricoperti da manti
                  talvolta screziati o immacolati,
                  sposandosi a valli,
                  sciallate del verde di prati
                  oppur di ghiacciato candore,
                  intonan profetico canto d'amore,
                  al nascer del Sole
                  e al proprio calar il drappo rubicondo,
                  all'avanzar della sua dama silenziosa.
                  Luna altezzosa, regnante all'imbrunire.
                  Lo sguardo è in attesa fremente.
                  Dopo aver disceso le scoscese chine,
                  s'adagia sul piano a riposare,
                  indi, s'alza e s'addentra, spaziando,
                  nel color d'orizzonte vermiglio,
                  finché l'ombre, oscuranti la notte,
                  non incedan, col lor tetro passo assoluto.

                  Sorgiva, la fonte zampilla festante
                  e china il pendio taciturno;
                  scrosciando, ne pregna il silenzio,
                  coi gelidi fiotti, sprizzanti purezza.
                  Velata di trasparenza,
                  si coniuga al fiume, sornione e indolente.
                  Vitale, l'abbraccio irruente lo sferza all'istante,
                  dando agio a quell'inno d'amor gorgheggiato
                  di rinascer costante, nel rovente fulgore solare,
                  riflesso sullo specchio fluviale,
                  nonché al chiaror sensuale di luna,
                  che lo rende fatato.
                  Lo sguardo,
                  attardante a seguir la sorgente,
                  va a calar sull'acque del letto del fiume.
                  Scivolandovi sopra, s'adorna di lapilli d'oro,
                  prima d'esser dipinto di strali d'argento.

                  E l'eco, all'udito,
                  riporta rumori dal dolce sapore,
                  tal canti corali soavi.
                  Amante di nenie,
                  narranti le danze di sensuali Ninfe
                  dei boschi o dei laghi,
                  di storie abitate da leggiadre Fate,
                  ch'esprimon malia,
                  di suoni armoniosi reali o irreali,
                  forgiati di vero o di fantasia...
                  Quell'eco, al pari d'udito,
                  si bea alfin di poesia.
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