Quale febbre ha mai l'uomo! Che guardare ai suoi giorni mortali con il sangue temperato non sa, che tutto sciupa le pagine del libro della vita e deruba virtù al suo buon nome. È come se la rosa si cogliesse da sé; o quand'è matura la susina la sua scura lanugine raschiasse; o a guisa di un folletto impertinente la Naiade oscurasse la splendente sua grotta di una tenebra fangosa. Ma sullo spino lascia sé la rosa, che vengano a baciarla i venti e grate se ne cibino le api: e la susina matura indossa sempre la sua veste bruna, il lago non tocco ha di cristallo la superficie. Perché dunque l'uomo, importunando il mondo per averne grazia, deve sciupar la sua salvezza in obbedienza a un rozzo, falso credo?
Quattro stagioni fanno intero l'anno, quattro stagioni ha l'animo dell'uomo. Egli ha la sua robusta Primavera quando coglie l'ingenua fantasia ad aprire di mano ogni bellezza; ha la sua Estate quando ruminare il boccone di miel primaverile del giovine pensiero ama perduto di voluttà, e così fantasticando, quanto gli è dato approssimarsi al cielo; e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno quando ripiega strettamente le ali pago di star così a contemplare oziando le nebbie, di lasciare le cose belle inavvertite lungi passare come sulla siglia un rivo. Anche ha il suo Inverno di sfiguramento pallido, sennò forza gli sarebbe rinunciare alla sua mortal natura.
O soave che balsamo soffondi alla quieta mezzanotte, e serri con attente e benevole le dita gli occhi nostri del buio compiaciuti, protetti dalla luce, avvolti d'ombra nel ricovero di un divino oblio. O dolcissimo sonno! Se ti piace chiudi a metà di questo, che è tuo, inno i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen prima che il tuo papavero al mio letto largisca in carità il suo dondolio. Poi salvami, altrimenti il giorno andato lucido apparirà sul mio guanciale di nuovo, producendo molte pene, salvami dall'alerte coscienza che viepiù insignorisce il suo vigore causa l'oscurità, scavando come una talpa. Volgi abile la chiave nella toppa oliata e dà il sigillo allo scrigno, che tace, del mio cuore.
Se avessi le forme di un bel corpo virile, sottili i miei sospiri potrebbero echeggiare, come in tornito avorio, al tuo orecchio, trovando via al tuo cuore gentile - passione bene mi armerebbe all'impresa. Ma, ahimé! Non sono il cavaliere che uccide l'avversario, corazza non risplende sul mio petto elato, né sono l'ingenuo pastore della valle, le cui labbra han tremato per occhi di fanciulla. Eppure devo delirare per te, dirti più dolce delle rose melate dell'Ibla, asperse di rugiada così densa che inebria. Ah! tal rugiada mi giova, la suggerò, cogliendola, con incanti e magia, quando si svela il volto pallido della luna.
D'oro una penna datemi, e lasciate che in limpidi e lontane regioni sopra mucchi di fiori io mi distenda; portatemi più bianca di una stella o di una mano d'angelo inneggiante quando fra corde argentee la vedi di arpe celesti, un'asse per scrittoio; e lasciate lì accanto correr molti carri color di perla, vesti rosa, e chiome a onda, e vasi di diamante, e ali intraviste, e sguardi penetranti. Lasciate intanto che la musica erri ai miei orecchi d'intorno; e come quella ogni cadenza deliziosa tocca, lasciate che io scriva un verso pieno di molte meraviglie delle sfere, splendido al suono: con che altezze in gara il mio spirito venne! Nè contento è di restare così presto solo.
L'inchiostro verde crea giardini, selve, prati, fogliami dove cantano le lettere, parole che son alberi, frasi che son verdi costellazioni.
Lascia che le parole mie scendano e ti ricoprano come una pioggia di foglie su un campo di neve, come la statua l'edera, come l'inchiostro questo foglio. Braccia, cintura, collo, seno, la fronte pura come il mare, la nuca di bosco in autunno, i denti che mordono un filo d'erba.
Segni verdi costellano il tuo corpo come il corpo dell'albero le gemme. Non t'importi di tante piccole cicatrici luminose: guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.
In fiamme, nell'incendio degli autunni arde a volte il mio cuore, puro e solo. Il vento che lo desta tocca il suo centro e lo sospende nella luce che ride per nessuno: quanta bellezza sparsa!
Anelo mani, una presenza, un corpo, quel che frantuma i muri e fa nascere le forme inebriate, un tocco, un suono, un giro, solo un'ala, celesti frutti della luce nuda.
Nel mio intimo cerco ossa, violini intatti, vertebre oscure e delicate, labbra che sognan labbra, mani sognanti uccelli...
Qualcosa che s'ignora e dice <> cade dal cielo, da te, Dio, mio avversario.
un salice di cristallo, un pioppo d'acqua, un alto getto che il vento inarca, un albero ben piantato ma danzante, un camminar di fiume che si curva, avanza, retrocede, fa un giro e sempre arriva: un camminar tranquillo di stella o primavera senza fretta, acqua che con le palpebre chiuse emette tutta notte profezie, unanime presenza in ondata, onda su onda fino a coprir tutto, verde sovranità senza tramonto come l'abbacinante effetto delle ali quando s'aprono nel mezzo del cielo, (... ) vado per il tuo corpo come per il mondo, il tuo ventre è una spiaggia soleggiata, i tuoi seni due chiese dove il sangue celebra i suoi misteri paralleli, i miei sguardi ti coprono come edera, sei una città che il mare assedia, una muraglia che la luce divide in due metà color di pesca, un luogo di sale, roccia e uccelli sotto la legge del meriggio assorto,
vestita del colore dei miei desideri vai nuda come il mio pensiero, vado pei tuoi occhi come per l'acqua, le tigri bevono sogno nei tuoi occhi, il colibrí si brucia in quelle fiamme, vado per la tua fronte come per la luna, come la nube per il tuo pensiero, vado per il tuo ventre come pei tuoi sogni, la tua gonna di mais ondeggia e canta,
la tua gonna di cristallo, la tua gonna d'acqua, le tue labbra, i capelli, i tuoi sguardi, tutta la notte piovi, tutto il giorno apri il mio petto con le tue dita d'acqua, chiudi i miei occhi con la tua bocca d'acqua, sulle mie ossa piovi, nel mio petto affonda radici d'acqua un albero liquido,
vado per la tua strada come per un fuime, vado per il tuo corpo come per un bosco, come per un sentiero nel monte che in un brusco abisso finisce, vado pei tuoi pensieri assottigliati e all'uscita dalla tua bianca fronte la mia ombra abbattuta si strazia, raccolgo i miei frammenti uno a uno e proseguo senza corpo, cerco tentoni, (... )
—la vita, quando fu davvero nostra? quando siamo davvero ciò che siamo? ben guardato non siamo, mai siamo da soli se non vertigine e vuoto, smorfie nello specchio, orrore e vomito, mai la vita è nostra, è degli altri, la vita non è di nessuno, tutti siamo la vita —pane di sole per gli altri, tutti gli altri che siam noi—, son altro quando sono, i miei atti son piú miei se sono anche di tutti
perché io possa essere devo esser altro, uscire da me, cercarmi tra gli altri, gli altri che non sono s'io non esisto, gli altri che mi dan piena esistenza, non sono, non v'è io, siam sempre noi, la vita è un'altra, sempre là, piú lungi, fuori di te, di me, sempre orizzonte, vita che ci svive e ci fa estranei che ci inventa un volto e lo sciupa, fame d'essere, oh morte, pane di tutti.