Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Alto colle, almo fiume, ove soggiorno
fan le virtuti e le Grazie e gli Amori,
dal dì che dimostraste al mondo fòri
chi fa me, chi fa lui chiaro et adorno,
asserena tu 'l fronte, alza tu 'l corno,
tu con nove acque, e tu con novi fiori,
or che fa, colmo anch'ei di novi onori,
il signor vostro e mio a voi ritorno.
E, poi che fia con voi, per cortesia
oprate sì ch'a me ritorni tosto;
ché viver senza lui poco porìa.
Così stia 'l verno a voi sempre discosto,
così Flora e Pomona in compagnia
vi faccian sempre aprile e sempre agosto.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Ritraggete poi me da l'altra parte,
    come vedrete ch'io sono in effetto:
    viva senz'alma e senza cor nel petto
    per miracol d'Amor raro e nov'arte;
    quasi nave che vada senza sarte,
    senza timon, senza vele e trinchetto,
    mirando sempre al lume benedetto
    de la sua tramontana, ovunque parte.
    Ed avvertite che sia 'l mio sembiante
    da la parte sinistra afflitto e mesto;
    e da la destra allegro e trionfante:
    il mio stato felice vuol dir questo,
    or che mi trovo il mio signor davante;
    quello, il timor che sarà d'altra presto.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Quelle lagrime calde e quei sospiri,
      che vedete ch'io spargo sì cocenti
      da poter arrestar il mar cò venti,
      quando avien ch'ei più frema e più s'adiri,
      come potete voi coi vostri giri
      rimirar non pur queti, ma contenti ?
      O cor di fère tigri e di serpenti,
      che vive sol dè duri miei martìri!
      Deh prolungate almen per alcun'ore
      questa vostra ostinata dipartita,
      fin che m'usi a portar tanto dolore;
      perciò ch'a così sùbita sparita
      io potrei de la vita restar fuore,
      sol per servir a voi da me gradita.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Ricevete cortesi i miei lamenti,
        e portateli fide al mio signore,
        o di Francia beate e felici ore,
        che godete or dè begli occhi lucenti.
        E ditegli con tristi e mesti accenti
        che, s'ei non move a dar soccorso al core,
        o tornando o scrivendo, fra poche ore
        resteran gli occhi miei di luce spenti;
        perché le pene mie molte ed estreme
        per questa assenzia ormai son giunte in parte,
        dove di morte sol si pensa e teme.
        E, s'egli avien che 'ndarno restin sparte
        dinanzi a lui le mie voci supreme,
        al mio scampo non ho più schermo od arte.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Mentre signor, a l'alte cose intento,
          v'ornate in Francia l'onorata chioma,
          come fecer i figli alti di Roma,
          figli sol di valor e d'ardimento,
          io qui sovr'Adria piango e mi lamento,
          sì da' martìr, sì da' travagli doma,
          gravata sì da l'amorosa soma,
          che mi veggo morir, e lo consento.
          E duolmi sol che, sì come s'intende
          qui 'l suon da noi de' vostri onor, ch'omai
          per tutta Italia sì chiaro si stende,
          non s'oda in Francia il suono de' miei lai,
          che così spesso il ciel pietoso rende,
          e voi pietoso non ha fatto mai.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            O ora, o stella dispietata e cruda,
            ch'io vidi dipartir la gloria mia,
            lasciando di beata ch'era pria
            la vita mia d'ogni suo bene ignuda!
            Da indi in qua per me si trema e suda,
            si piagne, si dispera e si disia:
            e sarà meraviglia, se non fia
            che morte tosto queste luci chiuda.
            Che, del lor fatal sol restate senza,
            altra luce giamai mirar non ponno,
            che lor non sembri notte e dipartenza.
            Dunque o lor tosto, Amor, rendi il lor donno,
            o, per non soffrir più sì dura assenza,
            tosto le chiudi in sempiterno sonno.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Quando più tardi il sole a noi aggiorna,
              e quando avien che poi più tardi annotte,
              quand'ei mostra il crin d'òr, quando la notte
              mostra la luna l'argentate corna,
              il mio cor lasso a' suoi sospir ritorna,
              a le voci, a le lagrime interrotte;
              sì l'ha tutte ad un segno ricondotte
              l'assenzia di colui che Francia adorna.
              E sì caldo disio di rivederlo
              fra tutt'altri martìr mi preme e punge,
              che non so come omai più sostenerlo.
              E duolmi più ch'egli è da me sì lunge,
              ch'a poter richiamarlo ed a poterlo
              mover a pièta il mio gridar non giunge.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                La mia vita è un mar: l'acqua è 'l mio pianto,
                i venti sono l'aure dè sospiri,
                la speranza è la nave, i miei desiri
                la vela e i remi, che la caccian tanto.
                La tramontana mia è il lume santo
                dè miei duo chiari, due stellanti giri,
                à quai convien ch'ancor lontana ì miri
                senza timon, senza nocchier a canto.
                Le perigliose e sùbite tempeste
                son le teme e le fredde gelosie,
                al dipartirsi tarde, al venir preste.
                Bonacce non vi son, perché dal die
                che voi, conte, da me lontan vi feste,
                partîr con voi l'ore serene mie.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Deh foss'io certa almen ch'alcuna volta
                  voi rivolgeste a me l'alto pensiero,
                  conte, a cui per mio danno i cieli diêro
                  sì da' lacci d'Amor l'anima sciolta.
                  L'acerba pena mia nel petto accolta,
                  l'empia mercé del dispietato arciero,
                  i sospir, che 'n amor sola mi fêro,
                  avrian triegua talor o poca o molta.
                  Ma 'l sentirmi patir carca di fede,
                  senza muover pietade a chi mi strugge,
                  a chi contento i miei tormenti vede,
                  sì le speranze mie tronca et adugge
                  che, se Dio di rimedio non provede,
                  l'alma per dipartirsi freme e rugge.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    La gran sete amorosa che m'afflige,
                    la memoria del ben onde son priva,
                    che mi sta dentro al cor tenace e viva,
                    sì che null'altra più forte s'affige,
                    sovra ogni forza mia move et addige
                    la vena mia per sé muta e restiva,
                    e fa che 'n queste carte adombri e scriva
                    quanto aspramente Amor m'arde e trafige.
                    Chi fa qual noi parlar la muta pica?
                    Chi 'l nero corvo e gli altri muti uccelli?
                    La brama sol di quel che li nutrica.
                    Però s'avien ch'io scriva e ch'io favelli,
                    narrando l'amorosa mia fatica,
                    non son io no, son gli occhi vaghi e belli.
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