Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Nella piscina dell'Hotel Siviglia

Quella ragazza dalla pelle scura,
quella che bacia e abbraccia lo straniero,
con le sue trecce false, Cuba pura
che scola birra Hatuey e usa sincera

accento, gergo e arti di terra dura,
l'arrangiarsi di poveri quartieri;
quella ragazza con la vita tesa
come un violino in preda ai desideri;

quella ragazza con la notte accesa
su tutto il corpo, che tiene distesa
tutta quell'ombra sul sole d'Europa;

quella ragazza ignora che io esisto,
che le scrivo un sonetto, e che la vesto
di versi in rima, mentre lui la spoglia.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Dice il nipote

    I nonni non mi piacciono perché finiscono subito.
    Sono a malapena un ginocchio ossuto, una mano
    tra i capelli,
    e diventano già una foto nella sala,
    un volto che s'allontana.

    I nonni mi spaventano perché sono molto docili,
    sanno tutto e cantano.

    I genitori dovrebbero avere i figli più da giovani,
    perché questi a loro volta avessero presto figli
    e i nonni non arrivassero tanto tardi.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Una storia banale come tante altre

      Sono arrivati all'Avana,
      passeggeri dello stesso aereo,
      vicini di posto,
      chiacchierando delle sciocchezze
      che riempiono i viaggi lunghi.

      Lei ha nascosto la macchina fotografica,
      ha comprato pizze infami,
      ha usato monosillabi per nascondere il suo accento.

      Lui parlava a voce alta
      e sorrideva per ogni cosa,
      ha visitato gli alberghi,
      ha falsificato lo stupore,
      ha affittato un'automobile.

      Lei è entrata nel mercato,
      è salita sugli autobus,
      ha visto le costellazioni
      dal lungomare,
      ha comprato e bevuto acquavite.

      Lui ha pagato le ragazze,
      ha dato mance,
      ha fatto felice un bambino
      con gomme da masticare e biro,
      ha fotografato le code e le case.

      Un giorno prima di ripartire
      si sono incontrati sotto i portici
      della Piazza d'Armi,
      soli, a tarda notte.
      E non hanno trovato nulla da dirsi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Fine del viaggio

        Se hai scoperto
        che tutti gli oracoli ingannano,
        che tutte le strade portano a te stesso,
        cosa farai delle tue prossime paure?

        Se hai scoperto
        che gli astri mentono
        — o forse si sbagliano —
        che farai delle tue maldicenze?

        Se hai scoperto
        che la vecchia gitana col fazzoletto rosso
        imbroglia da secoli i viaggiatori,
        cosa farai di tanti manoscritti,
        di tante fidanzate che aspettano fiori?

        Se hai scoperto
        che anche nella vita
        sei un semplice passeggero in transito,
        che farai, dove lo farai, e quando?
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Le lettere smarrite

          Per favore, non recuperate le lettere smarrite.
          Lasciate la busta accanto al tronco dell'albero,
          sotto un'anonima pietra, o a rotolare nei giardini.
          Ci sono lettere che si scrivono perché non arrivino,
          perché dall'altro lato della voce diffidino di tutto,
          perché esista una seconda lettera, esplicita e inutile.
          Ciò accade con l'assenso di tutti,
          con soprassalti premeditati e complicità.
          Sono mesi, anni, di matematica innocenza.
          In quelle lettere si confessava tutto,
          si annunciavano pericoli che poi la pioggia ha ammorbidito;
          in quelle lettere c'erano poscritti che premonivano
          sul fatto che sarebbero andate smarrite.
          La loro vera destinazione era il silenzio,
          le erbacce al bordo dei letti,
          le ragnatele sui davanzali,
          le nuvole sul volto.
          Definitivamente,
          dall'altro lato della voce non l'aspettavano.
          Lasciatela accanto all'albero,
          sotto un'anonima pietra,
          a rotolare nella memoria del felice mittente.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Dagli occhi di un bambino...

            Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.
            Se chiudesse gli occhi cadrebbero.
            Solo il suo stupore li mantiene sospesi,
            la sua piccola mano li innalza,
            il suo cuore li muove e li allontana.
            Senza un bambino appiccicato ai vetri,
            alle alte ringhiere di una terrazza adulta,
            gli aeroporti morirebbero d’orrore.
            Un bambino non potrà mai pronunciare la parola
            “aeronautica”
            ma da lui dipenderà l’imitazione dell’uccello.
            Un bambino non saprà calcolare le distanze
            ma è lui la garanzia del ritorno.
            Ogni aeroporto deve avere un bambino incollato ai vetri, accanto agli altoparlanti, dovunque si acquatti la paura.
            Grazie a lui durerà meno lacrime il rientro di tutti,
            dorrà meno baci l’addio delle madri
            e le hostess potranno prescindere da avvisi insulsi.

            Un aeroplano per aria
            sono molti bambini che guardano l’orizzonte.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Scritto nel giorno in cui Leigh Hunt uscì di prigione

              Benché imprigionato per aver detto il vero
              a un principe adulato, il generoso Hunt,
              in spirito immortale, libero si è serbato,
              come nobile allodola richiamata dal cielo.
              Lacchè dei Grandi, che cosa ti aspettavi?
              Ch'egli avrebbe fissato i muri della cella
              finché tu controvoglia ne riaprissi la porta?
              No! più alta e felice era già la sua sorte!
              Nelle corti di Spenser egli vagò, in pergole
              leggiadre, colse magici fiori, audace risalì,
              con Milton, i campi d'aria; e in feudi
              a lui certi da vero genio fece inebrianti voli.
              Chi potrà la sua fama funestare quando
              sarete morti tu e la tua ciurma di mariuoli?
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                A mio fratello Giorgio

                Molti prodigi ho veduto stamane:
                il sole, che col primo bacio terse le lacrime
                dagli occhi dell'aurora; le corone d'alloro
                degli eletti, chine sull'aureo manto della sera;
                l'oceano, verdeazzurro, sterminato,
                e scogli, navi, grotte, aneliti e terrori;
                e la sua voce arcana che, a chi l'ode,
                fa meditare quello che sarà o è stato.
                E anche ora, Giorgio, che ti dedico il verso,
                Cinzia fra coltri di seta appena si profila,
                come fosse una sposa alla sua prima notte,
                e lascia intravedere le amorose giostre.
                Ma che sarebbero i prodigi in mare e cielo
                senza averti compagno al mio pensiero.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Il grillo dei campi e il grillo del focolare

                  Mai la terrestre poesia non muore.
                  Quando tutti gli uccelli al solleone
                  vengono meno e stan nascosti in mezzo
                  la frescura degli alberi, una voce
                  corre di siepe in siepe intorno al prato
                  su cui appena passò rasa la falce:
                  è del grillo dei campi, il capintesta
                  nel tripudio d'estate, mai godere
                  non cessa, perché quando a giuochi è stanco
                  posa con agio sotto una grata erba.
                  Fine non ha la poesia terrestre.
                  D'inverno, in una sera solitaria,
                  quando il silenzio è opera del gelo,
                  strepe fuor della stufa il suon del grillo
                  del focolare che col caldo sempre
                  viene crescendo, e a uno che smarrito
                  a mezzo sta fra sonno e veglia, il canto
                  par del grillo dei campi ai colli erbosi.
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