Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Amata, di quella si dolce prigionia (Musica da camera xxii)
Amata, di quella si dolce prigionia
La mia anima è lieta...
Tenere braccia che inducono alla resa
E voglion esser strette.
Sempre così mi trattenessero,
Felice prigioniero sarei!

Amata, quella notte mi tenta
Che, nel tremante viluppo delle braccia,
In alcun modo gli allarmi
Possano turbarci ma il sonno
A più sognante sonno si sposi e l'anima
Con l'anima giaccia prigioniera.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Con la grande coppa vieni spesso tra i banchi

    Con la grande coppa vieni spesso tra i banchi
    della nave veloce, e togli i tappi agli orci panciuti;
    fino alla feccia spilla il vino rosso: noi,
    in questa guardia, non potremo essere sobri.

    Sul banco della nave sta la mia focaccia impastata; sul banco
    della nave sta il vino d'Ismaro; disteso sul banco io bevo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Tali sono gli uomini che l'onda del mare sonante

      Nessuno dei cittadini, Pericle, biasimando
      i lutti dolorosi, gioirà con banchetti, e neppure la città.
      Tali sono gli uomini che l'onda del mare sonante
      sommerse; e gonfio di pianto è il cuore
      per la pena. Ma ai mali irrimediabili gli dèi,
      o amico, diedero la virile sopportazione
      come rimedio: ora uno, ora un altro ha questa sorte;
      su di noi adesso si è volta, e piangiamo la ferita che sanguina.
      Poi, di nuovo, toccherà ad altri. Ma presto, via,
      allontanate il lutto femmineo, e sopportate.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi

        Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi, o negare giurando,
        o che desti stupore, da che Zeus, il padre degli dèi nell'Olimpo,
        fece notte nel mezzo del giorno, occultando la luce
        al sole splendente. E una triste paura sugli uomini venne.
        Tutto da allora è degno di fede, tutto dall'uomo può essere atteso:
        nessuno di voi si stupisca, nemmeno se vede
        le fiere scambiar coi delfini il pascolo marino,
        e che ad esse le onde echeggianti del mare siano più gradite
        della terra, così come ai delfini il monte boscoso.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Se d'arder e d'amar io non mi stanco,
          anzi crescermi ognor questo e quel sento,
          e di questo e di quello io non mi pento,
          come Amor sa, che mi sta sempre al fianco,
          onde avien che la speme ognor vien manco,
          da me sparendo come nebbia al vento,
          la speme che 'l mio cor può far contento,
          senza cui non si vive, e non vissi anco?
          Nel mezzo del mio cor spesso mi dice
          un'incognita téma: - O miserella,
          non fia 'l tuo stato gran tempo felice;
          ché fra non molto poria sparir quella
          luce degli occhi tuoi vera beatrice,
          ed ogni gioia tua sparir con ella.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Io son da l'aspettar omai sì stanca,
            sì vinta dal dolor e dal disio,
            per la sì poca fede e molto oblio
            di chi del suo tornar, lassa, mi manca,
            che lei, che 'l mondo impalidisce e 'mbianca
            con la sua falce e dà l'ultimo fio,
            chiamo talor per refrigerio mio,
            sì 'l dolor nel mio petto si rinfranca.
            Ed ella si fa sorda al mio chiamare,
            schernendo i miei pensier fallaci e folli,
            come sta sordo anch'egli al suo tornare.
            Così col pianto, ond'ho gli occhi miei molli,
            fo pietose quest'onde e questo mare;
            ed ei si vive lieto nè suoi colli.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Chi mi darà soccorso a l'ora estrema,
              che verrà morte a trarmi fuor di vita
              tosto, dopo l'acerba dipartita,
              onde fin d'ora il cor paventa e trema?
              Madre e sorella no, perché la téma
              questa e quella a dolersi meco invita,
              e poi per prova omai la lor aita
              non giova a questa doglia alta e suprema.
              E le vostre fidate amiche scorte,
              che di giovarmi avriano sole il come,
              saran lontane in quella altera corte.
              Dunque ì porrò queste terrene some
              senza conforto alcun, se non di morte,
              sospirando e chiamando il vostro nome.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                A che, signor affaticar invano
                per ritrarvi e scolpirvi in marmi o in carte,
                o gli altri c'hanno fama di quest'arte,
                o 'l chiaro Buonaroti o Tiziano,
                se scolpito qual sète aperto e piano
                v'ho nel petto e nel fronte a parte a parte,
                sì che l'imagin d'indi unqua non parte,
                perché siate voi presso o pur lontano?
                Ma forse voi volete esser ritratto
                in sembiante leale e grazioso,
                qual sète a tutti in ogn'opra in ogn'atto;
                dove, lassa, ch'a pena dirvel oso,
                vi porto impresso, qual vi provo in fatto,
                un pochetto incostante e disdegnoso.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Rime, lVIII

                  Deh perché non ho io l'ingegno e l'arte
                  di Lisippo e d'Apelle, onde potessi
                  il viso, che per sole al mondo elessi,
                  dipinger e scolpir in qualche parte,
                  poi che non posso ben ritrarr'in carte,
                  com'avrian con lo stile ritratto essi,
                  le mie due stelle, la cui luce impressi
                  pria sì nel cor, che d'indi non si parte?
                  Perch'io rimarrei sol con un tormento
                  d'amar e sospirar, e 'l cor saria
                  d'ogni altra cura poi pago e contento;
                  dov'or piango l'acerba pena mia,
                  e piango ch'atta a pinger non mi sento
                  al mondo il mio bel sol quanto devria.
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