Vendendo il cielo, ai popoli rapite; Sgabello al seggio fanno e fondamento Cataste di frementi Capi co gli occhi ne le trecce involti, E tepidi cadaveri innocenti, Cui sospiran nel fianco alte ferite Pel fulminar di pontificio labbro; E misti in pianto e in sangue, atro cemento, Calcati busti e cranj dissepolti Fanvi; e lo Inganno di tal soglio è fabbro: Quindi, al Solopossente La folgore strappata, Eran d'Orto terrore e d'Occidente, E si pascean di regni e di peccata. Non più: - Dio disse: e lor possa disparve; Pur ne l'Ausonia ancor egra e acciecata Passeggian truci le adorate larve.
E depor le corone in Campidoglio, E i re in trionfo tributari e schiavi Roma già vide, e rovesciati i troni: Re-sacerdoti or con mentite chiavi Di oro ingordi e di sangue, altri Neroni, Grandeggiar mira in usurpato soglio: Siede a destra l'Orgoglio Cinto di stola, e ferri e nappi accoglie Sotto le ricche spoglie,.
Di mille e mille che vittoria, o morte Da l'italiche porte Giuran brandendo la terribil asta; E guerrier veggo di fiorente alloro Cinto le bionde chiome Su cui purpuree tremolando vanno Candide azzurre piume; egli al tuo nome Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta; Senno dè suoi corsier governa il morso, Ardir li 'ncalza, e dè marziali il coro Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno In aer librate con perpetuo corso Sorte, Vittoria, e Fama. Or che fia dunque, o diva? Onde tal'ira? E qual fato te chiama A trar tant'armi da straniera riva Su questa un dì reina, or nuda e schiava Italia, ahi! Solo al vituperio viva, Al vituperio che piangendo lava!
Ma tu de l'alpi da l'aërie cime, Al rintronar di trombe e di timballi, Ausonia guati e giù piombi col volo Anelanti ti sieguono i cavalli Che Palla sferza, e sul latino suolo Marte furente orme di foco imprime: Odo canto sublime.
Coronati di gel gli elvezj monti; Or che del vero illuminar l'aspetto Non è delitto, or io te, diva, invoco: Scendi, e la lingua e il petto Mi snoda e 'infiamma di tuo santo foco.
Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando Alteramente il brando Del padre tinto e dei figliuol nel sangue; Te, o Libertà, se per le gelid'onde Del Danubio e del Reno Gisti fra genti indomite guerriere; Te se raccolse nel sanguineo seno Brittannia, e t'ascondea mortifer angue; Te se al furor di mercenarie spade De l'Oceàno da le ignote sponde T'invitàr meste, e del tuo nome altero Le americane libere contrade; O le batave fonti, O ti furo ricetto.
Dove tu, diva, da l'antica e forte Dominatrice libera del mondo Felice a l'ombra di tue sacre penne, Dove fuggivi, quando ferreo pondo Di dittatoria tirannia le tenne Umìl la testa fra servaggio e morte? Te seguìr le risorte
E questa è l'ora! mormorar io sento Co' miei sospiri in suon pietoso e basso Tra fronda e fronda il solitario vento. E scorgo il caro nome; e veggo il sasso Ove Laura s'assise, e scorro i prati Ch'ella meco trascorse a passo a passo. Quest'è la pianta che le diè i beati Fior ch'ella colse, e con le molli dita Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati. E questo è il conscio speco, e la romita Sponda cui mesto lambe un fonte e plora, E i ben perduti a piangere m'invita Qui de’ più gai colori ornossi Flora, Qui danzaro le Grazie, e qui ridente A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15 E qui la Luna cheta e risplendente Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo Ove ha nido usignol dolce-gemente; E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo " A Laura replicava, uscir s'udia Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ". O sacra rimembranza, o della mia Prima felicità tenera immago, Cui Laura forse a consolarmi invia; Vieni: tu vedi solitario e vago Il giovin vate, che piangendo porta Ahi! d'affanni più gravi il cor presago. Già s'avanza la Sera, e la ritorta Conca tien alla destra, e di rugiade Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta. E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade, Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo All'atra Notte che muta lo invade. E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo S'alzan con l'Ore negre e taciturne Oscuritate e Silenzio profondo. Era l'istante che su squallide urne Scapigliata la misera Eloisa Invocava le afflitte ombre notturne; E su1 libro del duolo u' stava incisa ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi Veniasi Young sul corpo di Narcisa: Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto, Coi crin sul fronte impallidito sparsi, Addio diceva a Laura, e Laura intanto Fise in me avea le luci, ed agli addio Ed ai singulti rispondea col pianto E mi stringea la man: - tutto fuggìo Della notte l'orrore, e radïante Io vidi in cielo a contemplarci Iddio, E petto unito a petto palpitante, E sospiro a sospir, e riso a riso, La bocca le baciai tutto tremante. E quanto io vidi allor sembrommi un riso Dell'universo, e le candide porte Disserrarsi vid'io del Paradiso.... Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
Alfin tu splendi, o Sole, o del creato Anima e vita, immagine sublime Di Dio, che sparse la tua faccia immensa Di sua luce infinita! Ore e Stagioni, Tinte a vari color danzano belle Per l'aureo lume tuo misuratore De' secoli, e de' secoli scorrenti, Alfin tu splendi! tempestoso e freddo Copria nembo la terra; a gran volute Gravide nubi accavallate il cielo Empian di negre liete, e brontolando Per l'ampiezza dell'aere tremendi Rotolavano i tuoni, e lampi lampi Rompeano il bujo orribile. - Tacea Spaventata natura; il ruscelletto Timido e lamentevole fra l'erbe Volgeva il corso, nè stormian le frondi Per la foresta, nè dall'atre tane Sporgean le belve l'atterrita fronte. - Ulularono i venti, e ruinando Fra grandini, fra folgori, fra piove La bufera lanciosse, e riottoso Diffuse il fiume le gonfie e spumose Onde per le campagne, e svelti i tronchi Striderono volando, e da’ scommossi Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi Piombàr torrenti, che spiccati massi Coll'acque strascinarono. Dal fondo D'una caverna i fremiti e la guerra Degli elementi udii; Morte su l'antro Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi Ritta: crollò la testa e di natura L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti, O Sol, tua fronte, e la procella orrenda Ti vide e si nascose, e i paurosi Irti fantasmi sparvero.... ma quanti Segni di lutto su i vedovi campi, Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta, Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi Alberi gravi, e le acerbette e colme Promettitrici di liquor giocondo Uve giacciono al suol; passa 1'armento E le calpesta; e istupidito e muto L'agricoltore le contempla e geme.
Intanto scompigliata, irta e piangente Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo Di pianto asciugator raggio saluta; E tu la accendi, e si rallegra e nuovi Prometto frutti e fior. Tutto si cangia, Tutto père quaggiù! Ma tu giammai, Eterna lampa, non ti cangi? mai? Pur verrà dì che nell'antiquo vòto Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo Ritirerà da te: non più le nubi Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto Ad annunziar che sorgi. Intanto godi Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo De' miei giovani giorni: io sol rimiro Gloria e piacere, ma lugubri e muti Sono per me, che dolorosa ho l'alma. Sul mattin della vita io non mirai Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera Affaticato; e sol la notte aspetto Che mi copra di tenebre e di morte